Roma, 27 feb – Tanto tuonò che piovve. Dopo mesi di continui battibecchi, ripicche, stoccate reciproche, il Partito Democratico ha subito la tanto temuta scissione, sebbene questa sia stata contenuta dal rientro di Michele Emiliano, uscito dalla porta e rientrato dalla finestra per “sfidare Renzi al congresso”. Il pionere della scissione è Pippo Civati, fuoriuscito dal Pd per fondare “Possibile”, anche se di possibile finora si è visto ben poco, seguito a ruota da D’Alema con “Consenso” – no, non è un ossimoro – e oggi da Enrico Rossi e Roberto Speranza con il neonato “Democratici e Progressisti”. Tutti questi hanno in comune il fatto di definirsi di sinistra, un’etichetta da apporre dovunque nel vano tentativo di attrarre consensi e apprezzamenti, sebbene di sinistra in questi soggetti vi sia ben poco. Non basta, infatti, definirsi di sinistra per esserlo realmente, perché D’Alema, Rossi e Speranza non hanno la più pallida idea di cosa sia la sinistra, resi ciechi dall’odio smisurato contro Matteo Renzi.
Il neonato Movimento Democratici e Progressisti è tutto un programma: il nome esiste già ed è stato depositato nel 2014 da Ernesto Carbone, renziano di ferro e passato alle cronache per il “#ciaone” post-Referendum, che ha già annunciato battaglia sul simbolo. Il manifesto programmatico è invece una barzelletta, pieno di rancore contro i populisti – rei di difendere gli interessi degli ultimi – e privo di qualsivoglia idea per rilanciare il lavoro. Cari progressisti, sfatiamo un mito: non si può essere di sinistra e contemporaneamente favorevoli all’immigrazione clandestina. Significa non aver compreso Marx – ed essere degli analfabeti funzionali – oppure complici di chi vorrebbe i lavoratori come semplice bacino elettorale senza coscienza di classe. L’immigrazione clandestina è oggi più che mai lo strumento degli oppressori per aumentare la concorrenza e diminuire il salario degli oppressi, relegandoli alla condizione di schiavi senza diritti, in perenne lotta per la sopravvivenza. Così, la sinistra di oggi non solo non comprende gli insegnamenti di Marx, ma fa di tutto per contrastarlo e rinnegare le battaglie del socialismo, in nome di un’accoglienza senza se e senza ma.
Presentando il neonato “DP”, Enrico Rossi ha più volte parlato dell’articolo 1 della Costituzione, non si capisce se per moda o per rievocare il lavoro che non c’è, dal momento che la questione sovranità non interessa minimamente alla sinistra euroinomane pronta a sacrificare gli italiani sull’altare dell’Unione Europea. Di quale sovranità parlano allora i transfughi del Pd che chiedono a gran voce le urne nel 2018 al fine di logorare l’ex premier dimenticando che “la sovranità appartiene al popolo”? Il manifesto programmatico dei democratici progressisti è il manifesto della vacuità, dove anziché attaccare la globalizzazione selvaggia, si preferisce attaccare i populisti e il protezionismo, oppure le destre che sfruttano il disagio sociale, fingendo di non sapere chi sia l’artefice della crescente disuguaglianza e del diffuso disagio sociale. Un manifesto dove non si accenna minimamente alla questione disoccupazione, specie giovanile, che ha raggiunto livelli drammatici, non comprendendo che una nazione che non consente ai giovani di lavorare, è una nazione destinata a morire, privata dei propri sogni e della propria gioventù.
Se la minoranza Pd piange, la restaurata “Sinistra Italiana” di Vendola e compagni certamente non ride, fingendosi alternativa ad un sistema che invece sponsorizza, esasperando le posizioni immigrazioniste e riducendo il concetto di socialismo ad una battaglia sulle libertà civili e sul gender, dimenticando totalmente la vera guerra dei lavoratori, la guerra di tutte le mattine per non lasciare la casa deserta e il “desco nudo”. D’altronde, parafrasando l’onorevole Sannicandro (SI): “siamo politici, mica metalmeccanici”.
La minoranza Pd e gli scissionisti hanno mostrato il peggior volto della politica, privi di idee e appiattiti su un odio smisurato contro Renzi, anteponendo gli interessi personali agli interessi dell’intera Nazione, sacrificata in una sanguinaria lotta di partito. In un Paese dove i giovani non trovano lavoro e si rassegnano allo status quo, la “sinistra” dà sfoggio del peggio di sé, oggi più che mai distante dagli ultimi, abbandonati a se stessi in attesa della rivoluzione o di una manciata di voucher.
Claudio Perconte