Roma, 7 nov – Si sono appena concluse le elezioni americane con la netta affermazione di Donald Trump e subito sono fioccate le reazioni a quello che, comunque la si pensi, è un evento destinato non solo a far discutere ma a modificare la percezione degli avvenimenti futuri. Anzitutto, vorremmo sottolineare alcuni punti che ci sembrano interessanti per capire cosa sta succedendo negli Usa e quindi i riflessi che questo avrà inevitabilmente anche qui in Europa.
Gli elementi della nuova affermazione di Trump
Secondo noi gli elementi che hanno portato all’affermazione di Trump sono essenzialmente tre: il primo è che al contrario delle elezioni del 2016 e del 2020 Trump si è proposto come uomo di riferimento di una parte delle élites ed attorno alla sua persona è riuscito a coagulare un “contropotere elitario” con cui fronteggiare quei poteri che lo hanno combattuto dal 2016 in poi; il secondo elemento è che la narrazione mainstream di televisioni e giornali, con annesso star system hollywoodiano, non funziona più come strumento di orientamento del consenso popolare, sia negli Usa che in Europa. Giornalisti, cantanti e attori sono visti come parte dell’establishment e non svolgono più in modo efficace la funzione di cinghia di trasmissione delle istanze di stampo progressista a livello popolare, al di là del ceto urbano medio-alto borghese che tra l’altro si sta progressivamente restringendo in Occidente; il terzo elemento è che Trump si è proposto come uomo di “sintesi” tra le istanze del capitalismo “old style”, cioè quello dei settori tradizionali ma in crisi (automobili, tessile e manifatturiero) e quelle del capitalismo “futurista“ di Musk, Bezos e della Silicon Valley.
La spinta tecno-politica
Quest’ultimo dato ha sicuramente avuto un effetto importante rispetto alla visione del capitalismo finanziario dei “rentiers” azionisti degli indici di Wall Street, che hanno dato il loro sostegno alla democratica Harris, e questo per due motivi: il primo è che gli Usa ma anche l’Europa in questo momento vivono una profonda crisi di trasformazione economica e sociale che necessita di una visione per il futuro che sia da volano per l’immaginario collettivo ed il capitalismo “futurista” (o accelerazionista) può assolvere questa funzione rispetto ad un capitalismo parassitario che vive di rendita e non produce più nulla di nuovo, sia in termini materiali che d’immaginario. Il secondo motivo è che questo capitalismo di “Musk&Co” ambisce ad assumere direttamente un ruolo politico, prendendo atto della crisi della rappresentanza demoliberale ormai obsoleta in evidente crisi di legittimazione popolare in tutto l’Occidente, trovando in questo un naturale alleato in Donald Trump che con i suoi atteggiamenti “anti-establishment” ha caratterizzato da sempre tutta la sua campagna politica.
Una chance per l’Europa?
Se questa tendenza varcherà i confini statunitensi lo capiremo nei prossimi mesi e anni. Comunque sia in qualche modo l’Europa sarà obbligata ad assumere decisioni importanti in materia economica, commerciale e militare se, come sembra, gli obiettivi dichiarati di Trump sono quelli di disimpegnare gli USA dalle ingenti spese militari Nato e di potenziare i dazi commerciali verso i prodotti europei. Mentre la strategia democratica verso l’Europa è stata sempre quella di tenere in scacco le cancellerie europee sia attraverso conflitti (vedi da ultimo quello in Ucraina) sia attraverso il controllo della sua maggiore coesione politica, Trump ha maggiore propensione verso lo scenario dell’Indo-Pacifico e potrebbe inasprire il conflitto inter-imperialista con l’Europa, aprendo però nuove opportunità di integrazione politica ed economica proprio al vecchio Continente, come tra l’altro già suggerito ed anticipato dal memorandum Draghi di quest’anno. Sapranno gli europei approfittarne stavolta, al contrario del 2016?
Centro Studi KulturaEuropa