Reggio Calabria, 19 apr – Nel solo weekend di Pasqua sono arrivati in Italia oltre ottomila immigrati clandestini ed anche quest’anno si teme che il record di arrivi (180mila nel 2016) venga superato ancora rispetto a quello dell’anno precedente. Eppure, oggi, tra gli approfondimenti dell‘Ansa, principale agenzia di stampa nazionale, è possibile leggere un pezzo presentato con questo titolo: “Calabria – Paese si ripopola grazie ai migranti“.
Ora, naturalmente quello che disturba non è certo il fatto del tutto legittimo e doveroso per chi fa cronaca che una notizia, sia pur in controtendenza con l’andamento generale, venga data; non siamo certo qui per coprire verità scomode. Tanto meno stupisce che, in linea con l’indirizzo politico che si intende portare avanti, un certo tipo di notizie venga presentato in chiave positiva. Ciò che è, invece, inaccettabile, tanto più che per uno degli organi di stampa più influenti in Italia, è la propaganda spudorata, condotta attraverso verità molto parziali e titoli tendenziosi.
Ma veniamo ai fatti. E’ proprio “grazie” ai migranti che rivive Sant’Alessio in Aspromonte, piccolo comune calabrese a cui fa riferimento l’articolo? Non esattamente. Come è chiaro, Sant’Alessio “rivive” soltanto grazie allo Sprar, ovvero al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati che, grazie ai fondi del Ministero dell’Interno, ha dato il via a ben 640 progetti in tutta Italia, con oltre mille comuni coinvolti e quasi 26mila stranieri che ne beneficiano. I migranti, dunque, sono beneficiari di questo sistema, pur non essendo tutti rifugiati ma, appunto, alcuni soltanto richiedenti asilo.
Come funziona il progetto e perché il sindaco Stefano Ioli Calabrò – fiero nel dare la notizia di recarsi in questi giorni a Madrid per il Forum mondiale contro le violenze urbane e l’educazione alla convivenza e alla pace – ne è così contento? Lo spiega lui stesso in una intervista concessa a “mifacciodicultura.it” nel novembre 2016: “È un welfare a due facce: per la gente del luogo e per i migranti che vengono accolti. C’è un aspetto umanitario che è prioritario, ma non si deve nascondere che esiste anche un ritorno economico per la comunità“. Un ritorno economico, appunto.
“I professionisti necessari per la gestione dello SPRAR provengono tutti dal paese e zone limitrofe: un medico, un infermiere, un operatore legale, un mediatore linguistico, un insegnante di italiano, uno psicologo e un’assistente sociale; tutte persone che hanno avuto la possibilità di rimanere nella loro terra d’origine, invece di scappare come la maggior parte dei loro coetanei“, spiega l’approfondimento a cui abbiamo appena fatto riferimento. Tutte persone che non sono scappate grazie ai soldi pubblici ed al business dell’accoglienza. Come Isabella Trombetta, 24 anni, di Reggio Calabria, che in una intervista a marzo si diceva anche lei pronta ad abbandonare la sua terra per recarsi negli Stati Uniti, dopo aver conseguito la laurea in Global Studies alla Luiss di Roma: “Ho accettato l’incarico all’interno del progetto Sprar di Sant’Alessio perché l’immigrazione è la mia passione“. Ora, lasciamo perdere le considerazioni sul senso di una frase del genere: si può avere la “passione” della solidarietà, ma cosa vuol dire essere appassionati di immigrazione? Mistero. Sta di fatto che ora Isabella, come gli altri addetti alla gestione dell’accoglienza, ha uno stipendio a pochi chilometri dalla sua città d’origine. Così come Luigi De Filippis, medico e responsabile del progetto, che sicuramente non aveva bisogno del bando ministeriale per vivere ma, insieme al sindaco, ha subito fiutato l’occasione. “Alcuni migranti – spiega il sindaco Calabrò – sono stati inseriti in servizi di pulizia delle aiuole, recupero floreale, ed altri, impegnati nei laboratori di falegnameria, stanno recuperando le panchine in legno degli spazi pubblici”. “Ai migranti forniamo un alloggio, il cui affitto è pagato dal Progetto – ha avuto invece modo di spiegare la coordinatrice del progetto Angela Spagna – e li aiutiamo, quasi tutti giovanissimi, a diventare cittadini di questo Paese attraverso formazione professionale e linguistica. Forniamo anche assistenza sanitaria e legale”.
In breve, lo Stato italiano gli dà una casa, assistenza sanitaria, legale, corsi di italiano e professionalizzanti, tirocini e facilitazioni nell’inserimento lavorativo, soldi per le spese minime necessarie; ed è per questo, pare, che dobbiamo ringraziarli. Chissà se, alle stesse condizioni, da quelle terre sarebbero scappati gli italiani. Ma, soprattutto, chi dovrebbe opporsi ad un progetto che dà lavoro a tutti con soldi pubblici, non ha bisogno di un mercato e quindi di essere economicamente efficiente e, oltre tutto, permette a chi ha abbandonato quelle case di rifarsi qualche spicciolo? “Punto centrale di questa integrazione, che avviene per gradi, non invasiva per la comunità locale, è la reciproca convenienza e sulle opportunità economiche che questa presenza offre al Paese“, ha osservato d’altronde lo stesso De Filippis qualche mese fa.
“Tutti coloro che sono impiegati nel progetto percepiscono uno stipendio che spenderanno nelle attività commerciali, che altrimenti avrebbero dovuto chiudere. Spendono anche gli immigrati, che ricevono quattro euro al giorno per fare la spesa e cinquanta ogni due mesi per acquistare i vestiti. Spendono anche le maestre, che insegnano nella scuola tenuta aperta grazie alla presenza dei figli dei rifugiati. I ragazzi più grandi si recano a Reggio Calabria, trasportati da un bus e un autista messo a disposizione dal comune ed hanno potuto conseguire la licenza media. Spendono anche i proprietari degli appartamenti che accolgono gli immigrati: essi infatti percepiscono il canone mensile dal comune, che riesce però a coprire in parte la spesa mediante l’incasso di Tari, Tasi ed altre imposte comunali”. Ilaria Scardilli, nell’articolo che abbiamo diffusamente citato, dal titolo “Sant’Alessio: dove immigrazione fa rima con integrazione”, trasforma in immagini il concetto espresso dal responsabile del progetto.
Ma a noi tutto questo non sembra una favola dell’accoglienza: è fin troppo facile fare i buoni quando farlo porta soldi. Ma, lasciando perdere anche i discorsi su identità e sostituzione, fa davvero bene allo Stato tutta questo fiorire di una economia artificiale basata sull’assistenzialismo estremo? Ed è moralmente equo nei confronti degli italiani in difficoltà?
Infine, l’altra non-verità: Sant’Alessio si è ripopolato. Il comune aspromontano ha una popolazione in calo già dagli anni Sessanta, probabilmente a causa del modello economico in fase di mutamento in quel periodo. Da un migliaio di abitanti si è passati a poco più di trecentocinquanta abitanti oggi. Nei due progetti attivi a Sant’Alessio, uno di tipo ordinario e l’altro dedicato a persone con disagi mentali o disabilità, consultando il sito dello Sprar risultano come beneficiari rispettivamente 21 e 14 persone. Una percentuale notevole e sicuramente invasiva per un comune così piccolo (il che è per noi una criticità, anziché una nota di merito), ma non certo un ripopolarsi del comune “grazie” ai migranti. Quel che è vero è che, se la popolazione rimasta è composta da pochi giovani, la sostituzione etnica in caso di permanenza è una questione aritmetica. Quel giorno sapremo chi ringraziare: non i migranti ma la stampa italiana che l’ha propagandata.
Emmanuel Raffaele