Roma, 24 mar – Ripubblichiamo di seguito un articolo di Gianluca Veneziani uscito il 23 agosto 2016 su Libero a proposito del confino di Spinelli, Rossi e Colorni a Ventotene.
Ventotene: un periodo di “ferie forzate”
La vulgata considera “eroi della ragione” e “martiri della libertà”, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, estensori tra il 1941 e il ’44 del cosiddetto Manifesto di Ventotene, che avrebbe posto le basi per la futura Unione Europea. Ci sarebbe innanzitutto da porsi seri dubbi sul fatto che i tre di cui sopra abbiano davvero combattuto per la libertà, visto che il testo cui diedero vita prevedeva il superamento dello Stato-nazione nell’ottica dell’internazionalismo socialista, in una prospettiva che avrebbe alimentato l’attuale dirigismo europeo, dimentico della sovranità dei popoli e affidato alle élite tecnocratiche.
Ma la maggiore perplessità riguarda il fatto che i tre personaggi in questione, insieme agli altri antifascisti confinati a Ventotene (nel ’43 erano in tutto circa 800), siano stati realmente dei martiri. Il metodo del confino – già in sé il più blando tra i sistemi di repressione del dissenso, di certo non paragonabile alle purghe staliniane o alle deportazioni naziste – per quanto illiberale e odioso, venne applicato dal fascismo con un certo margine di tolleranza, soprattutto nell’isola di Ventotene. Prima prova è la decisione – un clamoroso errore strategico, dal punto di vista del regime – di concentrare in quell’isola tutti i maggiori dissidenti, dai comunisti (Umberto Terracini, Pietro Secchia, Mauro Scoccimarro, Camilla Ravera, Giovanni Roveda) ai socialisti (Sandro Pertini, Lelio Basso) ai giellisti (Riccardo Bauer, Francesco Fancello, Dino Roberto), trasformandola così in un’enclave dell’opposizione antifascista, che avrebbe creato i presupposti per la Resistenza e favorito la nascita della futura classe dirigente del Paese.
Il governo di Ventotene
Non a caso molti parlarono di un “governo di Ventotene”, parallelo a quello di Roma e a lui avverso. Ulteriore aspetto è la grande libertà culturale che venne concessa all’interno dell’isola, definita non a torto “l’Università del confino”: agli antifascisti lì concentrati fu data la possibilità di studiare, documentandosi su testi di economia, filosofia e letteratura; di tenere lezioni di storia, statistica e tecnica militare agli altri confinati; e perfino di scrivere opere, come capitò appunto a Spinelli e Rossi col Manifesto di Ventotene, ma anche a Pietro Grifone, che lì partorì la sua opera più importante, Il capitale finanziario in Italia.
Più in generale, quanto alle libertà civili, Ventotene fu un luogo di ferie forzate più che di forzato isolamento: «due volte alla settimana un battello congiungeva l’isola al continente: portava le provviste, qualche familiare, ma anche i giornali e le notizie dall’Italia». Parola di Luigi Longo, comunista considerato l’autore materiale della fucilazione di Mussolini e in quegli anni confinato nell’isola, che nel libro Un popolo alla macchia descrive quell’esperienza come un periodo di «forzata inattività» fatto di «lunghi giorni di meditazione, dinanzi al mare d’Italia», in cui era possibile immaginare un futuro diverso per il Paese, cibandosi di pastasciutta, verdure coltivate negli orti, carne, pesce e dolci (leggersi, a riguardo, anche le testimonianze biografiche relative a un altro confinato, il comunista Giovanni Pesce). Le maglie della censura fascista, d’altronde, erano molto labili. Sull’isola arrivavano comunicazioni confidenziali se non “illegali”, nascoste nelle pieghe di un vestito o nelle copertine di un libro, circolavano versioni clandestine di opere e documenti, come le copie dello stesso Manifesto di Ventotene, e nascevano perfino amori, come quello tra Ursula Hirschmann, moglie di Eugenio Colorni, e lo stesso Altiero Spinelli, che si innamorò di lei, mentre il suo sodale era stato trasferito al confino a Melfi.
Metafora di debolezza
Non sorprende che alcuni antifascisti siano stati addirittura grati all’esperienza del confino. Come diceva Pietro Nenni, «io non sono certamente un uomo di cultura, ma qualcosa so, qualche libro l’ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mandò al confino a Ponza». La stessa immagine pop del Pertini che gioca a scopone in aereo dopo la vittoria del Mundial ’82 nasce forse tra Ponza e Ventotene visto che là, come racconta ancora Nenni, «Sandro il tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa coi nostri guardiani». Ventotene fu insomma la metafora non della durezza, ma della debolezza del regime. E lo conferma simbolicamente il fatto che proprio quell’isola fu deputata a essere il primo luogo di confino di Mussolini, dopo il 25 luglio 1943, in un significativo passaggio di consegne tra fascismo e antifascismo (sebbene poi il Duce non vi approdò mai, venendo trasferito a Ponza). Ma la verità è che, concentrando a Ventotene alcune menti pericolosamente “visionarie” come quelle di Spinelli e Rossi, il fascismo favorì inconsapevolmente la nascita dell’Europa odierna. E fu questa forse la sua vera colpa.
Gianluca Veneziani