Siena, 27 dic – Il Cammino di Santiago di Compostela, a cavallo. Per primo arriva il pensiero di andare, senza un obbiettivo preciso. Un bisogno istintivo, figlio della pletora di limitazioni che ci affliggono. E’ una pulsione un po’ selvatica, irrazionale ed egoista. Poi interviene la propria cultura, la formazione, forse la genetica. Verso la fine, la necessità di comunicare qualcosa che appartiene alla ribellione contro il secolo, a quel progresso che prende moltissimo e concede poco.
Perché la chimica di un viaggio speciale, di una impresa, si fissi, serve poi un ego robusto, una vanità antica. Senza quella è impresa sportiva al cronometro, prova di forza senza tanti orpelli. Santiago de Compostela quindi, e in sella. Perché non sono mai stato un camminatore e ho maneggiato cavalli tutta la vita e sempre con lo scopo di percorrere distanze e ne ho percorse a volte di grandi. Santiago perché l’illusione, a volte confessa e altre celata, fino dall’ottavo secolo, ha portato forse milioni a cercare una assoluzione, un compenso a fine impresa, uno scotto da pagare per le proprie disobbedienze alle leggi di Dio, un atto liberatorio o solo un alibi fragile per salutare la mogliera sovrappeso e prendersi una faticosa e lunga vacanza dagli esiti incerti.
Santiago di Compostela a cavallo. Tre anni di preparativi
Mi sono serviti più di tre anni e un tentativo fallito per dare forma al mio viaggio che mai ho chiamato «pellegrinaggio», per non millantare una fede solida che è invece fragile e in divinità che mi fanno salutare il corvo e accendere candele nelle chiese senza alcun obbligo di coerenza o continuità. Non ho mai creduto che un viaggio anche durissimo potesse assolvermi dai tanti peccati commessi, i quali, comunque farebbero sorridere un qualsiasi Dio. Non conosco molti metodi per compiere una impresa: tutto parte da una idea quasi incidentale che poi si trasforma in ossessione e quella, in una lenta e generalmente contrastata pianificazione mentre il fattore emotivo, estetico, simbolico si consolida.
Poi, arriva l’azione che deve confrontarsi violentemente con le contingenze e quindi con il denaro, il tempo, i rapporti e molto altro. Così è stato nella mia spedizione verso le Sorgenti del Nilo in Africa nel ’92 e in cento altri viaggi minori. Arrivare a un punto di non ritorno e quindi avanzare, a tutti i costi anche oltre le leggi se necessario, con fanatismo.
Questa volta però lo scenario di contorno era il peggiore. Il Covid ha cambiato i contorni della percezione, in un assetto psicologico quasi depressivo dal quale è emerso un senso forte di rivolta, di ribellione, di insofferenza alle imposizioni di un sistema che non riconosco, a tentazioni orwelliane o gestioni idiotiche di una emergenza che non nego, ma alla quale non vorrei concedere il potere di disintegrare il mio modo di esistere.
Un uomo a cavallo, nel terzo millennio
Un uomo a piedi con uno zaino di dodici chili e mille euro in tasca che vuole raggiungere Santiago, ha una lunga strada davanti a sé. Tuttavia gode di una grande leggerezza e quindi mobilità, pertanto semplicità. Un uomo a cavallo al contrario viaggia lungo un percorso di 800 chilometri in un secolo nel quale le stazioni di posta sono scomparse, in compagnia di un animale spesso fragile di circa 6 quintali che consuma 12 chili di foraggio e 6 di biada ogni 24 ore, con al seguito un quintale di attrezzatura quasi invariata da 30 secoli. In tempo di pestilenza globale i servizi di assistenza al pellegrinaggio sono stati quasi integralmente sospesi, pertanto è stato necessario prevedere un mezzo su route sul quale dormire e questo ha imposto l’impiego di un primo uomo perché tale mezzo potesse essere condotto.
La irregolarità di rifornimento sia in Francia che in Spagna, di biada e foraggio, ha imposto una ingombrante autosufficienza di 14 sacchi del peso complessivo di 3 quintali e mezzo per coprire un fabbisogno di fibra e proteine non negoziabile. Tale trasporto unito all’attrezzatura generale la quale include un generatore per la ricarica delle batterie e la necessità di fare viaggiare il cavallo dall’Italia alla linea dei Pirenei e successivamente da Santiago all’Italia, ha imposto l’ingaggio di un secondo uomo capace di gestire le complicanze tecniche e condurre il trailer e il furgone tra un campo e un altro, da una tappa all’altra su base quotidiana.
Il Covid ha creato una situazione logistico/geografica a compartimenti che potevano diventare improvvisamente stagni, con dei divieti imprevedibili di circolazione. E quindi una vera trappola. Nel corso del viaggio sono entrato in varie forme di lockdown: in Italia, in Francia, in Navarra, nella Rioja e successivamente in Galizia. Noi abbiamo semplicemente ignorato le disposizioni continuando a viaggiare a un ritmo medio di 20 chilometri al giorno in totale autosufficienza, ad esclusione dell’acqua e del carburante per i mezzi.
Verso Santiago di Compostela, avvolti dal silenzio
Lo scenario di contorno della lunga cavalcata è apparso immediatamente chiaro fino dalla zona Basca in prossimità di Pamplona. Ogni villaggio, sistematicamente, si è presentato deserto, apparentemente disabitato, spettrale. Meno di dieci i pellegrini incontrati lungo l’intero percorso per Santiago. Il Cammino, è sempre stato comprensibile nella sua durezza, nella sua componente iniziatica e introspettiva in buona parte per il confronto con altri esseri umani che fungono da «specchio» al nostro ruolo in circostanze eccezionali. Uomini e donne che si avvicinano e si evitano sulla base di una dinamica psicologicamente intricata e nel ritmo fluido di quel trovarsi e perdersi e ritrovarsi ancora su una pista interminabile e già solitaria in tempi normali, puntando a un obbiettivo che prende e perde forma e ragione di essere nel nostro immaginario.
Senza contatti umani, rimane un silenzio totale per lunghissimi interminabili tratti, interrotto a volte dal gracchiare dei corvi, dal grido di una poiana, dal rumore della pioggia.
A cavallo, la regressione violenta verso il passato remoto prende alla sprovvista. Si comprende con poco sforzo la condizione del cavaliere del XIII secolo. Si intuiscono le sue superstizioni, le paure, il sospetto, il raccoglimento, il consolidamento delle proprie convinzioni, la sfida, la disperazione, la preghiera, l’ambizione, la sofferenza fisica, la nostalgia. Ho attraversato l’assoluta maggioranza dei villaggi in uno scenario da vecchio film western. Se qualche abitante rimasto ad abitare quella Spagna perduta era in casa, si nascondeva dietro persiane chiuse dal Covid e dalla catastrofe demografica che condanna l’Europa delle campagne ad essere un ricordo che pare sgretolarsi strutturalmente e non solo umanamente.
Un atto di libertà, un omaggio
Santiago il 16 di novembre era già sigillata per chi avrebbe voluto raggiungerla. A noi era consentito il transito perché entrati in Spagna prima del 30 di ottobre. Dopo alcuni giorni, in una Galizia bellissima, ho cavalcato verso l’altura del Monte do Gozo che sovrasta Santiago de Compostela. Il mattino successivo, all’alba, ho attraversato una città moderna scintillante di pioggia dopo una cavalcata di 45 giorni e 780 chilometri. La piazza Obraidoro era deserta. Le autorità locali mi hanno concesso poco tempo per sostare davanti alla imponentissima cattedrale dalle porte chiuse al pubblico. Forse un pellegrino o due e qualche frettoloso contabile che raggiungeva il posto di lavoro.
Ho ottenuto quello che volevo ed è impossibile isolare obbiettivi, traguardi o moventi. A volte si compiono azioni anche insignificanti che mettono in moto meccanismi misteriosi, consequenzialità sulle quali non abbiamo controllo, sortendo risultati inaspettati. A volte invece qualcosa si compie, semplicemente, come se fosse scritto. Per me tutta quella strada, quella fatica, le cento difficoltà superate, gli errori commessi, hanno rappresentato un atto di libertà individuale e anche un omaggio al passato, a quello «stile di vita» che è alla base delle mie convinzioni più profonde e che spero inneschi – per intricatissimi circuiti – in qualcuno un progetto e quindi un viaggio per rotte poco battute e disobbedienti. Se così fosse, e non fosse che per questo, ne è valsa la pena.
Claudio Modola
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