Roma, 22 apr – Sta suscitando più di una preoccupazione e di una perplessità il peculiare mosaico composto dai principali finanziatori di Bending Spoons, la società per azioni creatrice della discussa app Immuni, scelta dal governo per poter passare finalmente alla agognata Fase 2 e superare così l’emergenza Covid-19. L’interesse è talmente alto e le potenziali criticità di ordine giuridico e geopolitico così evidenti che il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha chiesto l’intervento dei servizi segreti per verificare se dietro la società possano celarsi anche interessi potenzialmente lesivi della sicurezza nazionale.
Ma da cosa originano questi timori? Come abbiamo rilevato, la Bending Spoons vanta un variegato universo di finanziatori – fatto piuttosto usuale nel mondo delle società più direttamente collegate al digitale e alle sue molteplici sfumature. Una delle principali preoccupazioni emerse e che già ha punteggiato il dibattito politico e giuridico riguarda la raccolta, il trattamento e la gestione della elefantiaca mole di dati che la società, in partnership con la società di marketing specializzata in big data Jakala, finirebbe per maneggiare. Il secondo aspetto, che invece tanto ha inquietato il Copasir, è quello dei finanziamenti ricevuti dalla Bending Spoons.
Il salotto buono degli investitori
E’ Il Sole 24 Ore a fare i nomi del «salotto buono» dei finanziatori della società, che annovera volti tutt’altro che casuali della finanza italiana – come Renzo Rosso, Paolo Marzotto, Giuliana Benetton, i Dompè e i Lucchini senza dimenticare ovviamente i figli di Berlusconi e il finanziere Davide Serra, cioè il principale finanziatore di tutte le campagne elettorali di Matteo Renzi – e di quello internazionale, come il Nuo Capital, specializzato in investimenti di fondi cinesi in Italia. Renzo Rosso, fondatore della Diesel e della holding Otp che raggruppa vari marchi di moda, il 28 marzo, in una dichiarazione riportata dal Corriere della Sera ha candidamente spiegato che è tempo di rinunciare alla privacy e di farci tracciare da una app. Il che non fa che aumentare le perplessità sulla visione di insieme di Immuni, se i suoi finanziatori – tutti peraltro facenti parte del gotha globalista – nutrono questo genere di considerazione.
Un analogo discorso va fatto per Jakala, nella quale figurano sempre i figli di Berlusconi, e mediante una holding capitali riferibili a Rosso, ai Dompè, alla Benetton, oltre alla presenza di Mediobanca attraverso il suo veicolo finanziario Epic, utilizzato per un club deal nel 2018 e che ha permesso a Jakala una implementazione del proprio azionariato. Ne risulta pertanto un incrocio evidente tra le due società.
Intreccio di sovranità
Inutile dire che parte dei timori riguardano la sovranità nazionale: timori derivanti dalla presenza di investimenti cinesi, ma non solo: come ha avuto modo di spiegare il sen. Lucio D’Ubaldo su Formiche «la Bending Spoons fa parte di un consorzio privato (PEPP-PT), con sede in Svizzera, nel quale spicca la presenza di varie università tedesche, ad esempio, ma non di analoghe istituzioni italiane; a suo supporto opera la svizzera Fondazione Botnar, aderente a una rete denominata SwissFondations, a sua volta vigilata dal Dipartimento degli Interni della Repubblica Elvetica»; una supervisione istituzionale sul processo di creazione della app e sulla sua gestione – compresa quindi la gestione dei dati – potrebbe veder protagonista anche il governo cantonale. E’ quindi chiaro come l’intreccio di sovranità tra Italia, Svizzera e Cina, non abbia confini e limiti ben definiti – alla faccia della tanto sbandierata «trasparenza».
Ironia della sorte, a portare queste criticità all’attenzione del Copasir sono stati, a quanto riporta Libero, proprio due componenti del Pd e del M5S, appartenenti quindi a quella stessa maggioranza che ha istituito la task-force sul digitale la quale ha individuato Immuni come migliore applicazione tra le varie proposte. Di cosa si è trattato quindi, uno scrupolo di coscienza tardivo o svista clamorosa?
Chi c’è dietro Nuo Capital
Per quanto riguarda invece Nuo Capital (che sta per New understanding opportunities), si tratta di una realtà entrata da alcuni anni nel mondo produttivo e finanziario italiano, con sede a Milano. Aperta da ormai tre anni, dietro la holding c’è il 40enne Stephen Cheng, magnate di Hong Kong della famiglia Pao Cheng. Si tratta di una realtà in forte espansione e che ha già compiuto diverse operazioni nei settori più disparati, dalla produzione vinicola ai cosmetici; nei fatti, opera entrando come socio di minoranza all’interno di realtà italiane, cercando di ricoprire il ruolo di una sorta di interfaccia, di ponte verso l’Asia.
Come rileva sempre Il Sole 24 Ore, Stephen Cheng è nipote di Sir Y.K. Pao, uno degli uomini d’affari cinesi più famosi che, negli anni ’50 del secolo scorso, arrivò a possedere la più grande flotta commerciale al mondo. Alla morte del fondatore nel 1991 l’immensa fortuna legata alla World wide shipping andò agli eredi. Nuo Capital non è altro che uno dei tanti rami di questo impero. Fondato nel 2016 e guidato da Tommaso Paoli, l’ex di Banca Imi di Intesa Sanpaolo che è rappresentante legale della società che fa capo alla lussemburghese N.U.O., Nuo Capital opera soprattutto nel private equity investendo in aziende che hanno potenzialità di sbocco in Cina.
Molto da chiarire
In apparenza non vi sarebbe «nulla di strano» – si fa per dire – in tutto questo. Si tratta di quel vasto e insieme di alta finanza, digitale e globalizzazione che ormai da anni è protagonista dell’economia mondiale. Qualche interrogativo però, come abbiamo detto prima, se lo sono posti anche gli stessi esponenti della maggioranza di governo. A tal punto che uno dei più perplessi e critici è stato proprio il deputato del Pd Enrico Borghi, che ha sollevato la questione presso il Copasir, con riferimento all’interesse nazionale e alla sicurezza del Paese. Questo anche perché il capitalismo cinese difficilmente riesce ad essere del tutto svincolato e indipendente dal governo cinese. Il rischio, in ipotesi, è che dietro tutto questo possano giacere interessi riferibili direttamente anche a Pechino. La riunione in cui dovrebbe avvenire la discussione in seno all’organismo parlamentare sui servizi è per altro prevista per oggi, 22 aprile. Di aspetti da chiarire ve ne sono molti.
Cristina Gauri
9 comments
Hanno trovato il modo di far soldi col Big Data.
E questi dati potrebbero esser rivenduti a peso d’oro a clienti dell’Estremo Oriente
Non scaricate nessuna App, nemmeno quelle di giochi o altro. Tutte le App sono fornite dal server google, e potrebbero contenere quella di tracciamento sotto forma di trojan non rilevabile dai normali anti.. Virus del vostro smartphone. Così “immuni” verrebbe scaricata senza saperlo… Occhio e sempre vigili!
Balordi ne pensate 1 al secondo per ingannare la bra gente. Vergognatevi
[…] refusal to download would authorize the authorities to limit some of our freedoms. Doing “eat ”the usual suspects, then. But to him that je […]
La questione è molto semplice, non la scarico e a mali estremi si può fare anche a meno dello smartphone. Che poi non sarebbe nemmeno una cosa estrema, ma saggia
[…] 28 apr – Pensavate di esservi liberati dell’app Immuni? Nonostante non se ne stia parlando da qualche giorno dopo le polemiche su privacy e […]
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