Bruxelles, 4 ott – La rinuncia alla fusione sul mercato danese tra TeliaSonera, principale operatore mobile in Svezia e Finlandia, e la norvegese Telenor ha rilanciato il dibattito sull’assetto dell’industria Tlc in Europa. A distanza di un paio di decenni dall’avvio del processo di liberalizzazione, i grandi operatori mobili sono infatti alla ricerca di un consolidamento in grado di garantire maggiori utili e risorse da destinare agli investimenti, oggi rese scarse dalla guerra dei prezzi e dal proliferare degli operatori virtuali.
Il consolidamento nel mercato Tlc
Austria, Irlanda, Germania, Spagna e oggi Danimarca: in tutti questi Paesi, la Commissione Ue ha avuto un ruolo determinante nel convalidare o meno le operazioni di fusione fra i principali operatori. In questo quadro, l’atteggiamento dell’Antitrust si è fatto progressivamente più rigoroso e le condizioni imposte all’affare danese sono state giudicate troppo onerose dai due operatori nordici: le “discussioni per la fusione hanno ormai raggiunto un punto in cui non è più possibile ottenere l’approvazione per l’operazione”. Dalla parte della Commissione troviamo invece il Financial Times, il quotidiano inglese ha infatti sostenuto la linea dura del Commissario Vestager, evidenziando la mancanza di prove che dimostrino l’incremento di investimenti a fronte di un numero ridotto di operatori. Avvertimento condivisibile solo in parte, comunque contrario alla mai smentita nozione di monopolio naturale, che descrive le dinamiche d’investimento tipiche delle infrastrutture a rete. Le grandi aziende impegnate su questi mercati, ormai privatizzate, sono oggi chiamate a fare unicamente gli interessi degli azionisti ed è logico notare come, al netto di vincoli esterni al mercato, non riescano a garantire il livello di investimenti ottimale. Anche sulla scorta di queste considerazioni, si giustifica l’interventismo del governo italiano nella corsa alla fibra ottica per la rete fissa.
Tempi duri quindi per le fusioni in corso di realizzazione in Italia e Inghilterra. Per quanto riguarda il nostro Paese, il dossier che vede protagonisti Wind (Vimpelcom) e Tre (Hutchison Whampoa) sarebbe già sul tavolo della Commissione Europea, dopo aver ricevuto il via libera dall’Autorità Garante della Concorrenza di Roma e dal Governo che ha insistito affinché “la strategia posta in essere non comporti lo spostamento, al di fuori dei confini nazionali, di funzioni di gestione e di sicurezza tali da compromettere la sicurezza nazionale e la continuità dei servizi”.
Guerra al ribasso dei prezzi
Quella che si profila è una situazione quasi paradossale: da una parte la Commissione Ue (non troppo esplicitamente) in cerca di consenso politico, che grazie a un approccio estremamente liberista, ha dato il via a una guerra al ribasso dei prezzi in grado di incontrare il favore dei consumatori. Nello stesso quadro si inseriscono i negoziati per l’abolizione del roaming all’interno degli Stati dell’Unione, che vedrà il via fra il 2016 e la metà del 2017.
Dall’altro lato le grandi compagnie del settore, fiaccate dal contesto macroeconomico sfavorevole e dall’eccessiva concorrenza di cui sopra, che vedono nelle politiche di fusione un buon contraltare alla caduta dei tassi di ritorno sul capitale, che nel settore mobile si sono praticamente dimezzati. Un approccio, quello della Commissione, ovviamente apprezzato dal Financial Times, ma che rischia di aver conseguenze non secondarie sul progetto di mercato unico e sulla competitività di un’industria strategica, di recente spinta verso equilibri proprietari e assetti concorrenziali di dubbio successo. Come hanno ben semplificato i consulenti danesi di Strand Consult in un’analisi pubblicata a margine dello stop all’operazione TeliaSonera-Telenor:
“Le chance per l’Ue di recuperare la leadership globale nel mobile sono finite, siamo troppo indietro su Usa e Asia orientale. Che non si sia potuto completare un merger in un Paese dove l’utente mobile medio spende sulla telefonia mobile ogni mese la stessa cifra che spende per due cappuccini al bar o una pizza dimostra che le autorità per la concorrenza hanno perso ogni contatto con la realtà”.
Armando Haller