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Un colpo solo: la filosofia di Michael Cimino

by Roberto Johnny Bresso
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Michael Cimino

Roma, 9 giu – Dopo aver parlato la scorsa settimana di un regista fuori dagli schemi come John Carpenter, oggi mi occuperò di un autore ancora più maledetto e sfortunato, che però sembrava agli albori della sua carriera destinato a raggiungere le più alte vette di Hollywood, vale a dire Michael Cimino.

Micheal Cimino, una vita controversa

Nato a New York il 3 febbraio 1939 in una famiglia abbiente di origine italiana, da ragazzino mostra un temperamento ribelle che lo porta a partecipare a risse, ubriacarsi quotidianamente e compiere piccoli crimini, prima di dedicarsi alla sua grande passione per il cinema. L’incontro decisivo è quello con Clint Eastwood, per il quale nel 1973 scrive Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan (Magnum Force). Eastwood è così colpito dalle doti di sceneggiatura del giovane che l’anno successivo gli affida la regia di Una calibro 20 per lo specialista (Thunderbolt and Lightfoot), un triste viaggio on the road attraverso la varie facce degli Stati Uniti (sarà una caratteristica di tutta la sua cinematografia) intrapreso da un rapinatore di banche veterano della guerra di Corea (lo stesso Clint) e da un giovane ladro alle prime armi (un grande Jeff Bridges che si guadagnò anche la nomination agli Oscar).

Il Cacciatore e la consacrazione

Nel 1978 il suo secondo film è quello che lo consacra alla gloria eterna: Il cacciatore (The Deer Hunter) racconta la storia di sei amici facenti parte di una comunità russo-americana di una cittadina rurale della Pennsylvania. I giovani conducono un’esistenza che si snoda sempre uguale tra il lavoro in acciaieria, le sbronze al bar e le battute di caccia al cervo, che ci regalano la frase di Robert De Niro sul fatto che l’animale vada ucciso con un colpo solo, perché lui non ha un’arma per rispondere al fuoco. Dopo il matrimonio di uno di loro sulle toccanti note di Can’t Take My Eyes Off You di Frankie Valli e l’ultima serata di caccia, improvvisamente ci troviamo catapultati in Vietnam al centro del terribile conflitto nel quale molti di loro sono costretti a combattere. Qui vacilleranno tutte le loro certezze, compresa quella di una guerra giusta (il famoso colpo solo) ed il ritorno a casa, per i più fortunati, non sarà per nulla indolore. Cimino rivela qui tutto il suo pessimismo nei confronti dell’esistenza umana, anche a costo del realismo (la famosa scena della roulette russa alla quale i vietcong sottoporrebbero i prigionieri è del tutto inventata), perché al regista importa la realtà dei sentimenti nel contesto di un cinema di una precisione quasi maniacale (si sente eccome l’influenza di John Ford).

 

Nove nomination e cinque Oscar, compreso quello per il miglior film, fanno sì che Cimino diventi di punto in bianco l’enfant prodige del cinema hollywoodiano e, per questo, venga lui consegnata carta bianca per il suo successivo progetto, che sarà il western I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), uscito nel 1980 e che porterà al fallimento della United Artists e alla distruzione della reputazione del regista. Infatti l’assoluta maniacalità di Cimino, unita al suo delirio di onnipotenza, fece lievitare i costi dagli iniziali 7 milioni di dollari ai 44 finali. La versione uscita nelle sale snaturò totalmente il senso della pellicola, portando ad una stroncatura assoluta da parte dei critici (nonostante una candidatura agli Oscar), mentre il pubblico disertò le sale cinematografiche. Ironia della sorte molti anni dopo venne recuperata la versione originale di 219 minuti che è una straordinaria epopea della storia americana e mondiale.

Il “secondo Cimino”

Purtroppo però ormai il danno per l’autore era irreparabile e la sua fama di macchina mangia soldi lo tenne per cinque anni lontano dalle scene. Ci torna nel 1985 con il sontuoso L’anno del dragone (Year of the Dragon), che ci mostra con largo anticipo sui tempi i pericoli dell’immigrazione e delle Triadi cinesi sull’economie mondiali. Inutile specificare che venne accusato di razzismo e largamente ignorato. Nel 1987, alla ricerca delle sue origini siciliane, realizza Il siciliano (The Sicilian), accusato di mitizzare la figura del bandito Salvatore Giuliano, e nel 1990 Ore disperate (Desperate Hours), remake dell’omonimo film di William Wyler.

Sempre più isolato nella sua follia bisogna attendere il 1996 per la sua ultima pellicola: Verso il sole (The Sunchaser), uno struggente western contemporaneo, che, con il suo viaggio iniziatico e spirituale di due uomini molto diversi, sembra chiudere il cerchio con la sua storia d’esordio. Film troppo avanti sui tempi si rivelò l’ennesimo insuccesso commerciale, che spinse Cimino a chiudersi ancora di più in una scrittura folle e solitaria che portò alla stesura di una cinquantina di sceneggiature, tutte scartate dagli studios. Il 2 luglio 2016 verrà trovato morto dalla polizia nel letto della sua casa di Beverly Hills, all’età di 77 anni. Nel 2023, in occasione dei quarantacinque anni dall’uscita al cinema, Il cacciatore ritornò sui grandi schermi di tutto il mondo, riscuotendo il medesimo successo.

E forse, per concludere in maniera appropriata questo breve viaggio nell’opera e nella mente di Michael Cimino, tocca ancora ritornare alla metafora del colpo solo: ne ha avuto uno a disposizione, lo ha fallito e l’industria cinematografica non gliene ha più dati altri. Il perfetto esempio di quello che in fondo capita a tutti noi ogni giorno nella società capitalista.

Roberto Johnny Bresso

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