Roma, 10 ago – Rispetto al Medioevo cristiano, il cui rapporto con l’eredità classica è stato meramente strumentale, l’Umanesimo guarda alla classicità in maniera del tutto diversa. Il ‘fascino dell’antico’ spinge gli umanisti a tentare di rendere possibile non un astratto e antistorico ‘ritorno’ al mondo classico ma un suo nuovo inizio. Fare del mondo classico una realtà del presente, pur mantenendo ferma l’alterità della civiltà antica: questo è il ‘programma’ dell’Umanesimo. Per cui, è proprio a partire dalla consapevolezza del tramonto della classicità, che si configura la possibilità di una sua nuova aurora.
A me pare che tutta l’azione politico-culturale di Cola di Rienzo, esemplifichi perfettamente quanto detto sinora. È vero che Cola di Rienzo, da politico navigato, ha saputo cogliere l’occasione propizia (il papa relegato ad Avignone, l’impero ripiegato sul mondo tedesco, il regno angioino segnato da un precoce declino) per realizzare, nel breve spazio di pochi mesi del 1347, il suo sogno di renovatio dell’ideale civico repubblicano, rivestendo i panni di ‘ultimo dei tribuni del popolo’, titolo che significativamente si attribuì (così come nelle lettere si definiva libertatis…tribunus).
Ma alle spalle c’è il Cola raffinato umanista e amico di Petrarca, c’è l’esperto di antichità romane, capace di ritrovare la lex de imperio Vespasiani (un senatoconsulto col quale il Senato conferiva l’imperium a Vespasiano; una conferma, per Cola, dell’origine popolare e romana della sovranità imperiale) e di creare suggestive cerimonie simbolico-politiche. In altre parole, il Cola politico è, alla lettera, inimmaginabile senza il Cola umanista.
Certo, il tentativo di Cola di Rienzo è naufragato nel 1354, dopo un brevissimo ritorno al potere, con una morte crudele che la Cronica dell’Anonimo romano ci restituisce in tutta la sua tragicità. Ma si trattò di un tentativo grandioso, con aspetti di impressionante preveggenza. Ne illustrerò, assai sinteticamente, uno soltanto, che è pure il più controverso: il progetto dell’universa sacra Italia. Progetto ambizioso, tortuoso e complesso, in continuo divenire, su cui ancora si dividono gli storici. Ma qui non interessa sapere se Cola mirasse addirittura al titolo imperiale (in ogni caso circoscritto alla penisola; lo stesso eventuale imperatore avrebbe dovuto essere di stirpe italica) o piuttosto alla nascita di una federazione di città guidate da Roma (come ritengono Andrea Giardina e André Vauchez), con l’implicito corollario della scomparsa del potere temporale dei papi. Né se la sua originaria fede repubblicana abbia finito per piegarsi realisticamente alla necessità di un regime forte, appunto ‘imperiale’ (è l’ipotesi di Jean-Claude Maire Viguer). La portata immensa e rivoluzionaria dell’universa sacra Italia in fondo trascende lo stesso destino personale di Cola di Rienzo, perché sta nell’idea di una Italia potente e unificata sotto l’autorità di Roma.
Giovanni Damiano
2 comments
Come ultima finitura, sarebbe da appurare la natura delle voci su un suo presunto abbandono a bagordi e corruzione successivi alla momentanea presa del potere, ovvero se liquidabili come calunnie o veridiche, dunque una conferma della “ferrea legge dell’oligarchia”. se così possiamo dire.
Mi sembra che tali “bagordi” siano giunti troppo presto all’interno della sua, pur breve, carriera politica.
Dubito che le maggiori famiglie nobiliari romane (senza per giunta il Papa a compensare la loro forza nonchè la loro forte influenza sull’opinione dell’allora popolino romano) avrebbero voluto tralasciarci una buona impressione riguardo l’odiatissimo Tribuno del popolo. Iuoi pochi resti non furono del resto bruciati proprio nella fortezza dei Colonna, l’odierno mausoleo d’Augusto, proprio affinchè numma rimanesse di Cola di Rienzo?