Roma, 17 mar – Le immagini di Napoli messa a ferro e fuoco sono di una rabbia indicibile e rischiano di esserlo non solo per il capoluogo campano. La guerriglia dei supporters tedeschi dell’Eintracht l’abbiamo vista tutti: attività commerciali distrutte, panico tra gli abitanti, terrore tra i turisti. Il giorno dopo è il giorno della conta dei danni e quello delle chiacchiere da bar. Più di qualcuno, che dopo due anni di chiusure folli per la pandemia e l’alluvione che solo qualche mese fa interessò il lungomare della città stava tentando di rialzarsi, dovrà ricominciare da capo ancora una volta, ma da nessuno in questa prima giornata si è sentito parlare di responsabilità. O, se vogliamo, di colpe. C’era della ruggine tra le due tifoserie? Alimentata dai gemellaggi del tifo delle due squadre? Il calcio giocato, in questo caso da giocare, c’entra ben poco. Gli scontri dei tifosi tedeschi sono avvenuti principalmente con le forze dell’ordine – se così ancora si possono chiamare – impiegate in numero esiguo e facenti funzione di meri accompagnatori. Ma anche loro, in realtà, hanno subìto il malumore generato dall’indegno “balletto del biglietto” ideato dai vertici delle istituzioni: trasferta vietata, anzi no, ammessa. Allora, escludiamo solo i tifosi tedeschi. Ma perché? Divieto solo per chi risiede a Francoforte, no?
Guerriglia a Napoli, un caos istituzionale
Il caos istituzionale ha generato la reazione dei tifosi esclusi, a cui è stato vietato l’accesso allo stadio, ma non alla città, quali figli di Schengen che non siamo altro. Quando, a volerla dire tutta, il posto più sicuro dove concentrare tutta quella gente era proprio lo stadio, il solo luogo dove li avresti potuti tenere fino a notte inoltrata, per poi organizzare un corretto deflusso, in piena sicurezza per la città, per i cittadini, per i turisti e per tutti quelli che, invece, hanno subìto tali divieti. Oltre che i danni. Davvero non era prevedibile una simile reazione? Davvero non ci sono state letture delle avvisaglie che tutti avevano pur già anticipato? Davvero nessuno è riuscito ad intercettare quella falange di tifosi giunti a Napoli, previa tappa a Bergamo?
Il coro unanime immediatamente levatosi è stato tutto un chiedere le dimissioni del Prefetto della città partenopea, del Questore e persino del Capo del Viminale che è un “tecnico” con un passato già da Prefetto di Roma e avrebbe dovuto essere il vero valore aggiunto nell’organizzazione dell’ordine pubblico. È possibile che ci sia stata solo colpa della disorganizzazione e dobbiamo abbeverarci alle varie fonti dell’errore, della disattenzione, della mancata ponderazione del pericolo e (fare finta di) credere che l’esperienza maturata stavolta abbia toppato? O, magari, si “ottimizzerà” tali eventi occorsi per approntare una nuova stretta, una nuova restrizione, magari parimenti (folle) a quella già paradossale in vigore al Maradona che prevede l’ingresso senza bandiere, senza tamburi, senza trombe, senza striscioni?
Sono queste le personalità deputate alle decisioni, questi protocolli elaborati dai “periti” di uno Stato ormai ridotto a mero participio, che soccombe sotto la minima minaccia di chiunque, senza la benché elementare dignità, così come dimostrato dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi che, a guerriglia ancora in atto, convocava l’ambasciatore di Germania in città e, in favore di microfoni e obiettivi, si sperticava per rilanciare parole vuote e retoriche di amicizia e collaborazione, anziché presentare il conto dei danni, far sentire la propria voce per il semplice e non scontato motivo che ci si trova in casa nostra.
Oltre il calcio
Oggi, anche la narrazione sta cambiando: colpa dei napoletani. Forse per evitare di pagare i danni ai napoletani. Danni da chiedere proprio tramite il diplomatico subito rassicurato a Palazzo San Giacomo. E stiamo parlando di un caso già annunciato e destinato a risolversi in quarantott’ore al massimo. E se, invece, dovessimo affrontare simili casi improvvisi? Pensiamo che la presenza di tifosi che hanno raggiunto Napoli per la partita è lo stesso numero di sbarchi di clandestini che, ormai, si registra in una sola giornata. Se le “risorse” che sbarcano ogni giorno, se quelle già sbarcate, se quelle che ormai bivaccano in ogni parte del territorio nazionale, o, peggio, se insieme decidessero di comportarsi come i tifosi tedeschi ieri a Napoli, si agirebbe nello stesso modo?
Con uno sparuto numero di agenti che, al massimo, riescono a fare salire tutti gratuitamente su un bus per poi accompagnarli in una delle tante strutture ricettive messe a loro disposizione (da noi, contribuenti passivi)? Con tanto di guanti bianchi verso i “diversamente italiani”, ma non disdegnando di sparare getti d’acqua ad altezza d’uomo e lacrimogeni su italiani contribuenti che chiedevano solo di continuare a svolgere il proprio lavoro, di potersi godere le bellezze di questa nazione, vestigia di quella Civiltà per eccellenza che incarniamo da secoli. Da sempre.
Non è cambiando il nome, ma formando altre menti e altre coscienze, magari nazionali, avendo rispetto di ciò che ci è stato gratuitamente dato in eredità e conquistato (non da noi) a colpi di sangue e di genio, con l’orgoglio – da riscoprire – di essere italiani che ci si incammina per risolvere questi problemi. Ma non oggi. Oggi il mainstream ha rispolverato un’altra puntata della serie con protagonista Matteo Messina Denaro che va in onda da trent’anni ormai, in questo Paese. Tanto per non parlare. E per parlare d’altro.
Tony Fabrizio