Bergamo, 9 apr – Mentre l’Italia lotta per recuperare sull’avanzata dell’epidemia di coronavirus, a Bergamo, provincia epicentro della tragedia, si lavora senza sosta per capire cosa non sia andato per il verso giusto. Tanti gli aspetti da vagliare che si trovano ora al banco degli imputati, come riporta oggi il Corriere: uno di questi riguarda i fine settimana del febbraio-marzo scorso, che i bergamaschi – e non solo – avevano scelto di trascorrere presso le località sciistiche delle Valli. Era la fine di febbraio, già cominciava a essere noto che il virus stava iniziando la sua propagazione sul territorio, eppure gli impianti rimanevano aperti e la gente vi si ammassava in tutta tranquillità.
A marzo sembrava ferragosto
Non a caso il primo a risultare positivo al Covid-19 a Colere, in Val di Scalve è stato proprio un maestro di sci. Una situazione che Pietro Orrù, il sindaco di Vilminore, ricorda essere rimasta tale fino al 7 marzo, alla vigilia della chiusura della Lombardia e di altre 14 zone: «Code di auto, seconde case tutte aperte, sembrava Ferragosto. Il virus è stato preso sotto gamba, bisognava intervenire molto prima», ricorda.
Già il 23 febbraio i primi cittadini della provincia erano stati convocati a Bergamo per affrontare l’emergenza: «A parte che eravamo in duecento, e chissà se qualche collega si è contagiato proprio lì, ma da quel momento si sono perse almeno due settimane». Orrù rammenta di avere chiesto delucidazioni presso i militari dell’Arma circa la possibilità di ordinare la chiusura degli impianti di risalita. «Senza un grave motivo di sanità pubblica» è «impossibile», questa la risposta dei carabinieri.
«La gente ci rideva in faccia»
A quel punto – siamo ai primi di marzo – le amministrazioni locali avevano iniziato ad adottare le prime timide misure di sicurezza, sotto forma di avvisi, cartelli che esortavano al distanziamento, accessi divisi in corsie. «Ma la gente ci rideva in faccia. Non avevamo l’autorità per far rispettare regole che nessuno prendeva seriamente», spiega Roberto Meraviglia, amministratore delegato di Irta spa che gestisce il comprensorio Presolana-Monte Pora. Dello stesso avviso Silvio Rossi, che ha in gestione le strutture di Colere: «La verità è che nessun ente aveva capito cosa stava realmente succedendo». Senza dimenticare gli altri imputati al banco dell’accusa: «Gli impianti funiviari sono diventati un capro espiatorio, ma in quelle settimane c’è stato il Carnevale di Venezia e l’Atalanta ha giocato a San Siro…», ricorda.
Ad aggravare la situazione, come rammenta l’avvocato Benedetto Bonomo, la situazione meteorologica di quei giorni, una manna per gli impianti dopo anni di difficoltà: «Le giornate erano splendide, la neve incredibile». Lo stesso ex sindaco di Colere due giorni fa ha presentato un esposto sui ritardi ad Alzano: «Il vero nodo è capire chi poteva dare agli amministratori o agli imprenditori un pezzo di carta su basi scientifiche per intervenire, e non lo ha fatto».
Cristina Gauri
1 commento
Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.