Roma, 17 apr – La sesta e per il momento ultima stagione di “The Walking Dead” si è da poco conclusa e soltanto ad ottobre, con l’arrivo della settima stagione, i fan della serie basata sull’omonima opera a fumetti scritta da Robert Kirkman, scopriranno chi, nell’ultima scena del sedicesimo episodio, viene colpito a morte da Negan. Ma, al di là della suspense e delle diverse ipotesi possibili, l’ultima puntata ha certamente lasciato un senso di inquietudine stranamente nuovo per una serie che racconta un mondo ormai invaso dagli zombie. Non sarebbe, del resto, la prima volta che muore un personaggio importante, a cominciare da Shane Walsh, che nelle prime due stagioni ricopre praticamente il ruolo di co-protagonista, e da Lori, moglie del protagonista, Rick Grimes, nonché amante di Shane prima di scoprire che il marito è ancora vivo.
No. Non è questo. L’inquietudine che “regala” il finale della sesta stagione è diverso, scenico, creato ad arte, con il monologo probabilmente finora più lungo dell’intera serie (almeno dieci minuti), condotto peraltro da un personaggio che compare per la prima volta e, accompagnato da un fischiettio raccapricciante, fa strani riferimenti al “Nuovo Ordine Mondiale”. Negan cattura i personaggi principali della serie, proprio quando ormai avevano la certezza di essere liberi, fuori pericolo, padroni di loro stessi ma la dinamica cambia rispetto al solito copione dello scontro: “qualunque cosa tu faccia, non mi importa che cosa, non puoi sfidare il Nuovo Ordine Mondiale. Il Nuovo Ordine Mondiale e questo ed è davvero molto semplice. Anche se siete stupidi potete capire. Siete pronti? Ora velo spiego, state attenti: datemi quello che avete o vi ammazzo”.
Si tratta, dunque, di uno che, come tanti prima di lui, cercavano di sopraffare il prossimo, solo con molti più uomini? Non proprio. D’altronde, in un dialogo con Rick, Jesus, che li conduce nella sua Hilltop, già sottomessa al volere di Negan a cui la sua gente dedita al commercio paga il 50% di “tributi”, anticipava: “Il tuo mondo sta per diventare molto più grande”. A conferma delle sue parole, Negan, rivolgendosi ad uno sconvolto Rick, afferma: “Bella merda, eh, il momento in cui realizzi che non sai un cazzo?”. Il suo potere è nascosto e non è solo militare: è organizzato, strutturato, gestisce le informazioni capillarmente e non uccide quando non serve. Il suo potere si fonda sullo sfruttamento, sull’estorsione. La minaccia di ritorsioni e la vastità del suo potere sembrano sufficienti a prevenire qualsiasi forma di ribellione, la pillola da ingoiare per sopravvivere più o meno felicemente è sottomettersi. Negan ha bisogno di gente da spremere, non da far fuori. Se non ti sottometti, molto semplicemente, ti prende tutto con la forza e magari qualcosa di più.
La figura di Negan sembra richiamare metaforicamente molto da vicino le teorie “complottiste” sul Nuovo Ordine Mondiale basato sul potere economico, sovranazionale, nascosto e fondato sull’usura bancaria. “Oggi è il career day”, spiega, “noi abbiamo investito molto perché voi capiate chi sono e cosa posso fare. Voi lavorate per me ora. Quello che avete lo date a me. Questo è il vostro lavoro. So che è una pillola grande e amara da ingoiare ma ingoiarla è senza dubbio quello che farete. Tu eri abituato a dettare legge, hai costruito qualcosa. Pensavate di essere al sicuro. Ma ormai lo sanno tutti che non lo siete affatto. Neanche lontanamente. A dirla tutta siete fottuti. Vi scaverete la fossa se non farete ciò che voglio e ciò che voglio è la metà di ciò che avete. E se vi sembra troppo, potete sempre produrre, trovare o rubare altra roba per compensare. This is your way of life now (È così che vivrete adesso). E più vi opporrete, peggio sarà. Quindi se qualcuno busserà alla vostra porta, voi lo farete entrare. Perché quella porta appartiene a noi e se cercherete di fermarci la butteremo giù”.
Costretto ad inginocchiarsi insieme ai suoi, prima di incontrarlo, Rick, è senza parole: per la prima volta ha visto in faccia il potere. E non ha una bella faccia. L’avventura di Rick e dei “camerati” incontrati sulla sua strada (“Daryl, tu sei mio fratello”) prosegue verso una sfida che non è più la sopravvivenza, ma vale la pena guardare indietro per capire quanto “The Walking Dead” sia molto di più di una serie fantascientifica. E, al di là della consapevolezza o meno di sceneggiatori ed autori nel nascondervi certi significati, da un punto di vista antropologico, resta un’interessante lettura del potere. Si, esatto. “The Walking Dead” ci parla di democrazia, autorità, sovranità, teoria e legittimazione dello Stato e della violenza. La catastrofe non è il punto centrale della storia. Le istituzioni sono già crollate. Vige l’anarchia. E subito si scopre che non è quello stato primordiale di armonia tra gli esseri viventi ipotizzato dalle visioni buoniste di alcuni progressisti che vedono l’origine del male nella civilizzazione di tipo occidentale a dispetto di un idealistico stato di natura. Né trova corrispondenze ideologiche rispetto alle teorie marxiste sull’abbattimento dello stato per la realizzazione di una umanità finalmente libera, non oppressa e solidale. No, la verità è che l’anarchia è propedeutica alla sopraffazione, propedeutica al male.
Ma ricostruire e non accontentarsi della sopravvivenza animalesca, invece, affiora come il vero e più autentico istinto della specie umana. Quella volontà di andare oltre, oltre la sopravvivenza, oltre le apparenze, oltre il mangiare ed i bisogni essenziali, che ci caratterizza e distingue come uomini. Ciò che meglio e di più grandioso riesce all’uomo, in effetti, accade quando è libero dalle necessità della sopravvivenza. Ed è per questa interiore consapevolezza che cerca l’ordine, l’organizzazione, la stabilità, la sicurezza. Fin dall’inizio, d’altronde, Rick e i suoi si trovano a riflettere sulla definizione di essere umano, quando è legittimo uccidere e chi, come prendere le decisioni.
Il primo passo è definire l’umanità. E gli zombie, uomini tornati in vita a causa di un virus e dediti alla caccia delle persone, non sono considerati uomini. Ma il parere, almeno all’inizio, non è unanime. Si muovono, hanno sembianze umane, c’è chi si rifiuta di ucciderli, chi prova senso di colpa. E proprio questa “morale” si rivela fonte di pericolo. Inutilmente perché, come si rivela chiaro poi a tutti, gli zombie sono privi di pensiero, di anima, corpi imprigionati in una vita che è solo meccanica, corpi da liberare dopo la dipartita di ciò che li rendeva uomini, esseri del tutto privi di coscienza di sé. È il regno degli inferi in senso metafisico che invade il mondo. Molto più complesso si rivela decidere quando è legittimo uccidere esseri umani. Già verso la fine nella seconda serie si parla di pena di morte. Ed in maniera per nulla superficiale. Uccidere nella serie non viene mai dato per scontato.
L’aspetto “morale” è sempre messo in evidenza. Il primo passaggio fondamentale nella conquista della leadership per Rick è, del resto, il dualismo con il rivale Shane. Meno approfondito nel fumetto, nella serie, invece, il personaggio acquista maggiore centralità e, a tratti, sembra essere l’alter-ego di Rick. Entrambi forti ed abili, entrambi capi. L’uno, Rick, fatica ancora ad adattarsi ad un mondo in cui le regole sono tutte da riscrivere e continua ad agire secondo un metodo diventato ormai anacronistico, ancorato ad una fiducia nel prossimo che il crollo delle istituzioni ha reso pericolosa. L’altro, invece, si è adeguato fino all’eccesso, e parzialmente in buona fede, al nuovo corso, decidendo di mettere al centro se stesso senza alcuno scrupolo morale. L’amicizia tra i due è autentica ed il personaggio di Shane è forse tra i più interessanti della serie proprio per questa inclinazione al male quasi involontaria, condotto ad esso dall’aspirazione di proteggere chi ama. Proprio l’uccisione di Shane per mano di Rick, dopo un piano ordito dall’amico per farlo fuori, segna un passaggio importante: Rick, che tende alla giustizia, è ora consapevole che la giustizia, in certe situazioni, non passa per la compassione. E che proteggere la propria comunità da chi ha sbagliato è, a volte, priorità assoluta. Carl, il figlio, uccide quello che per lui era un secondo padre, seppur in forma di zombie, prima di dover fare la stessa cosa con la madre. In passato aveva fallito e la sua esitazione aveva provocato indirettamente la morte del vecchio Dale. Non fallirà più.
Intanto il gruppo, in preda al panico, sembra sul punto di dividersi ma è a questo punto che Rick chiarisce: “chi vuole andare vada, da solo non andrà lontano. Chi resta, però, sappia: questa non sarà più una democrazia”.
Sempre attento al parere del prossimo, tradito dall’amico e dalla moglie, Rick capisce che il suo spendersi e le sue capacità gli danno il diritto ed il dovere di un potere di comando indiscusso ed, in seguito, si mostrerà sempre più risoluto ed in grado di vedere la realtà per quello che è, senza che questo lo conduca a rinunciare all’essere giusto. Smetterà di indossare la sua vecchia divisa da poliziotto, simbolo di un’autorità ormai inesistente, ma sarà sempre la giustizia la sua prima preoccupazione da capo. E comprenderà suo malgrado che l’utilizzo della violenza è connaturato all’esercizio del potere, essendo uno degli attributi essenziali della sovranità. Così, la sua autorità, che si avvale comunque del parere di chi combatte accanto a lui, si legittima e si fortifica all’interno del suo gruppo e rimane inalterata anche nello scontro con la città fondata dal cosiddetto “Governatore”. Rick diventa sempre di più un capo politico ed agisce di conseguenza. L’epilogo della vicenda è interessante per un episodio che ne è legato indirettamente: dopo una prima vittoria e l’apparente calma, Rick decide di prendersi una pausa, viene creato un Consiglio, una sorta di aristocrazia guerriera che prende le decisioni, mentre lui si dedica a costruire una “casa” migliore per tutti ed obbliga il figlio a rinunciare all’utilizzo delle armi, che crede lo abbiano reso troppo freddo. Quest’attimo di debolezza si rivelerà un’illusione ed a farglielo notare è Daryl: “c’è bisogno di aiuto e tu non puoi stare qui a fare il contadino”. Il suo essere capo è un dovere di servizio, non un privilegio. Rinunciarvi sarebbe come tirarsi indietro e rifiutare la realtà.
Ecco, a questo proposito, l’importanza simbolica dell’incontro con la con la comunità di Alexandria. Rick, più degli altri, non si fida più di nessuno. Ma all’interno della piccola comunità, finora estranea agli sconvolgimenti, regna invece ancora una fiducia irreale. Si vive ancora come prima della catastrofe. Il pericolo è dietro l’angolo. Rick e i suoi subito avvertono il disagio di una comunità che vive una realtà artificiale. In qualche modo, sembra osservino il mondo prima della catastrofe rendendosi conto di quanto fosse finto. Le preoccupazioni per una torta venuta male, la debolezza di chi rinuncia a difendersi semplicemente guardando da un’altra parte, per non vedere che fuori il mondo muore. E loro, una umanità integrale che sa sopravvivere ma anche darsi un ordine, si sentono ormai fuori posto rispetto a chi vive nella rimozione della natura primordiale dell’uomo, fino ad affievolirne le capacità, spuntarne gli artigli. Loro, reduci di una lunga battaglia, temono che le comodità li indeboliscano rispetto alle leggi anche brutali del mondo e della natura. La sfida di Rick contro il burocraticismo di Alexandria si rivelerà più insidiosa di quella con la morte. La comunità rischierà di sfaldarsi ma non sarà la forza lo strumento per vincere questa volta. Golpe et lione, Rick sa che questo è il momento di ricostruire, che l’albero è ancora giovane e può essere raddrizzato. Sarà la sua comunità, forgiata dalla lotta, in cui nessuno resta indietro e per il quale è essenziale il culto dei caduti (a confermalo è Glen nella sesta stagione), a dare nuova linfa ad una “civiltà” decadente.
La comunità rinvigorita rinasce nel momento stesso in cui l’autorità di Rick viene definitivamente riconosciuta quando, in prima linea contro gli zombie che hanno ormai invaso la sicura Alexandria, si getta da solo nella mischia e con il suo esempio trascina tutto il popolo alla lotta. L’esempio, più che le parole con il quale non è mai stato troppo bravo, è la sua arma migliore. Rick che, per la prima volta dalla catastrofe, sente di nuovo di avere una patria, una casa, da difendere, decide che stavolta non c’è altra strategia: si combatte a costo di morire. “Furor arma ministrat” (Eneide). Il furore procura le armi. E di furor, questa sorta di invasamento divino comune ai poeti ed ai guerrieri, sembra impregnata l’intera scena che è forse la più bella e simbolica dell’intera serie. Sotto una pioggia battente, quando tutto sembra perduto, Rick rimette al centro il coraggio, che prende il sopravvento ed ora può sfidare l’impossibile. Va oltre l’umano, oltre la ragione e la stessa forza.
Significativa, peraltro, la vicenda di padre Gabriel, sacerdote incontrato nella quinta stagione, da sempre ambiguo e che, dopo aver voltato le spalle e lasciato morire i suoi fedeli per viltà, accusa Rick e i suoi, i quali lo avevano salvato nonostante tutto: “Satana molto spesso si traveste da angelo della luce”, riferisce a Deanna, ex deputata del Congresso che ha dato vita alla comunità di Alexandria. Una falsa autorità spirituale ed un’autorità politica ormai debole e priva di reale sovranità, rischiano di infiacchire il gruppo e la comunità intera. Ma nella battaglia finale di Alexandria contro gli zombie, anche padre Gabriel e Deanna scenderanno in campo riconoscendo in Rick il capo e la giustizia. E, ritrovata la propria identità di uomini integrali, tutti combattono al suo fianco per la vittoria.
Emmanuel Raffaele
1 commento
ho sempre snobbato questa serie. Dopo questo ottimo pezzo, credo proprio la inizierò