Roma, 28 feb – Nato nel 2008, Airbnb ha rapidamente conquistato il mercato della ricezione, affermandosi anche in Italia, con crescente attenzione, offerta e domanda. Ma cos’è Airbnb? Si tratta di un portale nato nel 2008 che permette di prenotare un appartamento o una stanza per la propria vacanza, consentendo così di programmare il proprio soggiorno a prezzi spesso molto concorrenziali rispetto a quelli delle tradizionali strutture alberghiere.
L’utilizzo per l’utente è semplice: dopo aver completato la registrazione, che può avvenire anche semplicemente collegando un account social, ci si trova davanti alla possibilità di cercare tra le varie offerte per la località desiderata, o aggiungerne una propria e divenire in questo modo “host”. E per qualsiasi dubbio si può utilizzare il form di contatto, le reti social, o anche chiamare un più tradizionale numero di telefono. Il sito ha, come altri portali di servizi, un sistema di feedback e recensioni che consente a chi è in cerca di un alloggio di poter velocemente valutare serietà e qualità dell’offerta, e finisce per integrare quello che a prima vista potrebbe sembrare un “win-win” sia per chi può trovare un alloggio per le vacanze a prezzi competitivi, sia per i proprietari degli immobili che possono spuntare remunerazioni più alte del tradizionale affitto. Un meccanismo alla base della crescita esponenziale del fenomeno anche nel nostro Paese: nel 2018 il numero di arrivi nelle strutture ospitate dal portale ha superato infatti gli 8 milioni.
Ma il successo di Airbnb non è solo rose e fiori: il sempre maggior ricorso alla piattaforma, che consente di non avere molti degli svantaggi di una locazione tradizionale ma solo i vantaggi – in termini di tasse, maggior introiti, possibilità di non legarsi per anni a un contratto – potrebbe essere una concausa dell’impennata degli affitti, fenomeno peraltro già conosciuto in altri paesi europei come la Spagna. Accanto a questo, c’è già da tempo l’alzata di scudi delle associazioni di categoria delle strutture ricettive, che lamentano la concorrenza sleale che il servizio farebbe loro. Del resto, è facile intuire come il fenomeno Airbnb possa colpire la fascia medio-bassa delle strutture, ovvero gli hotel non di lusso, i bed and breakfast, gli agriturismi.
L’ostilità di Federalberghi e altre associazioni di categoria ha peraltro ottenuto già una piccola vittoria: è infatti dello scorso 18 febbraio la sentenza del Tar del Lazio che respingendo il ricorso della società di San Francisco ha confermato che Airbnb dovrà trattenere il 21% di tasse dai guadagni dei suoi utenti rendendosi così a tutti gli effetti sostituto di imposta. Secondo le stime del precedente governo, un’operazione del valore di 139 milioni di euro già nel 2016 e che nel 2018 sarebbe già salita a 400 milioni che il fisco potrà recuperare. Comprensibile soddisfazione hanno espresso le strutture ricettive, mentre la piattaforma ha già preannunciato ricorso al Consiglio di Stato.
Quello che è certo, è che il “sistema” Airbnb è destinato a incidere sempre di più sugli equilibri di mercato dell’offerta ricettiva e alberghiera in Italia.
1 commento
Io utilizzo la piattaforma di Airbnb da ormai 5 anni sia come “host” sia come “guest”. Pago le tasse di soggiorno, le tasse sugli affitti e sono felice del sistema.
Infatti affittando sulla piattaforma Airbnb posso
ritagliarmi dei periodi da trascorrere nella mia casetta, posso decidere in base alle recensioni se fidarmi del l’inquilino e soprattutto vengo pagata.
Vorrei fare un esempio: quando
vado in albergo devo dare la carta di credito, se affitto un appartamento devo solo dare due mesi anticipati e poi non pago …. protetto dalla legge.
Vorrei anche aggiungere che se reinvesto in lavori di ristrutturazione, ho un credito di imposta, ma se ho
pagato le tasse come cedolare devo chiedere un rimborso che arriva dopo 5 anni….