Udine, 6 mag – Nell’immaginario collettivo dell’uomo si fissano degli eventi che suscitano una forte reazione emotiva: lo sbarco sulla Luna e l’11 settembre lo sono diventati a livello mondiale; per l’Italia, purtroppo, questi sono rappresentati non a caso dalle catastrofi naturali: il Vajont, l’alluvione di Firenze, e i terremoti. Tra questi se ne ricordano almeno 4 nella storia recente: il Belice, l’Irpinia, L’Aquila e quello di cui ricorre oggi il quarantennale, ovvero il terremoto del Friuli del 6 maggio 1976.
Prima di addentrarci nel ricordo di quella tragica giornata occore chiarire come nasce un sisma di tale intensità in quella particolare regione geografica italiana. La maggior parte del territorio italiano (escluse zone asismiche come la Sardegna) è a rischio sismico. Esiste una carta del rischio aggiornata annualmente dall’Ingv che mostra le accelerazioni del suolo che si prevedono, cioè, per utilizzare un linguaggio improprio ma chiaro a tutti, il livello di pericolosità dei sismi che si attendono su tutto il territorio nazionale. Come si può vedere la maggior parte del Friuli Venezia-Giulia ha dei colori tendenti al viola/rosso che stanno ad indicare il massimo grado di pericolosità sismica al pari di altre regioni italiane come ad esempio l’arco appenninico centro-meridionale.
Questo perché il Friuli si trova in una particolare regione della Terra che subisce lo stress tettonico dovuto alla collisione di due placche: quella detta Adria (appartenente a quella africana) e quella Euroasiatica. Il nord Italia infatti si trova lungo la zona di contatto tra queste due placche che, avvicinandosi lentamente ma costantemente, hanno creato l’arco alpino a partire dal Cretaceo (145- 66 milioni di anni fa). Questo scontro tra placche oltre a provocare la nascita delle Alpi (detta orogenesi alpina) è all’origine della sismicità della zona, ma, come si può notare dalla cartina del rischio sismico, esiste una sostanziale differenza tra le alpi centro occidentali e quelle orientali. Questa risiede nel fatto che il movimento della placca Adria non è omogeneo: a causa di movimenti tettonici piuttosto recenti nella storia geologica (Eocene tardo-medio ovvero circa 50 milioni di anni fa) dovuti al movimento antiorario del blocco sardo-corso staccatosi dalla penisola iberica, il margine occidentale della catena alpina risulta avere un movimento relativo molto inferiore rispetto a quello orientale, dove la placca Adria si sta incunenando in quella Euroasiatica con una velocità di circa 2 mm/anno, processo che in geologia si chiama “indentazione” ed è simile a quanto avviene per l’India, ma fortunatamente su scala molto ridotta (il movimento della placca indiana è di circa 50 mm/anno per questo i sismi in quella zona sono molto più potenti). Questo meccanismo tettonico fa della regione del Friuli una zona geografica molto soggetta a violenti fenomeni sismici che infatti si sono succeduti spesso nel corso della storia: terremoti di intensità simile sono avvenuti nel 1511 e nel 1348 ma sismi potenzialmente distruttivi, ovvero di magnitudo pari o superiore a 5.5, avvengono anche più di frequente con una media di uno ogni 80 anni negli ultimi 8 secoli.
Il 6 maggio del 1976, alle ore 21, avvenne la scossa principale di quello che fu uno dei più catastrofici sismi della storia recente italiana. L’intensità rilevata fu di magnitudo momento 6.5 ed ebbe effetti paragonabili al IX-X grado della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). La scossa, come riporta l’Ingv, interessò circa 120 comuni delle province di Udine e di Pordenone, per una popolazione complessiva di circa 500.000 persone. Gli effetti più distruttivi si ebbero nella zona a nord di Udine lungo la media valle del Tagliamento, dove interi paesi e cittadine subirono estese distruzioni; fra questi Gemona del Friuli, Forgaria nel Friuli, Osoppo, Venzone, Trasaghis, Artegna, Buia, Magnano in Riviera, Majano, Moggio Udinese, solo per citarne alcuni. La scossa fu avvertita in un’area vastissima, estesa a tutta l’Italia centro-settentrionale fino a Roma e a Torino, all’Austria, alla Svizzera, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, gran parte della Germania e della Croazia e parte della Francia, della Polonia e dell’Ungheria. Inoltre, produsse danni, oltre che nelle regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto, in vaste aree dell’Austria meridionale ed in buona parte della Slovenia. L’estensione dell’area colpita fu infatti di circa 5000 kmq. Complessivamente furono distrutte circa 17.000 case, morirono 965 persone ed altre 3.000 rimasero ferite. Quasi 200.000 persone persero la casa (Boschi et al. 2000). Una vera e propria catastrofe naturale.
Quello che i non più giovani ricorderanno di quelle terribili giornate fu la grande compostezza del popolo friulano, che seppe far fronte a questa tragedia immane quasi esclusivamente grazie alle proprie forze, facendosi carico dell’immediata ricostruzione post sisma: una risposta comunitaria che vide partecipe tutta la popolazione che in composto silenzio seppellì i propri morti e ricostruì quanto era andato distrutto. Va anche ricordato l’aiuto dato dall’Esercito in quel frangente: il Friuli, in quei tempi di leva obbligatoria e Guerra Fredda, era costellato da numerose caserme sparse a macchia di leopardo sul territorio, cosa che permise un rapido dispiegamento di uomini e mezzi per prestare i primi soccorsi nelle aree colpite; una tale mobilitazione sarebbe difficilmente ipotizziabile ai nostri giorni a causa della quasi totale scomparsa della presenza dell’Esercito in quel territorio. La ricostruzione fu molto rapida, se confrontata ad altri casi simili della recente storia italiana, e soprattutto si ricostruì con criterio: nel corso degli ultimi 30 anni infatti, il Friuli è stato colpito da altri 3 sismi di notevole intensità (MW 4.5), ma grazie ai particolari accorgimenti antisismici adoperati durante la ricostruzione questi terremoti non hanno provocato danni. Un vero esempio per tutta l’Italia.
Paolo Mauri
Ulteriori approfondimenti:
Come nascono i terremoti?
Cos’è la magnitudo e la scala Mercalli?
I terremoti più violenti della storia
1 commento
Una volta di più, mi complimento con il Sig. Mauri per l’ ottimo articolo, interessantissimo sotto più punti di vista.