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“Cambiare l’Ue dall’interno” è follia, riuscire “a giocarci” sarebbe un passo avanti

by Stelio Fergola
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Roma, 27 giu – L’Ue per l’Italia è e sarà sempre una spina nel fianco. Non può essere diversamente, proprio da un punto di vista strutturale. La cosiddetta Unione non è nata seguendo direttrici diverse da quelle del puro capitalismo finanziario e non è destinata a svilupparsi in un modo differente da quello incarnato dalla Bce e dalla stessa sua moneta comune, ovvero l’euro. Insomma, mancano sia la struttura che i propositi per poter costruire qualcosa di discontinuo dalla palese direzione liberal progressista che domina in tutto l’Occidente. Ecco perché lo slogan di Giorgia Meloni riguardante l’idea di “cambiare l’Europa dall’interno” difficilmente potrà godere anche di minimi sviluppi. Però…c’è un però.

Ue: che l’Italia inizi almeno a giocare

Posto che “cambiare l’Europa dall’interno” non abbia alcun riscontro nella realtà, la questione che si snoda nel Consiglio europeo di oggi è molto più importante: giocare la partita. La quale, ovviamente, è quella delle nomine nei cosiddetti “top jobs”, ovvero i ruoli chiave di chi governerà a Bruxelles. Secondo quanto riporta il Financial Times, tradotto dalla nostra agenzia di stampa nazionale, “la Francia e l’Italia si contendono un posto di primo piano nell’economia della prossima Commissione europea, una lotta acuita dall’astio personale tra i leader dei due Paesi”.  Inoltre, “il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro italiano Giorgia Meloni sono ai ferri corti perché entrambi sono in lizza per lo stesso premio: un potente vicepresidente della Commissione responsabile della politica commerciale, della concorrenza e della politica industriale”.

“I funzionari italiani hanno elencato come aree di interesse il commercio e la concorrenza così come il bilancio comune del blocco e l’industria. Si tratta in linea di massima delle stesse aree ambite dalla Francia. Secondo un diplomatico informato sui negoziati, la Francia è interessata a un ruolo di alto livello nella Commissione, con il potere di controllare le leve politiche e finanziarie per realizzare la politica industriale. La difesa, una priorità emergente per l’Ue per la quale la von der Leyen si è impegnata a creare un posto dedicato, potrebbe far parte della strategia industriale controllata da tale posto”, si legge ancora.

Insomma, l’Ue chiama l’Italia. Riuscirà Roma a rispondere una volta tanto a modo suo?

“Campo di battaglia” camuffato

Questo è l’Unione Europea, questo rappresentano le sue ramificazioni, ivi incluse quelle del Parlamento di Strasburgo. Non c’è altro, e chi lo vede sta immaginando una dimensione parallela. Nel campo di battaglia hanno combattutto in passato praticamente tutti. Francia e Germania in primis. La prima per eludere senza troppi scrupoli i parametri di Maastricht, la seconda per continuare a sfruttare la moneta svalutata a favore del suo clamoroso surplus commerciale. L’Italia non ha mai combattuto. Ha sempre subito gli eventi e le decisioni altrui, mettendosi nelle condizioni di “schiavizzare” il proprio debito pubblico ancora più di quanto non si potesse.

Sarebbe carino, quanto meno, constatare un’inversione di tendenza su questo aspetto. Il quale nulla avrebbe a che fare con il “cambiare l’Europa dall’interno”, ovvero una favola utile solo ad addormentare i bambini dopo averli messi sotto le coperte. Meloni parte svantaggiata, ma l’occasione di iniziare a muoversi in modo più dinamico esiste. Quanto ai risultati, è molto difficile che vengano adesso. Il voto del 9 giugno non è risultato sufficiente a ridimensionare in modo decisivo la “maggioranza Ursula” e di conseguenza la leva su cui può provare a puntare il premier è meno rilevante. In ogni caso, non ha alcun senso non sperare per il meglio. Ovvero che, per una buona volta, ci sia un braccio di ferro con Parigi da cui provare a uscire quanto meno più vivi che in passato. Sissignori, l’Ue è un dannatissimo campo di battaglia, e l’Italia deve iniziare a giocarci. Davvero.

Stelio Fergola

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