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Serie A, un buco nero: dove finiscono i giovani italiani?

by Marco Battistini
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Roma, 10 ago – Chi perde spiega, lo sappiamo. E ultimamente, quando parliamo di Italia ci siamo ritrovati fin troppe volte ad analizzare umilianti prestazioni accompagnate da pesanti sconfitte. Svezia, Macedonia o Svizzera, solo per citare quelle dove – sulla carta – partivano almeno alla pari. Che il discorso azzurro sia poi collegato alle dinamiche della massima competizione nazionale (e a cascata, con tutto il sistema professionistico) è fuori di dubbio. Ci siamo quindi presi la briga di leggere qualche numero snocciolato ultimamente dal Cies: interpretando le statistiche possiamo affermare che la Serie A – rispetto a quanto prodotto dai settori giovanili – sia un vero e proprio buco nero. Ma andiamo nel dettaglio.

Bene gli azzurrini, il campionato Primavera regge

Lasciamo da parte ogni discorso soggettivo. Ossia, è vero, molto probabilmente i bambini non giocano più a pallone per strada ma – torniamo alla realtà, ovvero nel 2024 – non può essere quello il nocciolo della questione. Piuttosto diamo ragione al coordinatore Maurizio Viscidi per il quale – tra le altre cose – gli attaccanti del domani crescono troppo “da sponde”, allenando poco o nulla il concetto di profondità, il sentire la porta avversaria. Come l’abc lo si impara sui banchi di scuola, anche l’insegnamento del calcio, nella sua complessità, va affidato ai settori giovanili. Una lunga catena che dai campetti di periferia arriva fino all’aristocrazia pedatoria delle grandi società. Dove, almeno fino al campionato Primavera, l’italianità regge.

Cifre intorno al 70% degli atleti (nell’ultimo lustro), secondo il portale specializzato Transfermarkt. Anzi, mentre scriviamo – il dato, ancora spurio, è però indicativo – si registra nel più importante torneo Under-19 un peso italico pari al 75%. Certo, si può sempre migliorare. Ma rimangono numeri in controtendenza rispetto al 60% di stranieri utilizzati tra i grandi nell’ultima stagione (57% nel 2022/23, prospettiva per l’imminente annata: un bel – si fa per dire – 62%).

Serie A, i numeri del buco nero

L’Italia è un paese per vecchi, si dirà. Non proprio, un po’ a sorpresa. Eccoci – appunto – al rapporto del Cies. L’età media della Serie A, buco nero per i ragazzi italiani, si attesta sul 26,9. Statistiche del tutto simili, giusto per fare un paragone concreto, alla Bundesliga tedesca o alla Premier League inglese – rispettivamente a 27,0 e 26,7. Ovvero meno del valore totale dei 53 campionati analizzati (27,2) ma anche della tanto decantata Liga, con gli spagnoli raggiungono un poco virtuoso 27,5. Buttando velocemente un occhio sulle squadre, Milan e Juventus con un’età media pari a 27,0 in tal senso fanno meglio sia del Real Madrid campione d’Europa che – seppur di poco – del Manchester City.

Il punto di rottura tra settori giovanili e squadre di Serie A viene quindi evidenziato da due successive statistiche. Il minutaggio percentuale dei calciatori cresciuti per almeno tre anni in ogni singola società (fascia di età 15-21) ci vede – in pratica – far peggio di tutti. Il campionato spagnolo è al 19,6% noi ci fermiamo su un pessimo 5,5%. Nel dettaglio: al di là del caso limite Athletic Bilbao – 68,3% – bene Real Madrid e Barcellona (37,1% e 32,3%). Le migliori delle nostre? Escludendo l’Atalanta, che supera il 20%, le uniche ad andare in doppia cifra sono Milan e Roma.

Ultimo ma non per importanza. Sempre in termini di minutaggio percentuale, chiudiamo con gli atleti impiegati ma cresciuti all’estero. Qui il 62,4% ci porta (purtroppo) in zona promozione – in Spagna sono al 39,1%. Bocciate Udinese, Milan, Bologna e Genoa, tutte sopra l’80%. Torniamo alla domanda iniziale: dove finiscono i nostri giovani, quelli che con i pari età si fanno comunque rispettare e vincono i titoli di categoria? Finiti i numeri, rimangono da risolvere i problemi culturali.

Marco Battistini

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