Roma, 21 mag – La delocalizzazione? Una sana scelta economica, anche se ha lo spiacevole effetto collaterale di creare nuovi schiavi a basso costo. Sembra dirci questo un paragrafo di un libro di testo per studenti che sta circolando in queste ore sui social network.
Diffuso per primo dalla pagina facebook “Ufficio Sinistri. Il buco nero in cui è scomparsa la sinistra”, il passaggio è tratto da Leonardo, sussidiario di educazione tecnica per la prima media inferiore, libro scritto a quattro mani da Cesare Benedetti e Corinna Romiti ed edito da DeA scuola, il ramo educazione della casa editrice De Agostini. Così leggiamo a proposito della probabilmente più esecrabile pratica della globalizzazione: “Essa è un vantaggio per l’azienda, che in questo modo riduce il costo della risorsa lavoro e può quindi offrire il suo prodotto ad un prezzo più basso, risultando più competitiva”. Tuttto qui. Non una parola sulle decine di migliaia di posti di lavoro persi nel corso degli anni a seguito del trasferimento di produzioni dall’altro capo del mondo.
Quasi un danno necessario e non meritevole di menzione, o forse addirittura positivo visto che, proseguono gi autori “la delocalizzazione è un bene anche per il Paese in cui la produzione viene trasferita perché in quell’area vengono creati nuovi posti di lavoro che, per quanto poco pagati, sono sempre meglio della disoccupazione”. La stessa creata, per inciso, nei Paesi d’origine. E che in quelli di destinazione si chiama poi schiavitù, viste le condizioni. Ma scriverlo sarebbero stato politicamente (e liberisticamente) scorretto.
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