Roma, 11 mar – Quando si tradisce una terra, il tradimento agisce sempre a vari livelli. Nel coltello piantato alle spalle dell’Italia da quegli europarlamentari che, non contenti di spalancare le porte all’invasione degli immigrati, hanno anche approvato l’invasione delle nostre tavole da parte dell’olio tunisino, c’è un tradimento politico ed economico, certo. C’è un’intero settore messo in ginocchio, prima dall’emergenza eterodiretta che ha nome Xylella, ora dalle scelte commerciali suicide di un parlamento solo nominalmente europeo. Ma agisce, in modo più sottile, anche una profanazione simbolica della triade sacra grano-vite-ulivo, piante presenti dall’inizio dei tempi in questi luoghi e importanti anche dal punto di vista dell’immaginario culturale e religioso delle civiltà mediterranee, anche se la sponda sud del Mare Nostrum ha rinnegato quest’unità rifiutando il portato alimentare e culturale della vite. Quanto all’ulivo che cresce in Africa, già i Romani, saggiamente, lo impiegavano per l’illuminazione, preferendo sulle loro tavole l’olio ligure o sabino.
È in atto, insomma, un attacco identitario. L’ulivo, del resto, ha una storia importante. Una storia sacra. All’alba dei tempi, in Grecia – questa nostra sorella spirituale, come noi pugnalata dall’usura e dall’invasione – gli Dèi si dettero battaglia per ottenere la protezione delle varie città. Per quanto riguarda Atene, furono Atena e Poseidone a scontrarsi. La disputa si basava sul regalo più prezioso che le due divinità potevano offrire alla città. Arrivato per primo in Attica, Poseidone fece scaturire un mare da una cavità dell’Acropoli. Atena, dal canto suo, rilanciò facendo sorgere un ulivo, il primo ulivo, dalla roccia sacra.
Il compito di decidere spettava a Cecrope, mitico re originario di Atene, mezzo uomo e mezzo serpente, nato direttamente dalla terra e fondatore, quindi, di quella autoctonia che nel corso dei secoli sarà il vanto degli Ateniesi, contro gli Spartani di origine immigrata (sia pur di una migrazione d’eccezione, quella dei Dori). Cecrope scelse Atena, restando fedele al suo simbolismo: il nato dalla terra non poteva che scegliere la pianta, ben radicata nel terreno, piuttosto che il simbolismo acquatico dell’Eretteide (così si chiamava il lago aperto da Poseidone nel pieno dell’Acropoli). Essere fedeli alla terra: ecco cosa insegna l’ulivo. Alla propria terra, non a quella tunisina (vero onorevoli?).
La vittoria di Atena, per mezzo dell’olivo sacro, è anche la vittoria del potere maschile, cui del resto rimanda la simbologia fallico-assiale dell’albero. Atena è infatti la dea guerriera, vergine senza madre, nata da solo padre, che in occasione del processo di Oreste, assassino di sua madre Clitemnestra, si pronuncerà senza riserve per i diritti del padre. Lo stesso Cecrope è del resto l’inventore del matrimonio monogamico che mette fine alla promiscuità dei sessi e istituisce la filiazione patrilineare. C’è poi una versione del mito che contribuisce ulteriormente a codificare questa vittoria dell’anér, seppur in modo indiretto: sembra infatti che fra gli Ateniesi, i maschi avessero votato tutti per Poseidone, le donne invece per Atena, ed essendo maggiori di un’unità fossero state loro a determinare la vittoria della Dea. La collera di Poseidone fu tale, tuttavia, che le due divinità giunsero a un compromesso: su Atene avrebbe regnato Atena, ma le donne sarebbero state escluse dal governo della città. È questa forza celata, questa memoria ancestrale che è racchiusa nei legni nodosi dei nostri olivi. Tutto questo, gli europarlamentari che hanno tradito il nostro olio, molto probabilmente non lo sanno. O forse, a un livello sub-cosciente, o magari sovra-cosciente, lo sanno. Lo sanno benissimo.
Adriano Scianca