Roma, 8 set – Senza tema di smentite, mai nella storia delle Forze Armate italiane una delle sue armi si è più messa involontariamente e autolesionisticamente da sola alla berlina della Marina Militare Italiana negli ultimi anni, a seconda dei casi toccando registri comici, oppure tragicomici. Difficile dimenticare, infatti, la docu-fiction del 2014 «La scelta di Katia, 80 miglia a sud di Lampedusa» edita dal Corriere della Sera e Rai Fiction, definita “una via di mezzo tra una telenovela e un filmato da Istituto luce montato con specifiche del Minculpop”, dove tra ettolitri di melassa immigrazionista, una nave agli ordini della “comandante Catia” – non poteva mancare una “Ufficiala” al comando – salvava dai flutti donne e bambini “profughi”, e, tra una pizza e una festicciola, arriva il membro dell’equipaggio che sorridendo ebete ammansiva la seguente enormità: «Ce la faremo a svuotare un continente… serve solo un po’ di tempo ma lo svuotiamo». Castroneria sesquipedale se presa come metafora, e delinquenziale se presa sul serio, visti i numeri da vera e propria invasione degli anni di sbarchi seguenti, sino al picco mai visto prima di ben 16.000 nella sola scorsa settimana.
Non paghi di ciò, gli spin doctor alla comunicazione della Marina Militare Italiana scimmiottavano i Village People (forse per risultare anche Gay-Friendly, dopo aver ammiccato agli immigrazionisti?) con un bando di arruolamento titolato significativamente “Join the Navy”, per poi lanciarsi in un video ritraente l’equipaggio di una nave da guerra impegnato nella sua personale performance danzereccia dell’hit del momento di Pharrell Williams “Happy”, il tutto all’insegna del riproporre volontariamente, ancorché “per far simpatia”, quegli stereotipi “Italiano cantare pizza baffi neri mandolino” che speravamo fossero rimasti solo tra gli stranieri più beceramente ignoranti, e non appannaggio di una Forza Armata. Anche perché noi credevamo – che sorpassati! – che tutto dovrebbero fare dei militari, tranne fare i “simpatici”, adattandosi alla politica da PNL d’accatto del presidente Renzi. Lasciando da parte i politicamente scorrettissimi Degrelle, Borghese e D’Annunzio, anche perché sarebbe veramente sparare sulla croce rossa, preferiremo magari dei soldati in qualche modo più aderenti alla descrizione diede loro ironicamente Kurt Vonnegut: “eleganti esperti di sbornie, sesso, saccheggio e morte improvvisa”, che questa Armada Arcobaleno a zonzo al largo (mica tanto al largo) della Libia impegnati a importare immigrati tra una cantata di “Happy” e l’altra.
Ma non è finita qui: fedele al mirabile esempio di dedizione al dovere dei suoi Ammiragli prima e dopo l’8 settembre 1943, la Marina Militare Italiana non si è fatta quindi mancare anche un paio di scandali, l’ultimo dei quali ha toccato l’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della MMI dal 2013 al 2016 e incensatore del ruolo di “traghettatori” della MMI tra una tartina con pistacchi di Bronte e champagne e l’altra, prima di finire sotto inchiesta per una storia di concessioni a margine dell’affaire Tempa Rossa. De Giorgi, passato anche alle cronache per il suo discorso d’addio tra minacce di vendetta e recriminazioni, il tutto sulle note de “Il Gladiatore”.
Infine, arriviamo ai nostri giorni e alla presente ricorrenza dell’“infausto 8 di settembre”, giorno che presupporrebbe un certo basso profilo da quella Marina “nata dalla Resistenza” sì, ma soprattutto, ancor prima, proprio da quell’8 settembre 1943 che vide tutte le navi maggiori della Regia Marina con relativi ammiragli e compagnia briscola avere abbastanza nafta per consegnarsi agli inglesi a Malta – quella nafta stranamente non sufficiente qualche settimana prima per difendere la Sicilia invasa, per esempio – navi poi prontamente internate e divise tra gli Alleati nel dopoguerra come “preda bellica”, e non certo servite ad ottenere una qualunque condizione di favore dai vincitori, ai quali ci prostrammo con le clausole dell’“armistizio lungo” del 29 settembre 1943, ossia una totale resa senza condizioni, cedendo loro tutta la nostra sovranità nazionale, riguadagnata solo in parte nei decenni successivi, e ancor oggi lungi dall’essere lontanamente riacquisita nella sua completezza.
Ma ormai l’8 settembre 1943 è diventato, dal presidente Azeglio Ciampi e dal suo richiamo al mito di Cefalonia nel 2001 in poi, non più il giorno della “morte della patria”, ma una sorta di 25 aprile dei moderati e quindi ieri, 7 settembre, alle 17.15 compariva sulla pagina FB ufficiale della Marina Militare un articoletto intitolato “La Marina e l’8 settembre 1943 – Un filo blu invisibile e decisivo” dove Giosué Allegrini narrava iperbolicamente le gesta non di qualche eroico comandante, o di una azione di una squadra navale, o nave da battaglia inquadrata dalle salve nemiche, ma… degli Uffici comunicazioni e dello Stato Maggiore della Marina a Roma tra l’8 e il 10 settembre 1943, peraltro non toccati dai combattimenti per la Capitale! Notiamo come l’Allegrini sia il capo ufficio storico della Marina, anche se apparirebbe secondo noi più a suo agio come critico d’arte contemporanea, sua altra occupazione, dal momento che non risultano a suo nome ricerche storico-militari di nota (però è in compenso curatore dell’imprescindibile libro “Nacqui quando ero bambino : dai reportages di spettacolo alla Cyborgdinamica Evolutiva”), e ciò traspare dall’articolo, dal contenuto decisamente grottesco.
Dopo una premessa pilatesca sulle responsabilità della (mancata) difesa di Roma, l’articolo si apre con un periodo dove il lapalissiano rivaleggia con il surreale: “Le corazzate o i cacciatorpediniere non combatterono, certamente, contro i paracadutisti e panzergranadieren [sic per Panzergrenadieren] tedeschi sulle colline o lungo le strade di accesso a Roma”. Seguito da affermazioni granitiche in puro stile Minculpop à la Guzzanti: “Le notizie pervenute la notte tra l’8 e il 9 settembre, di scontri e rese ai tedeschi, erano comprensibili ma nessuno dubitò mai, neppure per un istante, in merito all’obbedienza e all’efficienza della Marina”. [sbattere di tacchi, lacrimuccia] Passando per il consueto omaggio alle fonti partigiane, peraltro citate Ad Minchiam: “Si trattò di un fenomeno tanto più ragguardevole in quanto, per esempio, il celebre storico e giornalista Giorgio Bocca scrisse, nel suo Storia dell’Italia partigiana” che non un solo plotone dell’Esercito passò compatto alla macchia, senza essere mai smentito”. Proseguendo poi con il “Paura, eh?” rivolto a diverse migliaia di agguerriti Fallschirmjäger veterani di Belgio, Creta e Russia da una mezza dozzina di marinaretti con due mitragliere, che salvarono perciò secondo il buon Giosuè il Ministero Marina in quelle tragiche ore.
“Il pomeriggio del 10 settembre i tedeschi entrarono in Roma, occupando la sede del Comando Supremo, i Dicasteri e la Banca d’Italia, ma girarono ben al largo dal Ministero Marina, protetto da mitragliere da 20 mm poste tra via Azuni e le spallette dei ponti”.
Terminando il compitino con le due solite frasette retoriche per titillare il 7+ dalla maestrina: “La Marina, come sempre, era in testa senza chiedere, vantare, o esigere nulla. Faceva il suo dovere, come in passato, ora e sempre”.
Chiudiamo quindi così questa rassegna tragicomica delle gesta della Marina Militare Italiana, suggerendone la lettura in special modo agli attuali fan di questa Marina “Happy” di oggi, e delle chiacchiere autoassolutorie di Badoglio e degli Ammiragli della Regia Marina e delle rispettive fughe a Brindisi e a Malta di ieri.
Andrea Lombardi
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Signori ricordiamoci l’articolo 16 del Trattato di Parigi del 1947, il momento più vergognoso della nostra storia e che Benedetto Croce descrisse perfettamente come la distruzione della dignità di un popolo e Paese. Perdemmo la guerra e facemmo una figura di merda mondiale, senza contare i poveri cristi gettati a morire, per volontà delle alte sfere dell’esercito, di quel nano di Vittorio Emanuele e delle compagnie come FIAT e Ansaldo, svenduti tutti al nemico noncuranti del nostro stesso popolo e soldati ma anche del Paese, della Cultura e Tradizione, traditori asserviti alla Francia che aveva messo al potere quella casata maledetta dei Savoia.
Materiale ve ne era a bizzeffe, scoperto quando, ancora una volta nella nostra storia, i Tedeschi scesero in Italia. Petrolio, uniformi, armi, materiale per carriarmati,etc.
La Marina Militare continua la sua tradizione di enormi cazzate e tradimenti ,raggiunte all’apice con le minchiate fatte dall'”Ammiraglio” Iachino.
Spero che dal buco più lurido dell’inferno questi luridissimi bastardi vedano cosa hanno fatto al loro Paese, e spero che i loro discendenti subiscano tutti gli effetti che noi saremo costretti a subire a causa loro.
Senza i Savoia, saremo stati schiavi degli austriaci o dei francesi.
Invece adesso lo siamo di americani, inglesi e francesi
Temo che se questi dovessero combattere per difendere la Patria lo farebbero piagnucolando fino allo sfinimento del nemico.
Ma cosa vuoi commentare questi infami traditori resistenziali? La schifezza di repubblica che ci ritroviamo oggi è il giusto compendio al tradimento senza appello perpetrato dai padri e dai nonni di questi ammiragliucci da palude perché solo nelle paludi costoro possono rimanere a galla, come la merda.
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Ammiraglio SQ. Gino Birindelli (Pescia, 19 gennaio 1911 – Roma, 2 agosto 2008) è stato un ammiraglio e politico italiano, prima del MSI-DN e poi di Democrazia Nazionale (DN).
Prestò servizio nella Regia Marina durante la seconda guerra mondiale venendo decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Fu anche deputato alla Camera e presidente del MSI-DN.
Presidente della Consulta dei Senatori del regno dal 1989 al 1993.
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Gino Birindelli
Pubblicato il 3 maggio 2011
di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
Quest’articolo è dedicato nel centenario dalla nascita a colui che verrà ricordato dagli equipaggi per aver difeso, in ogni occasione, il personale della Marina Militare. Racconteremo ai posteri di quando, nel 1970, in qualità di Comandante in Capo della Squadra, in occasione della visita a bordo di Nave Garibaldi dei parlamentari dell’allora Commissione Difesa, dopo averli ricevuti con i dovuti onori li suddividesti per le varie navi (alla fonda nel porto di Cagliari) impartendo l’ordine ai Comandanti di tenerli prevalentemente nei locali macchine e caldaie.
Questi “…signori” dopo quattro ore di navigazione con mare forza 2/3 furono riportati su nave Garibaldi per la conferenza stampa di rito. All’arrivo dell’Ammiraglio Birindelli si inalberarono tutti per il trattamento ricevuto. L’Ammiraglio, di rimando, rispose: “queste sono le migliori condizioni in cui voi Parlamentari fate vivere i Militari in particolare i Marinai.” Da quel momento ci furono una serie di adeguamenti economici e, soprattutto, il riconoscimento di un lavoro particolare a cui bisognava e bisogna riconoscere un trattamento diverso dai pubblici dipendenti (…intelligenti pauca!).
GINO BIRINDELLI
Nasce a Pescia (Pistoia) il 19 gennaio 1911. Nel 1925, appena quattordicenne, lascia il Collegio degli Scolopi di Firenze ed entra nella Regia Accademia Navale di Livorno, da cui esce con il grado di Guardiamarina del Corpo di Stato Maggiore nel 1930. Inizia così una lunga e brillante carriera che lo porta ad essere imbarcato su varie unità di superficie e sommergibili della Regia Marina, tra cui si ricordano l’incrociatore “Ancona”, la corazzata “Andrea Doria”, i cacciatorpedinieri “Quintino Sella”, “Confienza”, “Monzambano” e “Giovanni Nicotera” e i sommergibili “Santarosa”, “Naiade”, “Foca” e “Domenico Millelire”. Promosso Sottotenente di Vascello nel 1931 e Tenente di Vascello nel 1935 assunse successivamente, nel 1939, il comando dei sommergibili “Dessié” prima e “Rubino” poi. L’intensa attività conseguente ai propri impegni marinari non gli impedisce di dedicarsi comunque allo studio: nel 1937, infatti, si laurea in Ingegneria Civile presso l’Università di Pisa. Nel settembre 1939 viene destinato a La Spezia alla Squadriglia MAS per iniziare l’addestramento sui mezzi d’assalto insieme ad altri famosi personaggi quali Teseo Tesei, Elios Toschi e Luigi Durand de la Penne, tanto per citarne alcuni. Inizia così a manifestarsi quella tempra eccezionale di uomo e combattente che lo ha contraddistinto per l’intero arco della sua vita fino a fargli assumere i contorni dell’eroe. L’intensa attività portata avanti alla Bocca del Serchio, luogo deputato a tale tipo di operazioni, gli causa anche problemi fisici: l’ossiggeno dei respiratori gli brucia infatti un polmone nel corso degli allenamenti, ragion per cui viene ricoverato nell’ospedale di Massa, da dove peraltro scappa per rientrare subito a Bocca del Serchio, riuscendo a convincere il Comandante, Ajmone di Savoia, a mantenerlo in servizio. Prende parte attivamente alla prima spedizione dei Mezzi d’Assalto contro la base inglese di Alessandria (Operazione G.A.B1) nella quale viene decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare “sul campo” per il comportamento dimostrato a bordo del sommergibile “Iride” sottoposto ad attacco aereo nel Golfo di Bomba.
Nell’occasione si tuffava per cinque volte consecutive per portare in salvo un marinaio di leva dell’equipaggio del sommergibile intrappolato nel battello in fase di affondamento. Rientrato in Patria prende parte alla prima e alla seconda spedizione dei Mezzi d’Assalto contro la base inglese di Gibilterra (Operazioni B.G. 1 e B.G. 2); nel corso della seconda spedizione, a causa dell’avaria al proprio mezzo, è costretto ad affondarlo, venendo successivamente catturato e fatto prigioniero dagli inglesi. Per questa azione viene decorato Medaglia d’Oro al Valor Militare. Nei venti mesi successivi rimane prigioniero negli ospedali inglesi ed americani finché, alla fine del 1943, dopo l’armistizio, il Governo Italiano di Badoglio lo fa rimpatriare. Nel 1944 viene promosso Capitano di Fregata ed assume l’incarico di Sottocapo di Stato Maggiore dell’Ispettorato Generale MAS, partecipando alla Guerra di Liberazione con mezzi di superficie lungo le coste albanesi ed jugoslave. Le proprie condizioni di salute, però, lo costringono nuovamente ad un lungo ricovero in ospedale. Al termine delle ostilità assume il Comando del Battaglione San Marco e, successivamente, gli viene assegnato l’incarico di Comandante in Seconda della corazzata “Italia”, durante il periodo di internamento ai Laghi Amari in Egitto. Successivamente viene assegnato al Centro Subacquei, gruppo composto per la massima parte da sommozzatori già facenti parte dei mezzi d’assalto, con l’incarico di procedere allo sminamento dell’Alto Adriatico. Proseguendo in carriera frequenta l’Istituto di Guerra Marittima e successivamente assume il Comando prima della 3^ Squadriglia Corvette poi della 3^ Squadriglia Torpediniere. Promosso Capitano di Vascello nel 1952 assume incarichi prestigiosi, tra i quali si ricordano il Comando del Centro Subacquei ed Incursori del Varignano a La Spezia ed il Comando dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli con il quale, dal settembre 1956 al marzo 1957, effettua una crociera di circumnavigazione del globo che lo porta a toccare 34 porti di quattro continenti. Viene promosso Contrammiraglio nel 1959, nel cui grado viene prima destinato presso il Centro Alti Studi Militari, assumendo poi nel tempo gli incarichi di Capo di Stato Maggiore Aggiunto del Comando della Squadra Navale e di rappresentante del Comando delle Forze Alleate del Mediterraneo presso il Comando delle Forze Aeree Terrestri del Sud Europa, venendo infine destinato presso lo Stato Maggiore della Difesa. Nel 1962 viene promosso Ammiraglio di Divisione, nel cui grado comanda la 1^ Divisione Navale, nel 1966, promosso Ammiraglio di Squadra, viene chiamato a ricoprire i prestigiosi incarichi di Direttore Generale del Personale della Marina, di Comandante in Capo della Squadra Navale ed infine di Comandante Navale Alleato del Sud Europa, prima a Malta e poi a Napoli. Viene eletto Deputato al Parlamento nella VI Legislatura, dal 1972 al 1976, ed il 15 dicembre 1973 si congeda dalla Marina, circondato dall’affetto e dall’ammirazione di tanta gente, ma soprattutto di coloro, in Marina, per i quali si è sempre battuto. Gli vengono attribuiti riconoscimenti prestigiosi tra i quali, recentemente, l’intitolazione alla sua persona di un padiglione al Museo di Eden Camp, in Inghilterra, ove è posto un esemplare di “Siluro a lenta corsa”, quel maiale con il quale aveva tanto combattuto e tanto si era distinto proprio contro gli inglesi nella Seconda Guerra Mondiale. E’ Morto al policlinico militare del Celio, a Roma, il 2 agosto 2008. I funerali si sono svolti, presso la caserma Grazioli Lante, il 5 agosto 2008.
ONORIFICENZE
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al “Merito della Repubblica Italiana”;
Medaglia d’Oro al Valor Militare;
Medaglia d’Argento al Valor Militare;
Croce al merito di Guerra;
Campagna di Guerra 1940-44 e 1945;
Medaglia Commemorativa per i volontari della seconda guerra mondiale;
Nastrino di Guerra 1940/43 con numero uno stelletta;
Nastrino di Guerra 1943/45 con numero due stellette;
Ufficiale dell’Ordine della “Corona d’Italia”;
Medaglia Mauriziana al “Merito di dieci lustri di carriera militare”;
Medaglia d’Oro per “Lunga Navigazione nella Marina Militare” (20 anni);
Croce d’Oro con stelletta per “Anzianità di servizio” (40 anni);
Commandeur dell’Ordine di Dannebrog conferitagli da S.M. il Re di Danimarca;
Distintivo per il personale dei Reparti d’Assalto;
Distintivo d’Onore per il personale già destinato presso COMSUBIN;
Distintivo d’onore di ferito in Guerra.
IL SUO TESTAMENTO SPIRITUALE
Prima e più che da un volo in altri cieli. L’immortalità dell’anima è costituita dalla risonanza che, a somiglianza delle onde create dalla pietra gettata nell’acqua ferma del lago, “l’elevato sentire” genera e che, a differenza di quelle, dura sempre. A me che fui il primo diretto comandante di quel pugno di uomini, e che presi parte alle tante discussioni, non risulta difficile indicarne i punti salienti:
– Lo scopo della vita è creare, fare, dare. L’azione è gioia dello spirito.
– Non chiedere mai alcunché ad alcuno se non a te stesso. Chiedi al tuo Dio solo e sempre la forza di “non chiedere”, ma ringrazialo continuamente per ciò che sei stato capace di fare.
– La forza più grande dell’uomo è la volontà, quella che permette di “strappare le stelle dal cielo”, di porre “il cielo come solo limite alle proprie capacità ed aspirazioni”, quella che spinge l’handicappato a cimentarsi nell’agone sportivo, a rendersi autosufficiente con il lavoro.
– Assisiti senza fine chi si impegna con perseverante sacrificio all’elevazione materiale e spirituale propria ed altrui. Ogni atto di solidarietà che proponi sia, prima di tutto ed in buona misura, a tuo carico.
– Una più grande Famiglia donataci da Dio. Questa è la patria e ad essa – come tale – si devono dedizione e devozione assolute.
– La Civiltà è il rispetto si se stessi, degli altri, delle altrui opinioni. La Cultura ha lo scopo precipuo di incrementare il grado di Civiltà degli individui.
– La Libertà e la Pace sono – solo e sempre – il prodotto dell’impegno duro, indefesso, doloroso degli uomini di buona volontà. La costruzione umana su cui si poggia la Pace ha, come chiave di volta, la Giustizia; quella su cui poggia la Libertà ha il Coraggio.
– Il coraggio vero, quello che conta, è il Coraggio Morale. Esso deriva dall’onestà, dal senso del dovere, dall’impegno con se stesso a tutelare i diritti umani di tutti.
– La forza dell’Amore è immensa ed immensamente benefica se ogni suo atto è ispirato e strettamente legato al rispetto della Legge degli uomini onde esso non degeneri in mollezza o, addirittura, in acquiescenza alla sua violazione. Tutto ciò che, nell’empito di Amore, viene dato a qualcuno in termini di tolleranza o perdono è, infatti, sottratto surrettiziamente e definitivamente alla cogenza della norma su cui si basa l’ordinata convivenza della società civile.
– “In medio stat virtus” è saggia norma di vita ma la realizzazione della “medianità virtuosa” si deve ottenere solo e sempre attraverso la pratica del precetto si-si/no-no, del confronto con l’opposto, della competizione, mai con il compromesso. La competizione leale consente infatti di evitare lo scontro crudele; impedisce che la Pace degradi nel nirvana.
Solo là dove ogni atto è ispirato a vivo senso di responsabilità ci può essere ordine e democrazia.
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Gino Birindelli (20 January 1911, Pescia – 2 August 2008, Rome) was an Italian admiral and the chief of the fleet of the Italian Navy (the Marina Militare). He received the Gold medal of military valor. Member of the Italian Chamber of Deputies (1972-1976).
http://www.lavocedelmarinaio.com/2011/05/gino-birindelli-2/
https://www.youtube.com/watch?v=YtkUNRmRjsk
http://www.iltempo.it/cronache/2012/12/14/morto-l-ammiraglio-birindelli-l-eroe-che-violo-le-basi-inglesi-1.244924
http://consulta.altervista.org/
http://www.lavocedelmarinaio.com/2014/01/la-decima-flottiglia-mas-e-lex-ministro-la-russa/
http://www.jta.org/1972/03/17/archive/former-nato-commander-to-run-for-parliament-on-neo-fascist-ticket
Magnifico articolo che riassume in modo esaustivo ed esemplare le vergogne della MMI, sia quelle storiche dell’8 settembre ’43 sia quelle contemporanee degli attuali scafisti di Stato.
Gay
dopo aver letto “Fucilate gli ammiragli” non mi stupisco piu di nulla
Leggete l’ultimo capitolo di “Navi e poltrone” e vi sarà tutto chiaro.
Il Fascismo ha fatto tanto per l’Italia, ma ha perso la guerra, e la responsabilità della sconfitta ricade tutta su di lui, inutile scaricare altrove la responsabilità. A maggior ragione se c’erano dei traditori, -e c’erano- era il regime coi suoi servizi segreti che doveva stanarli e smascherarli, ne aveva il dovere e la possibilità. Se non l’ha fatto e non l’ha saputo fare al momento giusto, inutile prendersela con i traditori stessi.
E comunque penso che a vincere la guerra con uno che sbatteva dentro i carri piombati donne, vecchi e bambini, non saremmo andati tanto lontano.
Con la “maledetta casata” dei Savoia abbiamo invece vinto la 1a guerra mondiale, abbiamo vinto la guerra italo-turca, e l’Italia ha raggiunto la sua massima estensione territoriale. Con il Fascismo abbiamo perso tutto. Tante parole, proclami, promesse, giuramenti, etc., e poi gli inglesi ci hanno soffiato l’Etiopia. In quel caso la Marina non c’entra nulla.
Maria Cipriano
concordo. Il Fascismo ha sbagliato a farci entrare in una guerra solo per calcoli politici. Non esistevano grosse motivazioni (a parte Corsica, Savoia, Nizza), e Mussolini si é fatto fregare da Churchill.
I Savoia erano burattini: dall’unificazione di Italia in cui hanno gettato il Paese in debito, alla creazione della questione meridionale e tutto ciò che essa comporta, alla incapacità di uscire fuori dalla sfera Francese o Inglese( che tra l’altro Mussolini contattò per risolvere la questione tedesca ben prima della guerra non ricevendo risposta), a guerre inutili fatte per conta loro e con esse i morti. La stessa guerra di unificazione serviva a interessi francesi e meno ai nostri. Il Nord era economicamente sano, prima di entrare in debito con svariate banche straniere come quelle francesi e inglesi, e il Sud pure, con la prima ferrovia europea.Nessuna ragione di entrare nella WW1, avremmo ricevuto di più stando con Austria e Germania invece di tradire, per poi essere traditi a nostra volta con l’arrivo degli Americani e l’annullamento dei trattati. La cosiddetta “vittoria mutilata”. Senza contare gli innumerevoli morti complice Badoglio e Cadorna.
Io il flauto francese non lo voglio seguire, complice gli ultimi avvenimenti che ci ricordano che verrà sempre prima la Francia e poi l’Italia.Io voglio una Italia che segua i suoi interessi senza guardare in faccia a nessuno.
Il Fascismo rimise l’Italia in mano agli Italiani e ai suoi interessi. E Mussolini fece errori, e di gravi anche, ma l’ideologia non varia. Fu debole, là dove avrebbe dovuto fare quello che Stalin fece senza guardare in faccia a nessuno, si fece intenerire. E ne pagammo le conseguenze di chi preferiva tutt’altro flauto.
Rimane che la colpa non è unicamente sua,perchè non è possibile controllare costantemente un Paese intero, Hitler e il suo tentato assassinio o gli svariati subiti da Stalin lo dimostrano. E mentre generali e industriali andavano in Svizzera a intrattenersi con Francesi e Inglesi, gente moriva perchè si fece credere che un misero CV33 sarebbe stato capace di fronteggiare un T34 di cui noi sapevamo l’esistenza già dal 1934. Mussolini era un soldato non un generale, li dove Badoglio e gli altri avrebbero dovuto aiutare il Primo Ministro, scelsero volutamente di guardare dall’altra parte. Scelsero volutamente di mandare gente a morire senza almeno dare loro il meglio.Anche peggio, Badoglio spostò più volte esemplari di bombardieri e caccia all’ultimo momento fin quando non furono superati. E di esempi ce ne sono tanti come le ogive consegnate alla marina di dimensioni volutamente errate. O l’inutilizzo del RADAR.E altri e altri esempi.E lei vuole scusare questa gente? Vuole scusare il re? Perchè? Perchè Mussolini fu umano e non una bestia come Stalin?
Sul fatto che la MMI (già Regia Marina) non c’entri nulla con le sconfitte subite dall’ Italia, c’è moltissimo da obiettare.
Fatta salva la sua osservazione sull’incapacità del regime di smascherare e bloccare potenziali traditori o comunque avversari del regime stesso (su cui concordo) le guerre si perdono per ragioni politiche, ma anche per ragioni specificatamente militari e strategiche.
Non ha senso evocare oggi “l’ Alleanza sbagliata” scelta dall’ Italia nel II Conflitto mondiale, per giustificare (in modo elementare ed assolutamente inappropriato) le ragioni della sconfitta.
Gli alti ufficiali che componevano i vertici della Marina, a partire dagli (inadeguatissimi) Ammiragli Jachino e Riccardi, erano a tutti gli effetti dei militari.
Come tali, pertanto, al di là delle preferenze e delle idee specificatamente personali, erano tenuti assolutamente a :
A) Rispettare le direttive di guerra che il contesto creatosi di fatto imponeva.
B) Agire al meglio onde l’ Italia riuscisse ad acquisire – anche solo temporaneamente – i maggiori vantaggi operativi e strategici possibili nell’ ambito del contesto in cui si trovava ad operare, ed a combattere.
In altre parole, gli Alti Ufficiali della Regia Marina – in quanto, come detto, militari – avevano il sacrosanto dovere di fare il loro preciso MESTIERE, e non di improvvisarsi politici d’accatto (come in effetti fecero) permettendosi di discutere (e boicottare) la validità delle alleanze e della situazione operativa, così come messa in atto dal Governo.
Anche la Marina Imperiale Giapponese, come noto, ed a differenza degli “Alti papaveri” dell’ Esercito, era contraria all’ Alleanza con l’ Asse e ad un guerra contro un’ avversario – gli Stati Uniti – che si sapevano troppo forti, e quindi destinati inesorabilmente a vincere.
Ciononostante, nel momento in cui il Governo del Giappone decise per l’ entrata in guerra a fianco dell’ Asse, la Marina Giapponese si impegnò al meglio delle sue possibilità onde fare in modo da procurare al proprio paese il maggior vantaggio strategico ed operativo possibile, costasse quello che costasse.
Con le proprie scelte invece, i vertici di Supermarina si resero pertanto ed a tutti gli effetti complici (e persino co-autori) di una sconfitta che, indubbiamente, sarebbe avvenuta lo stesso ed in ogni modo. Ma che era comunque loro dovere cercare con ogni modo ed ogni mezzo di tenere più lontana possibile, sino all’ ultimo respiro.
Ma la storia l’avete studiata sui testi di scuola di Villari ?
Pensavo che tante banalità fossero ormai superate e invece siamo ancora li .
Ovviamente il mio messaggio è rivolto a Giuseppe e Maria Ciprano….
Ottimo articolo. Condivido in pieno il commento del sign. Baldi.
Vergogna! Non hanno sparato neanche un colpo di moschetto, pretendono anche di passare per i difensori di Roma. Almeno i granatieri di Sardegna e i carabinieri a Porta San Paolo hanno provato a contrastare i tedeschi, questi se ne stavano rinchiusi dentro al Ministero a giocare con le mitragliere.Per fortuna che la Marina italiana ha avuto qualche rara eccezione nell’affondo al nemico: X MAS. Gli inglesi hanno ancora gli incubi sulle azioni di sabotaggio nei porti del Mediterraneo, anche dopo l’8 settembre qualcuno ha portato alto l’Onore di noi italiani.
al netto delle valutazioni storiche, coloro che dovrebbero difendere con le armi il nostro paese non dovrebbero prestarsi a queste pagliacciate (evidentemente ideate da qualche agenzia di marketing pagata con i nostri soldi per realizzare questo scempio)
A Paolo rispondo: e chi ha detto che la Marina militare non c’entri nulla con le sconfitte italiane? Io ho detto che non c’entra nulla con la perdita dell’Africa orientale. E’ da lì, mi pare, che partì il contrattacco nemico. Peraltro la Marina non c’entra nulla neanche con El Alamein e con la disfatta di Russia. Tutto il resto lo condivido pienamente, specificando anche che Bergamini era pronto a salpare con tutta la flotta per combattere l’invasore nel golfo di Salerno.
Circa l’alleanza sbagliata, la mia era una semplice osservazione trasversale. si sa che le alleanze si fanno (e si disfano) in base a calcoli politici, ma Mussolini si legò troppo strettamente a Hitler.
Non è che tutti gli altri fossero buoni e solo Hitler il cattivo, ma legarsi mani e piedi a uno come Hitler era comunque molto rischioso in partenza.
A Pietro replico: le sue affabulazioni sul Risorgimento gliele rimando indietro e se le tenga pure e se le metta per cuscino, dormendoci sopra in compagnia di Pino Aprile, Alianello, la Pellicciari, i “gemelli” Del Boca, eccetera.
Circa il resto, resta il fatto che, piaccia o non piaccia, la colpa della sconfitta ricade sul Fascismo, e la Vittoria della Grande Guerra torna a gloria della monarchia da lei tanto deprecata. Punto.
Mussoini non aveva bisogno di fare come Stalin, tutt’altro. Bastava fucilare qualcuno. Come fece il Regno d’Italia quando scoprì chi c’era dietro i disastrosi attentati dell’Austria-Ungheria.
Maria Cipriano
A Maria Cipriano :
No Maria, è un errore – un grosso errore – ritenere che la Marina non c’ entri nulla con la perdita delle nostre colonie africane, a vantaggio degli Inglesi.
Premettiamo che alcune osservazioni che ho scritto prima, non erano dirette a lei personalmente ma erano generiche; semplicemente, sono partito da alcune frasi contenute nel suo commento, per esprimere a mia volta alcune considerazioni che ritengo valide, e che meriterebbero approfondimento.
Sempre parlando genericamente (quindi di nuovo non mi riferisco a lei personalmente) ho notato che molto spesso, quando si commentano i fatti storici salienti della II Guerra Mondiale (ma vale anche per la prima) gli utenti si soffermano molto sugli aspetti politici delle questioni, trascurando del tutto o quasi, gli aspetti militari (che invece, quando si parla di eventi militari sono primari).
Rivolgendomi ora specificatamente a lei, voglio approfondire meglio quanto dichiarato prima.
Nella primissima parte del II conflitto mondiale, ed in particolar modo dopo la caduta della Repubblica Francese (e delle sue armi) la Regia Marina si trovò a disporre di una situazione strategico-tattica assolutamente favorevole, in cui l’ unico vero avversario “di taglia” rimaneva la Mediterran Fleet inglese di stanza ad Alessandria. Le possibilità strategico-operative erano (per noi) notevolissime, e se il comando di SuperMarina avesse assunto sin dall’ inizio un’ atteggiamento più risolutamente offensivo, è ragionevole supporre che anche gli Inglesi si sarebbero trovati inevitabilmente sotto pressione.
Come poi avrebbero potuto evolversi gli eventi nessuno può dire.
Ma ci sono degli elementi che è giusto porre in rilevanza:
innanzi tutto, ed al contrario di quello che lei crede, il teatro “cruciale” per la decisione degli eventi non fu l’ Etiopia, ma la Libia.
E proprio la Battaglia di El-Alamein che lei stessa cita, fu il “punto di arrivo” (ad indubbio e definitivo vantaggio degli Inglesi) di una guerra che prende l’ inizio due anni prima, e di cui prima ancora che gli eventi bellici veri e propri, bisogna valutare le premesse strategiche che di quegli eventi posero le basi.
Lo scopo della guerra sul Mare, Sig.ra Maria, è quello di mantenere libere le proprie vie di comunicazione. Ed un territorio come la Libia (non dimentichi che è proprio dalla Libia riconquistata che partirà, nel 1943, quell’ attacco alleato all’ Italia meridionale) per noi preziosissimo, poteva essere alimentato e rifornito soprattutto grazie alla libertà di navigazione, navale ed aerea.
Fu proprio per impadronirsi di tale libertà di navigazione che l’ Inghilterra, con l’ audacia che la contraddistingueva ancora in quel periodo, attaccò le nostre forze e poco mancò che con quattro autoblindo scassate (manovrate però con una perizia ed una spregiudicatezza del tutto sconosciute ai nostri comandi, ancorati ancora agli schemi sorpassati del precedente conflitto) ci scaraventasse subito nel Mediterraneo impadronendosi già nel 1940 della “quarta sponda”. Fu proprio per tamponare tale pericolosa situazione (e l’ evidentissima incapacità operativa del Maresciallo Graziani) che la Germania inviò il DAK al comando del Maresciallo Rommel; con la sua esperienza e con la sua capacità tattica e di comando, Rommel riuscì a capovolgere temporaneamente la situazione, obbligando gli inglesi a trangugiare a larghi cucchiai la stessa medicina che essi avevano imposto a noi, nella fase precedente.
Ormai però, la situazione STRATEGICA era definitivamente compromessa; quel dominio delle rotte (navali ed aeree) che non era stato subito ricercato ed ottenuto nel 1940, era ormai completo appannaggio degli Inglesi, che nel Mediterraneo facevano ormai quello che volevano, strozzando letteralmente i rifornimenti (sempre più scarsi) che le Forze dell’ Asse tentavano di far giungere alla Libia. Si arrivò all’inevitabile punto in cui per ogni mezzo corazzato allineato dall’ Asse, la VIII Armata di Montgomery poteva schierarne dieci, sostenuta oltretutto a piene mani dall’ industria inglese ed americana, mentre i nostri dovevano rattoppare i pochi mezzi disponibili con il filo di ferro, e scuotere i bidoni di benzina abbandonati alla ricerca di quell’ ultima goccia con cui fare ancora 10, 20, 30 Km. In queste condizioni si può solo perdere. E tutto questo mentre Jachino, Riccardi e la quasi totalità della Regia Marina stavano a guardare, non muovendo quasi una sola nave, e lasciando che gli Inglesi gli sfilassero sotto il naso con convogli carichi destinati ad alimentare le loro truppe, ed a sconfiggere le nostre.
Mi scusi per la prolissità, un saluto cordiale
Paolo
bravooooo…
complimenti per la Sua oculata analisi…Noi avevamo ,con la nostra flotta,un largo margine di supremazia contro la flotta inglese,ma’…quando capitava l’occasione di poter usare le nostre navi maggiori contro gli inglesi,puntualmente da Supermarina (Roma) arrivava l’ORDINE di non impegnare contatto con il nemico e di ritirarsi…Questa e’ stata la nostra piu’ grande vergogna della guerra navale nel mediterraneo.E soprattutto,l’errore principale,aver permesso agli inglesi di tenersi l’isola di Malta, con i disastrosi risultasti che tutti sappiamo.. Praticamente tutto lo sforzo di far arrivare i rifornimenti in Africa fu’ compiuto dalle ” gloriose ” unita’ sottili : caccia,torpediniere e corvette.
Risposta a Paolo
La sua analisi sarà anche giusta, ma del senno del poi sono piene le fosse.
Senza voler dare la croce addosso al Fascismo, esercizio che mi è del tutto estraneo, chi era il comandante in capo delle forze armate di terra, di aria e anche di mare? Non era quel Mussolini che prometteva la Vittoria finale e continuò a prometterla anche ai combattenti della RSI fino al marzo del ’45, stando almeno a certe lettere che ho letto?
Ribadisco il mio concetto: la disfatta di Russia e l’avanzata degli inglesi che, nel ’41, nel giro di pochi mesi conquistarono Somalia, Eritrea e, con la caduta di Gondar, anche l’Etiopia, non può essere spiegata prendendosela con Supermarina. I traditori c’erano, ma non bastano a spiegare quel disastroso fallimento, nel quale, tra l’altro, mancò l’aereonautica più che la Marina. La sconfitta di El Alamein è comunque del novembre del ’42, prima la situazione globale si manteneva favorevole all’Asse.
Circa la superiorità strategico militare marittima dell’Italia che avrebbe dovuto essere sfruttata soprattutto all’inizio dalle nostre navi, mi pare che, anche se il Duce definì l’Italia una formidabile portaerei in mezzo al mare, sulla penisola gli inglesi convergevano da più punti: non solo da Alessandria, ma da Gibilterra, da Malta e dall’Egeo.
Il che comunque non toglie nulla all’indiscutibile valore delle nostre armi e dei nostri combattenti, marinai compresi, né all’imprescindibile dovere di combattere.
Cordialità
Maria Cipriano
Cara Maria,
le rispondo un po’ in ritardo per problemi al mio PC.
Forse non leggerà più questa mia risposta, pazienza.
Sulla sua osservazione che del senno di poi son piene le fosse ho da ridire, perchè l’ analisi degli errori commessi in passato dovrebbe servire proprio per evitarli in futuro. E constatando in ogni momento quanto ancora adesso, da parte del Ministero della Difesa Italiana, la valutazione su nostri eventuali interventi armati (a fianco dei nostri “alleati” della Nato, ma più di tutto a tutela dei nostri interessi in materia di politica estera) siano tentennanti, timidi e molto spesso sbagliati, dimostra abbastanza chiaramente che dagli errori passati si è imparato poco o nulla, e che le fosse sono lungi dall’ essere piene.
Il Comando sulle Forze Armate, come lei dovrebbe sapere, non era pienamente nelle mani di Mussolini; Supermarina in particolare, agì sempre con molta indipendenza, vuoi per la tiepida aderenza al Partito Fascista da parte del Corpo Ufficiali, vuoi per la debolezza e l’incapacità del Duce di saper mettere al posto giusto persone capaci ed al contempo più disponibili ai suoi voleri.
Sia chiaro, che io non sto affatto giustificando gli errori di Mussolini, che in materia militare furono molteplici, e senza giustificazione se non le scarse capacità militari e strategiche proprie del Duce. In sostanza, Mussolini seppe dimostrare sapienza e fiuto fine (almeno sino alla vigilia del Conflitto) in materia di politica, non così in fatto di questioni più propriamente strategiche. E probabilmente, questa sua scarsa sensibilità in materia non gli permise di valutare appieno l’importanza di agire con decisione sugli scacchieri per noi vitali (una volta dichiarata la guerra) attendendo invece, in modo passivo e stupido, che fosse la Germania a vincere la guerra anche per noi. Per lo stesso motivo, ritengo egli non seppe neppure mettere “le persone giuste al posto giusto” ed infatti – salvo lodevolissime ma rare eccezioni – gli Ufficiali Italiani dimostrarono – nel migliore dei casi – una mentalità sorpassata, nei casi peggiori vera e propria incompetenza (es. il Generale Sebastiano Visconti Prasca, lo stesso Maresciallo Graziani, e naturalmente l’ Ammiraglio Jachino).
Sulla sua replica riguardo ad El Alamein, non mi trovo affatto d’ accordo.
La situazione globale PRIMA della battaglia, non si poteva definire “favorevole all’ Asse.” Appariva tale, grazie alla determinazione, alla dinamicità ed alle capacità strategiche e militari del Maresciallo Rommel, notoriamente uno dei capi militari più capaci e brillanti del conflitto.
Ma come le dicevo prima, l’ incapacità della Regia Marina di acquisire il controllo delle rotte vitali per il rifornimento delle nostre truppe e del DAK di stanza in Libia, finì per vanificare tutti i risultati indubbiamente conseguiti dall’ Asse, sotto la pur espertissima guida de “La Volpe del Deserto”. I tedeschi stessi, sig.ra Maria, si erano ridotti a rattoppare i pur robusti carri con il filo di ferro, mentre gli Inglesi della VIII Armata avevano materiali e viveri da buttare.
L’ Asse arrivò alla vigilia della Battaglia fatale con il fiato grosso, ed al lumicino delle proprie scorte, e lo scontro finì come non poteva che finire, ovvero con la vittoria del più forte dal punto di vista della disponibilità di uomini e materiali.
Riguardo alle sue osservazioni sulla campagna che ci portò a perdere l’ Etiopia, non posso che risponderle in questo modo : a parte l’ abilità con gli Inglesi seppero indubbiamente trarre in inganno il comandante delle nostre truppe di stanza in tale settore, ovvero il Duca d’ Aosta, personaggio dall’ apparenza imponente e rispettabile, ma alla prova dei fatti ingenuo e persino fragile psicologicamente, occorre riflettere che l’ averci eliminati dal soprastante territorio libico, e l’ essersi impadroniti del controllo delle rotte mediterranee, non potè che favorirli nell’ operazione di progressivo “strangolamento” del bastione Etiopico, in quale a propria volta si trovò nella condizione di scoglio isolato in mezzo al mare e non potè fare altro che capitolare quando i soldati italiani ebbero esaurito l’ ultima pallottola e l’ ultima goccia d’acqua disponibili. Vede quindi come il controllo del Mediterraneo era, di fatto, indispensabile.
E’ vero che, al riguardo, gli Inglesi disponevano di basi a Malta ed a Gibilterra. Ma è altrettanto accertato (con tanto di documenti) che essi sapevano benissimo che, se la Regia Marina avesse attaccato immediatamente conquistando Malta, e spezzando così il sottile raccordo che univa Gibilterra ad Alessandria, per la Flotta Inglese le cose sarebbero state più difficili.
In caso di atteggiamento apertamente aggressivo della nostra Marina infatti, gli Inglesi avevano già deciso di evacuare Alessandria, per non rimanere intrappolati nel mediterraneo e rischiare di perdere la squadra di stanza in Egitto, accontentandosi di tenere saldamente il pilastro di Gibilterra. E’ vero che in questo modo ci avrebbero comunque “chiusi dentro”, ma è altrettanto vero che il “Mare Nostrum” a quel punto sarebbe stato veramente tale, e la possibilità di strangolare le colonie africane sarebbe stata a quel punto nostra, proteggendo adeguatamente la “quarta sponda” ed obbligando i nostri avversari a fare il giro dell’ Africa, per rifornirle.
Per quanto riguarda la ritirata del Corpo Alpino dalla Russia, sono ovviamente d’ accordo con lei, e fu una delle più lampanti dimostrazioni di quanto il governo fascista non sapesse valutare minimamente la situazione da un punto di vista militare, ma persistesse anzi nel mandare truppe su fronti per noi di nessuna importanza, con il puro e semplice obiettivo di “fare presenza” ed avere poi i famosi “mille morti da gettare sul tavolo della pace”.
Parimenti, sono d’ accordo con lei nella valutazione ampiamente negativa sul ruolo sostenuto, nella maggioranza dei fronti, dalla Regia Aeronautica.
Spero che avremo modo di confrontare le nostre opinioni nel corso di altri articoli simili a questo, un saluto cordiale.
Risposta ad Andre.
Sono tutt’orecchi pronta a sentire le cose profonde e veritiere che lei avrà sicuramente da raccontare sul Risorgimento.
E ovviamente presumo che avrà letto migliaia e migliaia di pagine di documenti in modo da poter illuminarci al meglio su quel periodo.
Se non sa da dove cominciare, posso suggerirle qualche appiglio tra quelli che vanno per la maggiore:
le piastre d’oro turche a Garibaldi, il referendum truffa del Veneto,
l’eroismo dei briganti meridionali, l’invasione dei perfidi piemontesi…
Naturalmente, essendo lei l’insegnante, mi riservo di farle delle domande.
Buona serata
Maria Cipriano
Dopo aver letto questo “articolo” sempre più fiero di esser stato in Marina Militare…. fascistelli da due soldi statemi bene, siete sempre quelli che hanno perso, per la storia stessa siete dei perdenti e così continuate con quel karma, perdenti anche nella vita.
Veramente, quelli che hanno perso siete voi.
Non riuscireste a sconfiggere un nemico nemmeno a briscola.
Stia bene.
Caro Paolo,
rispondo anch’io in ritardo per impegni vari.
I giudizi “post facta”, come lei sa, sono facili. Una volta che i fatti sono conclusi, si fa presto a fare della dietrologia, a lanciare accuse retroattive e invettive. Questo significa “del senno del poi son piene le fosse”, da riferire al passato.
La Vittoria ha cento padri e la sconfitta è orfana, dice anche un altro proverbio.
Potremmo parlare per giorni, e ognuno avrebbe da muovere i più svariati appunti alla conduzione di quella guerra finita male e che tante nefaste conseguenze ci ha portato, tra cui la perdita di territori amatissimi. Ciò non toglie che la responsabilità generale della sconfitta ricadrebbe ugualmente sul Fascismo anche se il capo della Marina in persona fosse stato un traditore, perchè la colpa ricade sempre sul comandante più in alto, e se il Duce non era abbastanza obbedito o non sapeva comandare e valutare le situazioni e le persone, peggio per lui. La guerra l’aveva dichiarata lui in modo altisonante e rassicurante, e la nazione si fidava di lui, pendeva dalle sue labbra. Tutti erano impazienti di combattere, anche i marinai.
Ci sono poi varie altre osservazioni da fare, a cui il regime, pur efficientissimo in altri campi, avrebbe dovuto interessarsi: e cioè, per esempio, che gli Stati Uniti costruivano in un mese gli aerei che noi costruivamo in tre anni, e dichiarare guerra agli Stati Uniti per andare dietro a Hitler è stata una stupidaggine, perchè ha dato agli Inglesi quello che precisamente serviva loro per non soccombere. Senza gli Stati Uniti e il loro enorme potenziale bellico, infatti, non credo che l’Inghilterra, che aveva dato già fondo a tutte le sue risorse, ce l’avrebbe fatta a rimanere nel Mediterraneo. E comunque Churchill, dopo la guerra, dichiarò in Parlamento che “l’Italia aveva causato alla Gran Bretagna danni irreparabili.”
Come vede, nonostante le mancanze e i tradimenti, abbiamo venduto cara la pelle almeno fino a Tunisi, e, per consolarci, possiamo dire di essere, almeno, annegati nell’oceano, sfidando i padroni del mondo.
Al regime Fascista, al netto dei suoi indubbi meriti in altri campi, lascio comunque socchiuso uno spiraglio circa quella malaugurata guerra persa per causa sua: e cioè che ci fossero ragioni che noi non conosciamo, piani segreti, complicazioni, insomma cose non dette. Succede nella Storia. Noi però giudichiamo in base ai dati disponibili e tangibili. Se poi c’era dell’altro (e ci potrebbe anche essere), nessuno, purtroppo, ce lo ha raccontato.
Cordiali saluti e buonanotte
Maria Cipriano
Buongiorno Maria,
questa volta come vede riesco a risponderle più rapidamente.
In tutta onestà però, non riesco a capire la sua ostinazione nel voler de-responsabilizzare gli alti vertici dei nostri comandi militari (ed in particolar modo quelli della Marina) per poi cadere nella trappola concettuale (tipicamente italiana) “del complotto oscuro” che ci ha fatto perdere la guerra.
No Signora Maria, non sono assolutamente d’ accordo. Intendiamoci una buona volta : riguardo alle responsabilità del Regime, alle sue scelte sbagliate (che per prime, hanno condizionato l’ esito del conflitto da parte nostra) la penso esattamente come lei. Io non voglio de-responsabilizzare il Fascismo; semplicemente voglio dire che la responsabilità di questa sconfitta non ricade solo ed esclusivamente sul governo, ma deve essere suddivisa. Il Duce, ed i suoi diretti collaboratori, commisero una parte degli errori. L’ altra parte, è e resta a carico dei militari. Ed in particolar modo, a carico della Marina e del suo Comando (Supermarina). Nei commenti che ho scritto in precedenza ho cercato di illustrarle quanto fosse importante – per la NOSTRA guerra – lo scacchiere mediterraneo; e come, in conseguenza di questo, il compito della Regia Marina fosse semplicemente fondamentale. In questo senso, e sotto questo aspetto, la Marina ha mancato gravemente. Più ancora dell’ Esercito e dell’ Aeronautica, che pure anch’essa ha la sua parte di responsabilità (mi riferisco sempre a livello di alti comandi, non di personale operativo-combattente). Perchè negarlo? Lo scopo iniziale dell’ articolo era proprio questo : mettere in luce le responsabilità negative di un’ arma che, soprattutto oggi, si comporta come se nulla fosse, facendo leva su un mito in parte fasullo, ed oscurando così di conseguenza la luce di coloro che, al suo interno, furono davvero meritevoli.
Ci pensi un momento. La risposta ce l’ ha sotto gli occhi : una “marionetta di partito” come il sedicente “comandante katia” viene esaltata ed osannata (sia mai!!!) ma un vero soldato, come il Comandante Di Falco, è stato oscurato completamente, gettato nel dimenticatoio dopo che hanno tentato (per fortuna senza riuscirci) di distruggerlo. Ed invece il suo antagonista, quel cret*ino di schettino, per poco non diventa una star televisiva.
E’ questa la tradizione della nostra Marina? Ma siamo seri, per favore.
E diamo le responsabilità, una volta tanto, a chi spettano.
Con tutto questo, sappia, ho gradito moltissimo questa occasione di confronto con lei e spero che ce ne saranno altre.
Anzi, mi conceda la spiritosaggine, è raro trovare utenti donne che, come lei, dimostrano passione per argomenti di tipo storico-militare, e che citano Campagna d’ Etipia, Gondar, e via di questo passo con cognizione di causa.
Quasi quasi, le faccio la corte!!!
A presto, un saluto
Indipendentemente da chi dipendesse la responsabilità c’è un solo ordine nelle forze di terra, cielo e mare: chi tradisce è condannato. Tertium non datur!
Giusto. In linea teorica.
Ma come si fa, Dio mio, a non occupare l’arcipelago di Malta grande 300 chilometri quadrati? A volte sembra che il Duce, durante la guerra, pensasse ad altro.
Dalla ;”Preghiera del Marinaio”: … Benedici le nostre case lontane! Le care genti! E benedici noi, che per esse, vegliamo in armi sul Mare!… Benedici!… Parole Sante smentite e tradite da questi che dovrebbero essere un ferrigno baluardo a difesa, appunto, delle nostre case, delle nostre genti, della Patria, insomma!… Provo vergogna e pena per il personale della marina militare che si degrada ignobilmente e con intimo gaudio a traghettatore e lacchè di autentiche orde di assassini e stupratori il cui unico scopo è quello di avvelenare l’ esistenza del Popolo Italiano, in attesa di potergli fare molto peggio, con il fattivo aiuto delle leggi a senso unico partorite da politici che odiano e sfruttano gli Italiani!!!… Che vergogna!!!
Un ricordo commosso ai mariani d’Italia caduti per la Patria, mandati a morire da chi aveva garantito loro la Vittoria. Per giunta traditi da alcuni dei loro stessi superiori che passavano informazioni al nemico. La paga dei giuda si ebbe nel dopoguerra quando le clausole del trattato di pace blindarono i traditori impedendo all’Italia, se mai ne avesse avuto l’iniziativa, di fare giustizia. Qualcuno ebbe anche una decorazione Usa o inglese. brutta pagina della storia della marina. Gli odierni alti gradi della MM non vogliono essere da meno nel remare contro gli interessi degli italiani.
Che pena leggere quel Join the navy o vedere il balletto a bordo di una nave da guerra e ascoltare la mielosa retorica della marina al servizio dell’immigrazionismo