Leicester, 30 nov – Ci sono personalità collegate da sensazioni infinite. Sensazioni che durano un’eternità, o più semplicemente 90 minuti. Jamie Vardy, cannoniere e uomo copertina del Leicester di Claudio Ranieri, ha dato alla luce la sua autobiografia che si intitola Dal nulla. La mia storia. Un calcio marginale, lento ed inesorabile capace di prendersi la scena grazie al suo sapore infantile. La punta di Sheffield racconta – oltre alla sua passione per la matematica, merito del professore Mr. Pemberton – dell’idolo d’infanzia, tale Paolo Di Canio. L’attaccante romano nel 1997 sbarcò, arrivando dalla Scozia, in Inghilterra portando la dote concessagli dal Dio del calcio proprio allo Sheffield Wednesday, la compagine tifata dall’allora adolescente Jamie.
La Gazzetta dello Sport, all’interno del settimanale Extra Time, ha divulgato alcuni passi del volume: “Di Canio firmò per il Wednesday nel 1997, un anno dopo l’arrivo in squadra di Benito Carbone, e quella strana coppia di italiani mi regalò una delle migliori esperienze della mia infanzia. Un sabato mattina dovevamo allenarci a Middlewood e, dato che non erano previste partite, anche i giocatori della prima squadra erano lì per un allenamento leggero; io stavo facendo qualche passaggio con un ragazzo della mia squadra, quando all’improvviso si avvicinarono Carbone e Di Canio e ci sfidarono a calcio-tennis. All’epoca erano probabilmente i due migliori giocatori del Wednesday – erano stati gli acquisti più costosi del club, quando avevano firmato – per cui che ci chiedessero di giocare con loro era davvero un sogno, che divenne un incubo una volta iniziata la sfida: ci distrussero. Da una parte della rete c’erano due ragazzi che si preoccupavano solo di mandare in qualche modo la palla dall’altra parte, non importava come, e dall’altra c’erano Carbone e Di Canio che davano spettacolo con passaggi e rovesciate. ‘Wow’ era tutto quello che riuscivo a pensare”.
Il racconto di Vardy prosegue fino a toccare una delle scene più controverse della carriera del centravanti di fede laziale: “Adoravo Di Canio: che giocatore, quanto talento, quanta passione. Se però uno parla di Di Canio e dello Sheffield Wednesday tutti pensano all’episodio del settembre 1998, quando in una partita contro l’Arsenal diede uno spintone all’arbitro Paul Alcock che lo aveva espulso; a ripensarci le due cose che mi fanno sorridere sono l’atteggiamento teatrale dell’arbitro – che ci mette praticamente mezzo minuto a cadere a terra – e la scena comica di Nigel Winterburn, che prima si avvicina per affrontare Di Canio e poi si spaventa quando questi accenna a rifilargli un cazzotto”.
Un amore corrisposto. Una sensazione che corre sul filo della cattiveria. Di quel furore agonistico con cui, spesso e volentieri, il telecronista Di Canio ha dipinto l’operaio Vardy. “Football is not for ballerinas”, direbbero Claudio Gentile e Roy Keane. Per questo la maschia rudezza del numero nove vestito di blu è il degno proseguo della dinastia degli attaccanti d’acciaio. D’acciaio come l’inossidabile Sheffield.
Il meglio di Paolo Di Canio con la maglia dei The Owls
Lorenzo Cafarchio