Roma, 1 lug – Sempre più presente – nostro malgrado – nella vita di tutti giorni, l’inglese si è imposto in Europa come lingua commerciale solamente al termine del secondo conflitto mondiale. Non fa eccezione a questa tendenza il mondo del pallone, dove l’idioma proveniente da Albione contamina vieppiù il tecnicismo calcistico. Dai play off al clean sheet, dal fair play al check del Var, fino al player trading: l’elenco sarebbe lungo e seccante, ma basterebbe semplicemente sfogliare la rubrica sportiva di un qualsiasi giornale per rendersi conto del crescente livello di contaminazione. Ma se è vero che la sfera di cuoio non può fare a meno di un continuo confronto con radici e identità ecco che, a sorpresa – ma fino a un certo punto – dentro al rettangolo verde possiamo riscoprire nel latino una parte integrante della pratica nazional-popolare per eccellenza.
Non solo la Juventus
Per oltre 1.700 anni – sicuramente ben oltre il medioevo – la lingua che fu di Roma ha accompagnato le avventure e i primati del Vecchio Continente. Italica, quindi indoeuropea, affine alle corrispondenti celtiche, slave, germaniche e, soprattutto, al greco. Dalle coste iberiche ai monti Carpazi almeno un terzo degli abitanti comunica per mezzo di una sua diretta discendente.
Non può quindi essere frutto della sola casualità che la squadra più vincente dello stivale porti un nome latino: ai ragazzi del liceo d’Azeglio bastò apportare una piccola modifica al termine iuventus. Se nel nostro paese l’esempio bianconero è sicuramente quello più calzante e duraturo, la citazione è d’obbligo invece per la breve esperienza della Florentia Viola. Nata a inizio millennio sulle ceneri della Fiorentina, la nuova compagine gigliata vince subito il campionato di C2 2002/03 prima di tornare alla storica denominazione. Diversi riferimenti sparsi per lo Stivale hanno dato nel tempo il loro contributo al calcio professionistico: tra le altre Virtus Entella, Vis Pesaro, Robur Siena, Pro Patria (di Busto Arsizio), Lucchese – a lungo Libertas. Anche l’acronimo della ferrarese SPAL ha al suo interno Ars et Labor.
Nel resto d’Europa
E proprio perché tutto il passato continentale è spiccatamente romano, anche in Europa ritroviamo squadre dal nome latino. A Siviglia, ad esempio. Betis contraddistingueva ieri il Guadalquivir (fiume dell’Andalusia) e oggi significa per tutti la squadra di calcio che ha fatto sua la Coppa di Spagna appena dodici mesi fa. Rivolgendo lo sguardo a nord, troviamo due Borussia. Così infatti si chiamava in antichità la Prussia: sia il Dortmund che il Mönchengladbach vantano affermazioni tedesche e coppe europee. Meno blasonato l’Alemannia Aachen di Aquisgrana, vice-campione di Germania nel lontano 1969, in Bundesliga fino al 2007. Più a est il Klub Sportowy Cracovia nella prima metà del secolo scorso si è laureato in cinque occasioni campione di Polonia, ultimamente invece ha vinto la coppa nazionale. Era invece il 1875 quando in Scozia – più precisamente in quel di Edimburgo – un gruppo di irlandesi fondò l’Hibernian, omaggiando così l’antico nome dell’isola smeralda.
Le inglesi? A lezione di latino
Rimaniamo in Gran Bretagna. Dove il calcio continua a parlare inglese, è vero. Ma anche oltremanica gli antichi romani devono aver lasciato ben impressa la loro impronta di civiltà. Tra le partecipanti dell’ultima Premier League infatti sono quattro le società che hanno inciso sul proprio stemma (se non oggi, almeno fino al recente passato) una dicitura latina. Nil satis nisi optimum è ancora presente – sotto la torre del principe Rupert e la doppia corona d’alloro – sulla bandiera dell’Everton. Da Liverpool a Londra: victoria concordia crescit tuonava il blasone dell’Arsenal, audere est facere rispondeva il cugino del Tottenham. Infine, è sempre un’iscrizione italica – eliminata dal logo nel 2016 – ad aver accompagnato il principio dell’ormai decennale ciclo targato Manchester City. Superbia in proelio per i freschi campioni d’Europa. Ultimamente i mancuniani hanno vinto ben più di una battaglia…
Marco Battistini