Roma, 14 gen – “Mi hai trattato come un cane”. Secondo la testimonianza di Cheik Diaw, clandestino 27enne senegalese che ha confessato l’omicidio della statunitense Ashley Olsen, queste sarebbero state le sue parole urlate alla donna prima della colluttazione che ne ha causato la morte. I fatti sembrano chiari: i due si conoscono in una discoteca. Lei ha 35 anni, è americana ma vive a Firenze. Lui è un immigrato clandestino, arrivato in Italia da pochi mesi per raggiungere il fratello. I due vanno a casa della donna. Forse assumono sostanze stupefacenti. Poi fanno sesso, consenziente. Dopodiché accade qualcosa.
Cheik ha raccontato agli inquirenti: “Mi ha detto vattene, deve arrivare il mio fidanzato e mi ha spinto alla porta”. Il comportamento avrebbe scatenato l’ira dell’uomo, che colpendo la ragazza avrebbe appunto urlato: “Mi hai trattato come un cane”. La probabile influenza di droghe ad alterare i comportamenti non cancella il carattere emblematico di tale movente. Immigrato di fresco sbarco, Cheik si sente usato e poi gettato. Anche la bella Ashley, pure con ogni evidenza aperta al valore dell’accoglienza, si è comportata come il resto dell’Occidente: ha spalancato le porte di casa sua all’altro, per godere però solo del suo corpo e poi sbarazzarsene, finendo colpita a morte. La nostra società non fa forse lo stesso, limitatamente all’uso degli immigrati come forza lavoro? Quando poi sono dentro e si sentono abbastanza a casa loro per uscire dallo stereotipo, colpiscono, scaricando un carico di frustrazioni derivati anche da promesse mancate.
Ashley, in questo, assume davvero i caratteri di tutta un’epoca. Ama l’altro secondo la sua visione esotica, simpatica, stereotipata (e quale stereotipo è più consolidato di quello sul vigore sessuale degli africani?). Ne fa la sua mascotte, al limite il suo toyboy. Ma, in fin dei conti, non lo ritiene al suo pari. Ama l’altro come proiezione di se stessa, del suo stile di vita e delle sue fantasie, ma non ha davvero intenzione di capire l’altro in carne e ossa. Il quale, invece, sembra avere altri programmi. La contraddizione sfocia necessariamente in una deflagrazione.
Giuliano Lebelli
1 commento
Personalmente, Sig. Lebelli, non mi sento assolutamente di concordare con lei e con quello che è sostanzialmente lo spirito del suo articolo.
La partita tra i due giovani, era essenzialmente alla pari : dopotutto, se è vero che lei ha goduto del corpo di lui, è altrettanto vero il contrario.
Non posso pensare che il sedicente Diaw, per una “scopata” (mi passi il termine) si illudesse di aver già conquistato e definitivamente la devozione della ragazza, se non per il suo machismo. In luoghi come quello dove è avvenuto l’ incontro si va per “rimorchiare” giusto per una serata all’ insegna dell’ alta tensione, non certo per trovare l’ anima gemella.
Lo sfruttamento delle masse di immigrati è certamente un fatto, che però è appannaggio solo di una ristretta “élite” (chiamiamola così, tanto per capirci) di criminali organizzati, non certo da parte della maggioranza della popolazione, la quale al contrario paga il prezzo della loro presenza invadente, costosa, nonché della loro brutalità di ritorno.
Io non mi sento assolutamente in colpa, ed anzi le dico chiaramente che, se dipendesse esclusivamente dal sottoscritto lo sfruttamento non eisterebbe; però allo stesso modo non esiterei un momento a ributtarli a mare, ed ognuno a casa sua.