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Coronavirus, l’appello dai bus turistici: “Il Governo intervenga o chiuderemo tutti”

by Cristiano Coccanari
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Roma, 11 mar – Si è parlato poco di loro, ovvero delle aziende di autobus turistici, nonostante centinaia di ore dedicate dai principali giornali emittenti all’emergenza del Coronavirus. Eppure sono tra i più fortemente colpiti dalla crisi, della quale hanno iniziato a risentire già ai primi di gennaio visto che il turismo dall’Asia costituisce una parte non trascurabile del fatturato che si è aggravata dopo il blocco dei voli dalla Cina e che è poi diventata drammatica dopo il 20 febbraio quando l’epidemia è approdata in Italia.  Annullate prima le gite scolastiche, poi qualsiasi tipo di viaggio con bus ormai fermi sine die.

“I nostri autisti sono tutti a casa – ci spiega il proprietario di un’azienda del centro Italia che chiede di rimanere anonimo ‘per non farsi pubblicità sulla tragedia’ e l’intera stagione è di fatto saltata. Ma intanto dobbiamo continuare a pagare leasing, tasse di circolazione, stipendi, contributi, scadenza fiscali. Avremmo da recuperare dei crediti da agenzie di viaggi con le quali collaboriamo ma chiaramente sono messi come noi. Per quanto riguarda i leasing, ci è stato proposto il rinvio della rata a settembre ma a quel punto ne dovremmo pagare due alla fine di una stagione che si prospetta con zero incassi. Abbiamo già chiesto alcuni giorni fa al Governo di intervenire urgentemente perché a rischio la sopravvivenza dell’intero settore ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta”.

Le richieste al governo

Cosa chiedono dunque le aziende di autobus turistici? Cassa integrazione in deroga a prescindere dal numero dei dipendenti (attualmente prevista solo per le aziende più grandi), la sospensione dal pagamento di tutte le forme di finanziamento, dei leasing e dei mutui (sia quota capitale che quota interessi) contratti prima della data di inizio dell’emergenza; l’attivazione di fondi di garanzia regionali e statali per garantire il prosieguo delle attività; il congelamento dei versamenti di oneri fiscali e contributivi; la sospensione delle cartelle esattoriali emesse dall’agenzia delle Entrate, dall’Agenzia dell’Entrate Riscossione e di tutte le rateizzazioni e rottamazioni in corso; sospensione a tempo indeterminato di tutte le tasse di circolazione dei mezzi e di tutte le tasse di ingresso ZTL delle città d’arte.

Un lungo elenco di richieste insomma, che serve però a dare l’idea di quanti siano gli oneri e balzelli ai quali l’azzeramento del fatturato non può consentire di fare fronte. Il nuovo decreto previsto per venerdì (non c’è fretta…) nell’ambito dello stillicidio di provvedimenti del governo Conte in merito al Coronavirus sembrerebbe venire incontro, sempre che non venga rimaneggiato, solo a una piccola parte delle necessità di queste aziende, necessità che certamente possono essere estese con qualche modifica all’intero comparto del turismo.

La cifra che servirebbe per non affondare

Il caso specifico, comunque meritevole di attenzione visto che mette a rischio moltissimi posti di lavoro e la stessa sussistenza di tante famiglie, serve anche a porre in evidenza in maniera plastica come anche i 25 miliardi di intervento (di cui solo la metà sarebbero erogati ora) previsti dalle ultime anticipazioni di stamattina del premier Conte continuino a non essere sufficienti, seppur già lontani dalla ridicola cifra di 3 miliardi con la quale si era partiti 20 giorni fa. Non bastano infatti a scongiurare la morte di tantissime aziende e una forte recessione. Sarebbe molto più efficace, e vicina alle reali necessità, la somma di 50 miliardi prevista da una recente proposta di CasaPound Italia.

Cristiano Coccanari

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