Roma, 4 nov – La stucchevole sortita di Renzi rispetto alla permanenza di Visco alla direzione di Banca d’Italia mostra una volta di più quanto il Pd oramai non abbia più praticamente nulla del monolitico “centralismo democratico” che pure sembrava l’eredità più cogente del vecchio Pci.
È però ancor più interessante il fatto che, seppur di sfuggita, questa vicenda ha riportato in auge, per qualche ora, la vecchia questione circa l’indipendenza della banca centrale dal governo, sotto forma di polemicuccia sulle “porte girevoli”. In pratica, si accusano molti ex funzionari della Banca d’Italia di aver trovato un lavoro ben remunerato in qualche banca privata italiana una volta terminato il proprio incarico, e questo evidentemente configura un discreto conflitto d’interessi. Se un ispettore presso la popolare di Vicenza sa che da lì a qualche mese andrà a lavorare come “consulente” presso la stessa, ci penserà bene prima di mostrarsi eccessivamente fiscale sui bilanci della medesima.
Esistono ad essere onesti delle regole abbastanza blande per regolare l’accesso nel settore privato degli ex dipendenti di via Nazionale. Per esempio, devono passare tre anni dalla cessazione dell’incarico alla stipula di un contratto presso un istituto di credito operante in Italia. Si tratta però di poco più che un paravento, assolutamente inefficace nel prevenire abusi e corruttele, che sono intrinseche alla filosofia di fondo che regola il funzionamento dell’istituto centrale di emissione in Italia ed in Europa.
Se infatti si accetta supinamente l’idea della sua “indipendenza”, non esiste in realtà alcuna razionale giustificazione alla netta cesura che deve esistere fra pubblico e privato. Da notare che al di fuori dell’eurozona, nonostante comunque si accetti tranquillamente questo principio di fondo, è prassi che le banche centrali comunque sostengano indirettamente le politiche fiscali dei rispettivi governi, per esempio mantenendo basso il costo di finanziamento del debito pubblico tramite l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario. È di questi giorni, tanto per fare un esempio, la notizia che la Banca del Giappone proseguirà ad acquistare titoli di Stato giapponesi per 80 trilioni di yen al mese, di fatto diventando la maggior detentrice del debito pubblico nazionale.
In Europa abbiamo portato questo già nefasto principio (l’indipendenza dell’istituto di emissione) fino al punto di demandare in toto la politica monetaria ad un ente privato transnazionale, lasciando alle banche centrali nazionali l’unico compito della vigilanza bancaria. Si dirà: cosa osta al fatto che almeno questo incarico non possa essere svolto decentemente? Semplicemente: perché dovrebbero?
Sappiamo benissimo che, al netto delle ruberie e delle malversazioni, che nessuno nega, la colpa del disseto dei bilanci delle banche è di natura macroeconomica, quindi di ben precise scelte di politica fiscale e monetaria. E la Banca d’Italia è assolutamente impotente contro questo stato di cose, salvo il voler scoperchiare un calderone dalle conseguenze imprevedibili. “Indipendenza” vuol dire anche questo: irresponsabilità. Irresponsabilità figlia di un sistema che è stato scientemente costruito per evitare qualsivoglia decisionismo politico nel nome del feticismo delle “regole”.
Non vogliamo certamente negare che Banca d’Italia poteva fare di più, per esempio nel caso abbastanza torbido dell’acquisto di Antonveneta da parte di Monte dei Paschi. Prezzo assurdo, transazioni opache a dir poco, torbidi legami fra massoneria ed opus dei, un “suicidio” (quello di David Rossi) quantomeno sospetto. Non lo neghiamo: c’è del marcio a Siena. Semplicemente, ci riserviamo il diritto di far notare come non può sempre essere tutto spiegato dall’equazioncina grillina del “se so magnati tutto”. Esiste la politica, dunque esiste la politica economica. E anche Visco è funzionale agli interessi di chi ha montato il baraccone europeista.
Matteo Rovatti