Roma, 29 ott — La Corte d’Assise di Como ha condannato all’ergastolo Ridha Mahmoudi, il 56enne tunisino che il 15 settembre 2020 a Como aveva barbaramente assassinato, accoltellandolo alle spalle, don Roberto Malgesini, il «prete dei migranti». Non ha retto la tesi della difesa che richiedeva il riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere. Mahmoudi era assolutamente consapevole del proprio gesto, premeditato a lungo.
Ergastolo per il killer del “prete dei migranti”
«E’ morto come un cane, ed è giusto così», fu l’agghiacciante dichiarazione resa dal tunisino durante l’interrogatorio. Nessun pentimento, solo volontà di vendicarsi del sacerdote, a sua detta, lo voleva espulso dall’Italia. Paese in cui non doveva nemmeno trovarsi, visto che dal 2015 aveva accumulato sei denunce per violazione della legge sull’immigrazione. «Provvedimenti di espulsione non eseguiti fin dal 2015», aveva specificato la Caritas di Como. L’ultimo di questi provvedimenti è datato 8 aprile 2020, ma era stato sospeso per il blocco dei voli dovuto all’emergenza coronavirus. Così l’immigrato aveva ben pensato di rivalersi su don Malgesini, il prete che era solito accoglierlo e sfamarlo. Dopo la prima confessione era arrivata la giravolta: Mahmoudi aveva ritrattato tutto, negando ogni coinvolgimento. Poi era arrivata la cara, vecchia richiesta di «infermità mentale».
La requisitoria
Nella lunga requisitoria il pm Astori aveva ripercorso tutte le fasi dell’omicidio, riprese dalle telecamere di videosorveglianza, per poi tratteggiare la storia personale del killer, passando per i decreti di espulsione mai eseguiti. Fino alla conclusione: Mahmoudi è capace di intendere e di volere, pur essendo affetto da manie di persecuzione. Aveva premeditato il gesto e sapeva cosa stava facendo. Il sacerdote, nato in provincia di Sondrio, è stato sorpreso alle spalle e colpito con più fendenti alla schiena mentre camminava sulla stradina in salita in direzione della chiesa. Il cadavere del prete era stato notato da alcuni passanti che hanno chiamato i soccorsi, ma invano. All’arrivo dell’ambulanza, per Malgesini non c’era già più nulla da fare.
Don Malgesini, una vita per gli immigrati
Come detto, il sacerdote era noto in città per essere da tempo in prima linea nella cura di senzatetto e stranieri, collaborando principalmente con le varie associazioni che si occupano di accoglienza. Era a capo di un gruppo di volontari comaschi con cui quotidianamente portava la colazione agli extracomunitari. Sempre pronto a intervenire nelle situazioni più critiche di marginalità, pur non essendo titolare di una parrocchia viveva in quella di San Rocco, a breve distanza dal luogo in cui stamattina ha trovato la morte, per mano di uno di coloro che si era prodigato ad aiutare.
Cristina Gauri