Roma, 14 apr -Piero Sansonetti non trova pace. E stavolta a farsi un giornale tutto suo ci prova con l’aiuto degli avvocati. È, infatti, il Consiglio Nazionale Forense, organo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana, a lanciarsi in veste di editore nella nuova avventura editoriale dell’ex vicedirettore de L’Unità, causando già diverse polemiche all’interno della categoria fin dall’annuncio nei mesi scorsi. Del resto, “Il Dubbio”, questo il nome del nuovo giornale, nasce dalle ceneri de “Il Garantista”, quotidiano fondato dal giornalista romano soltanto nel 2014 e già accantonato non senza strascichi legali. Infatti, presentato a suo tempo in grande stile a Roma e nato grazie all’acquisto della testata “Cronache di Liberal” dall’ex comunista e poi forzista Ferdinando Adornato, “Il Garantista” ben presto aveva conosciuto scioperi e proteste a causa del mancato pagamento degli stipendi, con arretrati che hanno infine superato le dodici mensilità e i fondi pubblici (630mila euro) andati per la maggior parte al solito De Rose (507mila euro), già stampatore e creditore di “Calabria Ora”.
Ecco perché, pochi giorni fa, sull’account Facebook ufficiale del Garantista, compariva un post dai toni durissimi, non firmato, a nome degli ex “soldati di Calabria Ora”: “sul barcone assolato – che fu location scelta per la presentazione del Garantista – non siamo stati invitati, sulla scialuppa non c’è posto per tutti. La nave affonda, il capitano Piero si salva e la terza classe affonda”. “Per noi”, prosegue rabbioso il post, “la fanteria calabrese di un’avventura contrattualmente da sogno, i colleghi ‘romani’ erano quelli che immaginavamo accomodati nella loro redazione che affacciava su piazza di Spagna, a consumare l’aperitivo delle otto a San Lorenzo, (perché loro chiudevano le saracinesche ore e ore prima e ce ne accorgevamo quando la loro prima pagina veniva postata con entusiasmo su Fb intorno alle otto e un quarto di sera mentre in Calabria si era ancora nel pieno del delirio) quando noi, affogati di caldo e ansia da Reggio a Cosenza, consumavamo mezzanotti e briciole di ferie, spegnendo aspettative sul futuro man mano che i conti correnti arrossivano”. “Lavoravamo quasi il doppio”, si legge in conclusione, “per mantenere le copie e i nostri possibili stipendi. «Salvare gli arretrati» era il mantra”. Ma evidentemente, sottolineano i protagonisti dell’esperienza conclusasi in un ennesimo fallimento, c’è ci è stato più furbo. Ed è con queste cattive premesse e coi soldi degli avvocati, dunque, che si apre “Il Dubbio”: dalla “terza classe” abbandonata al mondo delle professioni un tempo definite borghesi.
Nel primo numero della nuova testata, in edicola da due giorni, un breve articolo lamenta la “furia mediatica” di chi ritiene ingiusta la semilibertà concessa dopo appena nove anni alla rumena Doina Matei, che aveva ucciso per futili motivi a Roma Vanessa Russo. In prima pagina, invece, un vecchio editoriale dello scomparso Umberto Eco, uscito su L’Unità nel marzo 2001 e, accanto, quelli di Sansonetti che spiega: “Questo nuovo giornale che nasce oggi – Il Dubbio – ha una aspirazione: quella di fare ciò che Umberto Eco chiedeva inutilmente 15 anni fa”. Un giornale che ponga “i diritti al di sopra di tutto” e, al tempo stesso, un giornale che “proverà ad essere oggettivo. A non schierarsi con un partito o con l’altro. A non fare il tifo”. Quanto alla natura istituzionale dell’editore, Sansonetti risponde così: “oggi, in Italia, gli editori non sono mai “produttori” di idee ma di merce. Non ci sono editori puri: ci sono costruttori di case, di macchine, di scarpe, finanzieri, commercianti, petrolieri. Sono loro i padroni dei giornali. Ognuno entra in editoria per difendere i propri interessi. Editori puri, zero. Gli avvocati non hanno interessi economici da difendere. Sono l’editore più puro che esista nel panorama nazionale”. Un giornale che non si fondi sui rapporti tra giornalismo e potere politico, che non basi la sua cronaca sulle chiacchiere del loro teatrino, questo chiedeva Eco, questo promette di dare Sansonetti. Tutto molto bello se non fosse per un punto che ritorna costantemente: la profonda distanza che continua a persistere nell’intellighenzia di sinistra tra il predicare bene ed il razzolare male come abbiamo visto con la precedente esperienza de “Il Garantista”. Anche la direzione di “Calabria Ora”, del resto, non si era conclusa in maniera troppo felice e forse le premesse, anche in questo caso, non erano delle migliori. Collaboratore e caporedattore del quotidiano del Partito Comunista fin dal 1975, poi direttore di Liberazione, giornale di Rifondazione Comunista, grazie al duo Vendola-Bertinotti, fino al 2009, quando viene rimosso in seguito ad un deficit di oltre tre milioni di euro, Sansonetti viene infatti chiamato nel 2010 dall’editore calabrese Pietro Citrigno, imprenditore nel settore delle cliniche private con alle spalle una condanna per usura, a dirigere il quotidiano “Calabria Ora”. Ma il giornale ad un certo punto fallisce e cambia nome, diventando “L’Ora della Calabria”, sotto la guida del figlio Alfredo e nei fatti la stessa squadra e lo stesso prodotto. Ospite spesso dei salotti televisivi, gradito al centrodestra per il suo garantismo che brandiva coerentemente anche a favore dell’odiato Berlusconi e, in una occasione, persino del Blocco Studentesco di CasaPound, Sansonetti avrebbe in seguito lasciato “Calabria Ora” a causa di un piano di licenziamenti che si era rifiutato di assecondare e spiegando, soprattutto, di “avere accettato troppi compromessi” durante la sua direzione. Del resto, non erano mancati altri lati oscuri nel passaggio da “Calabria Ora” a “L’Ora della Calabria”, che aveva visto persino il suicidio del giornalista Alessandro Bozzo, costretto dall’editore, secondo l’accusa della magistratura, a risolvere il contratto di lavoro in corso a tempo indeterminato rinunciando a qualsiasi vertenza o pretesa, in un processo in cui l’allora direttore compariva come testimone della difesa.
L’idea di Citrigno era quella di un giornale di centrosinistra; la società editrice, del resto, nasceva dall’acquisto delle quote di Paese Sera Editoriale, titolare della storica testata romana Paese Sera. Ma la superiorità morale della sinistra, anche in questo caso, si era rivelata ben presto per ciò che è (una bugia) e nel 2014, dopo meno di un decennio, il giornale chiudeva in seguito alle conseguenze di uno scandalo che aveva portato alle dimissioni dell’appena nominato sottosegretario alle Infrastrutture del governo Renzi, Pino Gentile, big del nuovo centrodestra. Lo “squalo” della politica calabrese, infatti, non aveva gradito le indiscrezioni sulle indagini a carico del figlio e, magicamente, lo stampatore Umberto De Rose, presidente anche dell’ente regionale in house Fincalabra, dopo una telefonata con l’editore, comunicava la rottura delle rotative. Il giornale quel giorno non uscì. Il successore di Sansonetti, Luciano Regolo, diffondeva così l’audio di una telefonata tra l’editore e lo stampatore, in cui si evidenziavano le pressioni di Gentile per mezzo proprio di De Rose, ma anche un rapporto non troppo chiaro tra editore, stampatore e politica, a conferma che qualcosa non quadrava nell’ambiente. In seguito allo scandalo, De Rose si decise a far valere i suoi crediti e, sommerso dai debiti, il giornale chiuse. Sansonetti poté quindi richiamare alcuni dei suoi ex collaboratori e, insieme al team romano guidato da Davide Varì, dar vita a “Il Garantista”, con diffusione nazionale ed tre edizioni regionali calabresi. Ora parte “Il Dubbio” e, visti i precedenti, mai nome fu più adatto ad un giornale.
Emmanuel Raffaele