Roma, 20 ago – Ci siamo, ora è il turno del vaiolo delle scimmie. Già verso la fine della infelice “era Covid” se ne era parlato, ora la questione entra – forse, anche se speriamo di no – nel “vivo”. O meglio nel morto, come morto è questo universo, questo secolo, questi esseri umani. Il motivo è presto detto…
Il vaiolo delle scimmie, primi allarmi da “nuovo Covid”
Ci sono “ben” 1157 contagi di vaiolo delle scimmie. E “ben” due morti. Il che ovviamente genera gli “allarmi” nello storto mondo del XXI secolo, quello in cui non si comprende manco cosa voglia dire lottare e poi si chiama “guerra” una pandemia o presunta tale che ha interessato percentuali bassissime della popolazione mondiale. Ovviamente la “pandemia” era il Covid, ma adesso c’è da concentrarsi sul vaiolo, perché quei due decessi (e quelli che verranno in futuro) saranno o potranno essere pretesto per non scambiarsi neanche il segno di pace in Chiesa, magari nuovamente da parte di chi crede nel corpo di Cristo, nella vita eterna dopo la morte, nell’avvento di Nostro Signore oltre Duemila anni fa. O almeno, dice di credere. Chiaramente, i cattolici e i cristiani in generale sono solo una parte dell’infinito circo che potrebbe scatenarsi. Un circo contro la grazia, che sia di Dio o meno, contro l’essere umano e la sua stessa essenza. Non è detto che accada, chiaramente, ma non possiamo non allarmarci in anticipo. In attesa di osservare dati più consistenti che non ci comunichino per l’ennesima volta la pretesa folle e bambinesca di questa società di non morire mai. Non raramente, non sporadicamente, ma proprio mai. Contagio zero o morte, ma facendo finta di essere vivi. E chissà che non sarà ancora così.
Una società di bambini attaccati all’immortalità terrena
La parola “terrena” potrebbe generare i soliti equivoci che è subito il caso di sgombrare. Non è una questione religiosa: c’è chi crede in Dio e chi non ci si crede. È una banalità, ma va sottolineata perché viviamo nell’epoca in cui le questioni ovvie vengono discusse minuziosamente manco fossero trattati di fisica termonucleare. Del resto, il nostro è il tempo in cui anche gli elementari organi sessuali diventano oggetto di dibattiti imbarazzanti, oltre che paradossali. Da qui l’ovvio ricorso al “mezzo scontato” per dover proseguire nel nostro discorso.
Viviamo in un mondo, in una società, dove gli uomini non si rendono conto di essere mortali. Quanto meno consciamente, è poi ovvio che non possano rispondere in altro modo a domanda “diretta”. Un universo paradossale di eterni bambini – elemento che ho sottolineato più volte in passato – ancora incapaci di diventare uomini oltre i quarant’anni. Qualcuno, come Emanuele Ricucci nel suo testo omonimo Torniamo uomini, lo ha sottolineato in modo fin troppo approfondito. Il sottoscritto ha apprezzato molto la definizione di “infantilismo” in varie declinazioni – ivi inclusa quella ideologica – ma è chiaro che qui si parla di quotidianità. Di essere umani, ma anche maturi. E la maturità – quella buona – sta nel comprendere che periamo e c’è ben poco da sbattere i piedini. Ci inceneriamo e scompariamo, per varie ragioni. Per naturalissima vecchiaia, per un incidente, per una malattia mortale.
Non sappiamo se il vaiolo delle scimmie seguirà la tristissima e penosa strada di quell’esempio di miseria che risponde al nome di “Covid”. Non sappiamo se seguiranno deliri paragonabili. Siamo però certi delle premesse, ovvero quelle debilitanti delle comunità moderne sopracitate, tra le quali purtroppo rientra anche quella italiana. Le stesse che, per poco più di un migliaio di contagiati e due – di numero, due – morti, potrebbero condurci all’ennesimo inseguimento inutile della “malattia zero”, in barba al diritto sacrosanto alla vita (quella vera, non certo questa caricatura da quattro soldi) e a tutti i rischi – anche minimi – che essa comporta. Le stesse in cui perfino i “credenti” (rigorosamente tra virgolette e parlando sì, in questo caso, di un insieme di persone che dovrebbe credere in Dio) si sono rifiutati per due anni di usare l’acquasantiera in Chiesa per non alimentare il contagio. Una roba che Gesù Cristo si starà rivoltando nell’alto dei cieli in modo non dissimile da quello con cui sta constatando le miserie di un povero peccatore come il sottoscritto.
Stelio Fergola