Roma, 15 gen – Sono passate poco più di due settimane da quando il mondo del pallone ha salutato a malincuore Pelé, uno dei maggiori protagonisti della sua secolare storia. Si è sempre parlato poco del rapporto tra il brasiliano tre volte campione del mondo e il nostro paese. Forse perché nelle occasioni in cui O Rey ha incrociato i tacchetti con le maglie azzurre, per noi sono stati dolori. Come nella finale di Messico 70, finita 4-1 per i verdeoro. Il numero dieci per antonomasia fece sembrare piccolo piccolo lo specialista della marcatura a uomo Tarcisio Burgnich, roccia di soprannome e di fatto. Sappiamo del derby di mercato tutto milanese di metà secolo e del viaggio di nozze alla scoperta del Belpaese. Il passaggio più importante – e allo stesso tempo misconosciuto – vede però la bandiera del Santos scoperta da un allenatore italiano. Il suo nome era Giuseppe Ottina (1912-1992). Ma andiamo con ordine.
Giuseppe Ottina, dall’Impero al Sudamerica
Nato in Piemonte – a Foglizzo per la precisione – poco più che maggiorenne Pinot si arruola nella Guardia di Finanza. Sono gli anni in cui il governo italiano guarda con interesse alle arretrate terre del Corno d’Africa. Proprio in quella regione si completerà l’Impero già sognato dagli eroi del Risorgimento. Proprio nell’appendice ossea che prolunga il continente nero sull’oceano indiano si andava realizzando la missione italica: strade, scuole, porti, ospedali, un progressivo abbandono della schiavitù. La civiltà del lavoro a beneficio tanto degli indigeni quanto della nazione colonizzatrice. E’ in questo contesto che Ottina – partito con ogni probabilità come volontario – svolge il proprio servizio nell’attuale Somalia.
Arriverà poi il secondo conflitto mondiale. E con esso le soverchianti forze degli eserciti alleati. Detenuto quindi in un campo di prigionia inglese compie un primo ritorno nella madrepatria solamente al termine della guerra. Ma all’Italia imbruttita dal tradimento, devastata dai bombardamenti angloamericani e soffocata dal protrarsi della guerra civile preferisce – come tanti altri connazionali – il Sudamerica. Cile, Perù, Bolivia per poi fermarsi in Brasile.
L’esperienza al Santos
Siamo quindi nei primi anni cinquanta. L’ex fiamma gialla – un po’ per passione, un po’ per intelligente intuizione – decise di applicare lo spirito pionieristico respirato in Africa proprio al pallone. La Seleção pentacampione era allora qualcosa di neanche minimamente immaginabile, nessuno ancora parlava di futebol bailado. Il motivo è presto detto: nell’immaginario collettivo a farla da padrone era ancora la nazionale azzurra (campione del mondo 1934 e 1938) che si spartiva l’Olimpo della pedata con i parenti stretti dell’Uruguay, freschi di maracanazo.
Arriva così la chiamata del Santos. La squadra, ricca di talento, gioca davvero bene. Diverte ma – piccolo particolare – non fa risultati. L’inevitabile esonero porta più di un rimpianto per Ottina. Prima di essere sollevato dall’incarico avrebbe infatti cavallerescamente rifiutato la panchina della selezione argentina. Una proposta arrivata dal presidente Perón in persona, colpito dalle trame degli uomini in maglia bianca.
Non solo Pelé
Proprio mentre il generale rimaneva affascinato dalle idee del tecnico piemontese, quest’ultimo, negli istanti precedenti una gara del campionato paulista, si sofferma sui numeri esibiti da un raccattapalle. Il ragazzino di soli quattordici anni – in forza al Bauru, locale squadra dilettantistica – fu subito segnalato ai dirigenti del Santos, che convinsero il giovane ad effettuare un provino. Il resto poi è storia, con le gesta di Edson Arantes do Nascimento incarnate nel mito.
Ma prima di “scoprire” Pelé il piemontese donò al palcoscenico internazionale un’altra stella. Nello stesso anno infatti (1954) José Macia in arte Pepe fu lanciato tra i grandi. Colonna della compagine paulista – oltre quattrocento reti – l’ala mancina ha vinto due titoli iridati con la Seleçao. Ottina farà ritorno in Italia qualche mese più tardi: per lui ci saranno le panchine di Novara e Casale, oltre a un periodo di collaborazione con il Torino. Dopo un lungo peregrinare, si era ricongiunto con il suo popolo. Quello formato da santi, poeti e navigatori. Ma anche da rivelatori di talento.
Marco Battistini