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Vestirsi per lo stadio, l’importanza dell’estetica per il mondo Ultras

by Roberto Johnny Bresso
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Estetica Ultras

Roma, 28 gen –  Qualche tempo fa ci siamo occupati dell’estetica e dell’abbigliamento skinhead, oggi invece tratteremo lo stesso argomento per quanto riguarda il movimento ultras.

Estetica Ultras, una storia lunga

Fin dagli albori del movimento (che, convenzionalmente, si fa risalire con la nascita nel 1968 della Fossa dei Leoni del Milan) i giovani appartenenti ai gruppi ultras si distinsero immediatamente dai compagni maggiori di tifo per un distacco radicale nell’abbigliamento da stadio: mentre i loro genitori gremivano gli spalti indossando il cosiddetto “abito della domenica”, vale a dire giacca, cravatta e cappello, i figli si presentano sui gradoni con divise più battaglieri, le stesse che indossavano in strada, magari durante le manifestazioni studentesche o politiche. Del resto stiamo parlando della fine degli anni ’60 e degli anni ’70, periodi di contrapposizioni politiche e di ribellione giovanile. Ecco quindi che gli ultras vestono con eskimi e parka, con bandane, con le Clarks, con gli occhiali da sole a specchio, con spessi maglioni di lana e con le prime magliette colorate… Poi, come forma di autofinanziamento e per rimarcare la propria appartenenza, i gruppi presero a stampare le prime sciarpe e magliette recanti nome e simbolo del proprio nucleo.

Con l’inizio degli anni ’80 l’Italia entrò in un periodo di stabilità politica e di benessere economico, quindi vennero progressivamente abbandonate le canoniche “divise” militanti per lasciar spazio al vestiario comune dei giovani di tutti i giorni, oltre ad un notevole incremento della produzione di materiale ultras che permetteva immediatamente di distinguere i membri di una data tifoseria. Arrivarono poi nel nostro paese le sottoculture britanniche, che diedero così un’ulteriore spinta “modaiola” al popolo della curva. Tutto questo si sovrapponeva poi all’allora sottocultura italiana imperante un po’ ovunque, vale a dire quella paninara, che caratterizzò soprattutto le tifoserie di Milano, del Nord Est e di Roma. Ma la cosa più mirabile, osservando una curva o un gruppo ultras, era la straordinaria ricchezza e varietà di costumi: una sorta di variopinto arcobaleno che però creava una sorta di unità. Un occhio esperto, al di là dei colori del club, avrebbe potuto individuare ogni singola tifoseria con un certo grado di accuratezza solo osservandone una foto: i contatti con i tifosi di altre città all’epoca erano estremamente limitati, quindi, escludendo la rivista Supertifo (vero e proprio riferimento ultras da Nord a Sud), ci si rapportava solamente con i propri compari di curva e, quindi, si imitava il look dei personaggi più in vista della propria tifoseria.

Dagli anni Novanta al presente

Gli anni ’90 tendono a seguire a livello estetico i propri predecessori, anche se fanno sempre più capolino le sottoculture d’oltremanica ed i gruppi ultras ormai tendono a produrre materiale di qualsiasi tipo. Verso la fine del decennio l’estetica casual inizia a bussare prepotentemente alle porte dello Stivale e sempre più ragazzi scelgono marchi come Stone Island, Burberry o Aquascutum. La curva resta comunque il solito atelier popolare nel quale gli stili più disparati possono coesistere fianco a fianco componendo un unico mirabolante mosaico di mode e colori.

Con gli anni duemila tutto però cambia: internet diventa ormai la principale fonte di informazione di chiunque, sempre a disposizione 24 ore su 24 anche sul nostro telefono cellulare. Un ragazzo di una grande città ha a disposizione le stesse informazioni di uno che abita in un piccolo paesino sperduto. Questo vale ovviamente anche per l’ambiente ultras: tutti sanno come si vestono tutti! E quindi di conseguenza si tende ad uniformarsi. Praticamente non si notano più differenze tra tifoserie di grandi e di piccole squadre, tra quelle del Nord e del Sud, tra quelle di sinistra e di destra. Anche l’occhio clinico più esperto ora farebbe fatica a dare il nome ad una tifoseria da una semplice fotografia: adesso quasi ovunque prevale il look “total black”, che in effetti è nato da un’esigenza di base assai pratica: oggi l’occhio del Grande Fratello tutto vede e tutto sa, quindi, in caso di situazioni di tensione con altre tifoserie, il nero uniforme garantisce almeno una leggera parvenza di anonimato.

Quello che però è certo è che il movimento ultras, nei suoi quasi 60 anni di vita, ha dato un importante scossone alla moda giovanile, che sempre più spesso prende spunto dall’abbigliamento da stadio, ribaltando ciò che accadeva in passato, quindi possiamo affermare con certezza che il cammino ultras/moda non è certo finito. Non resta dunque solo che aspettare per vedere che altre sorprese ci riserverà.

Roberto Johnny Bresso

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