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“Teoria Europa”, una false flag ideologica

by Adriano Scianca
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Teoria Europa Darya Dugina

Roma, 10 sett – Ci sono due modi per raccontare il libro di Darya Dugina Teoria Europa, recentemente tradotto in italiano da Aga. Il primo è prendere sul serio il libro e valutarne il contenuto nel merito. Ma, su questo piano, c’è davvero poco da dire: il saggio, contrariamente a quanto lascia credere il titolo, non contiene alcuna teoria sull’Europa, bensì una serie di saggi e interviste, ripetitivi e spesso eccessivamente didascalici, che riguardano la storia della Nouvelle droite e, in misura minore, l’attualità politica francese. Per quanto questi testi possano effettivamente aver avuto un qualche valore per il pubblico russo, che poco conosce dell’Europa occidentale, il loro interesse per un lettore italiano è pari a zero. Sulla Nouvelle droite esiste una letteratura primaria e secondaria sterminata, assai più profonda e precisa delle ricostruzioni presenti in Teoria Europa, mentre gli accenni alla cronaca francese sono a dir poco naif (si veda il ripetuto stupore con cui Darya si interroga, in ossequio alla dottrina paterna del «Grande risveglio», sul fatto che Jean-Luc Mélenchon, cioè uno dei più spocchiosi e viscerali antifascisti e razzisti anti bianchi d’Europa, non si sia alleato con Marine Le Pen in nome della «lotta alle élite»…). Potremmo semplicemente chiudere qui il discorso.

C’è però un secondo modo per affrontare questa pubblicazione: Teoria Europa, infatti, non è semplicemente un libro, è un’operazione. Si tratta, per prendere in prestito il gergo borsistico, di un’opa gettata sull’eredità metapolitica della ND, sulla scorta di quanto già da tempo tentato con il pensiero evoliano. In poche parole, quel che si vorrebbe dimostrare è che, per essere coerente, chiunque si riconosca in quel filone di pensiero deve a) sostenere il regime di Putin; b) aderire alla filosofia duginiana; c) sostenere l’aggressione denazificatrice all’Ucraina.

Si tratta di una strategia studiata a tavolino che, tuttavia, per funzionare ha bisogno di occultare interi pezzi di storia. Solo così, infatti, può apparire plausibile l’interpretazione che vuole ricondurre una visione del mondo profondamente pagana e anticristiana, per lo più tecnofila e futurista, vitalista ed entusiasta, per la libertà sessuale, per la libertà storica dell’uomo, espressione diretta del sovrumanismo otto/novecentesco a un pensiero cristiano tradizionalista, a un luddismo reazionario e antimoderno, a un plumbeo pensiero apocalittico, al bigottismo moralista, all’escatologia messianica, all’aperto antifascismo poliziesco, tutte caratteristiche, quest’ultime, intrinsecamente caratterizzanti il milieu duginiano-filorusso. Si tratta, in poche parole, della neutralizzazione di una corrente di pensiero scientemente organizzata. Ora, se possiamo in qualche modo essere indulgenti con l’autrice, non solo per il tragico attentato che le è costato la vita ma anche perché è tutto sommato normale che lei, russa, impegnata attivamente nella politica russa, rivolta a un pubblico russo, abbia cercato di «tirare per la giacca» la ND, un po’ per farsi capire e un po’ per strategia metapolitica, lo stesso ovviamente non può valere per chi, qui in Italia, sapendo perfettamente quello che fa, presenta questo libro come una sorta di «operazione verità», laddove invece esso rappresenta tutto l’opposto. E la «non verità» del testo, sia chiaro, resta tale a prescindere dalle opinioni dei singoli esponenti della ND sulla guerra in Ucraina o anche dei legami umani che la famiglia Dugin può aver allacciato in Francia.

Per entrare però nel dettaglio di questa operazione, fatta di forzature, omissioni e vere e proprie falsificazioni, bisognerà procedere per punti.

I rapporti tra Dugin e la Nd

Nel libro di Darya, è più volte evocato il viaggio a Mosca che nel 1992 fecero alcuni esponenti del pensiero non conforme europeo, tra cui Alain de Benoist, incontrando, tra gli altri, proprio Aleksandr Dugin. Secondo la ricostruzione del libro, in quell’occasione nacquero rapporti personali e una comunione di vedute che poi si sarebbero mantenute intatte, senza soluzione di continuità, fino a oggi. Darya ricorda come la rivista Éléments avesse «versioni analoghe anche in altri paesi europei, tra cui l’Italia. Dal 1992 usciva persino in Russia. Il titolo completo era Elementi. Rassegna eurasiatica. Era pubblicata da mio padre, Aleksandr Dugin. Era la risposta russa alle idee della Nuova Destra». Il tono è chiaro: Dugin come de Benoist russo, Elementy come versione russa di Éléments. Visione del mondo una, espressioni varie. I contorni di quella visita però sono stati raccontati in passato da de Benoist in termini molto diversi. È d’uopo ricostruire la vicenda non certo per fare del gossip, ma perché le obiezioni che all’epoca de Benoist sollevò a Dugin appaiono ancora oggi significative. In un’intervista uscita su Telos, e ripresa in Diorama letterario 206, de Benoist ricorda: «Nell’aprile del 1992 ho passato una settimana a Mosca, su invito di Dugin. In quella occasione ho incontrato parecchi politici, generali dell’esercito, accademici e giornalisti di varie opinioni […]. Se ero interessato al fatto che le vecchie linee politiche stavano chiaramente crollando in Russia, ero anche disturbato dal crudo imperialismo e giacobinismo della vasta maggioranza dei cosiddetti “patrioti”. Alcuni di costoro non pensano ad altro che alla restaurazione del vecchio dominio russo sui Paesi dell’Europa orientale e persino centrale. Ho cercato di spiegare loro che non possono risolvere i problemi del centro spedendo carri armati in Ucraina, Polonia e negli Stati baltici. Potevo essere d’accordo con il loro rifiuto di imitare il modello liberale di mercato occidentale, che contrasta ovviamente con le loro tradizioni […] ma non ero d’accordo con il loro concetto di identità russa e del ruolo della Russia nel mondo. L’imitazione del passato non mi sembra molto migliore dell’imitazione dell’Occidente. […] Il cosiddetto nazionalbolscevismo avrebbe potuto essere un fenomeno interessante nella Germania degli anni Venti. È un disastroso anacronismo nell’attuale panorama russo. Temo che queste opinioni non siano state ben comprese. Dopo essere ritornato in Francia, scoprii che Dugin aveva lanciato una rivista intitolata Elementy, il cui contenuto mi sembrava (non so leggere il russo) una tipica mistura di influenze radicali assunte in modo confuso e acritico. Ero già dispiaciuto del titolo del giornale, perché sapevo che sarebbe stato usato per presentarlo come la controparte russa del francese Éléments. Scrissi a Dugin e gli chiesi di togliere il mio nome dal comitato di redazione del suo giornale, dove era comparso senza il mio permesso (cosa che venne fatta nel numero successivo). Da allora non ho avuto più alcun contatto con Dugin». De Benoist scriveva queste righe nel 1997. Il fatto che poi, quando la Russia ha deciso di portare effettivamente i carri armati in Ucraina per bieco revanscismo storico, de Benoist abbia ritenuto di fare riflessioni molto diverse da quelle di un tempo, non ci impedisce comunque di raccontare la vera storia dei rapporti tra ND e mondo duginiano, visto e considerato, peraltro, che la quasi totalità delle perplessità debenoistiane del tempo ci appaiono perfettamente attuali.

Tradizionalismo

In Teoria Europa, Darya tende costantemente ad appiattire il pensiero della ND sul tradizionalismo. Certo di tanto in tanto menziona anche qualche differenza tra le due correnti, ma lo schiacciamento è abbastanza evidente, per esempio in formule lapidarie come: «Il movimento francese “Nouvelle Droite” è un fenomeno della rivoluzione culturale conservatrice e tradizionalista». In un altro passaggio parla di de Benoist «come tradizionalista e come rappresentante della Nuova Destra». Al di là delle definizioni, la confusione appare anche nei contenuti. Scrive per esempio l’autrice: «Per de Benoist l’idea di progresso è un mito che il liberalismo impone per distruggere tutto ciò che è umano. E, certo, per loro il progresso è una maledizione. Seguono in questo anche Guénon, che percepiva la storia mondiale addirittura come una storia di regressione totale». Difficilmente si potrebbe travisare in modo più radicale la visione della ND, che in buona parte dei suoi esponenti e per buona parte della sua storia è stata apertamente pro modernità. Ma anche l’ultimo de Benoist, che ha rivisto molti degli entusiasmi faustiani del passato, non ha mai sposato certe visioni regressive guénoniane. Da dove nasce allora l’equivoco? Ma è ovvio: l’evolizzazione e la guénonizzazione della ND è necessaria come secondo step di un processo che ha già visto la duginizzazione di Evola. De Benoist = Evola = Dugin, dunque. Ma in questa equazione, in cui tutti i passaggi sono falsi, si perde per strada l’originalità del fenomeno ND.

Paganesimo

Uno dei temi che unisce la prima e la seconda ND, quelli che sono rimasti nelle riviste ufficiali e quelli che hanno sbattuto la porta, è il tema del paganesimo. Un vero tratto identificante del movimento, l’essenza stessa della ND. Eppure, la Dugina si impegna strenuamente per relativizzare questo riferimento, pur non potendo d’altronde negarlo. Basta semplicemente proclamare che «l’opposizione al cristianesimo, spesso proclamata dalla Nuova Destra, sarebbe diretta essenzialmente contro la Chiesa cattolica, e in un contesto più ampio non potrebbe essere automaticamente trasferita ad altre confessioni cristiane». La ND sarebbe quindi essenzialmente anti cattolica, mentre con l’ortodossia non avrebbe nulla da eccepire. È ovviamente una falsità, perché testi come L’eclisse del sacro o Come si può essere pagani? se la prendono innanzitutto con l’impianto teologico biblico e monoteista, comune a tutte le confessioni cristiane. E, anzi, la permanenza di latenze pagane in certe cerimonie cattoliche è apertamente lodata. Ma il libro va a testa bassa verso il suo scopo dichiarato a suon di forzature. Per esempio, viene citato varie volte, come se fosse un esponente particolarmente rappresentativo, Christophe Levalois, membro dell’ala tradizionalista del Grece poi diventato sacerdote ortodosso. Tanto basta per ripetere più volte che «nel Grece ci sono sacerdoti ortodossi», come se fosse una cosa frequente. E ancora, si cita il «centro Saint-Paul» di cattolici tradizionalisti parigini che sarebbe in ottimi rapporti con la ND, ma si tacciono le bordate d’odio arrivate per anni al movimento da parte della destra cattolica, in cui l’accusa più gentile era in genere che la ND fosse un’accolita di pedofili.

Immigrazione

Le posizioni della ND sul tema dell’immigrazione sono state piuttosto sfaccettate. Certamente l’ambiente è sempre stato lontano da xenofobia volgare e ragionamenti qualunquistici. La critica del fenomeno migratorio è però sempre stata abbastanza netta. Negli articoli di Guillaume Faye che il sottoscritto ha raccolto per l’antologia Dei e Potenza, emerge chiaramente come una visione fortemente negativa del fenomeno migratorio fosse stata formulata già nel 1983. Nel 1998, un controverso numero di Éléments dedicato a Le défi multiculturel creò una certa polemica interna. Poco dopo, ricomparve sulla scena Guillaume Faye, con posizioni fortemente critiche su immigrazione e islam. Anche altri fuoriusciti dalla ND ufficiale, come Pierre Vial, si attestarono su tali posizioni. Oggi, sia Éléments che l’Institut Iliade adottano una visione radicalmente critica dell’immigrazione, sposando le tesi di Renaud Camus sulla sostituzione di popolo. Ora, cosa dice Teoria Europa su questo tema? Il minimo che si possa dire è che si nota una certa reticenza. Scrive Darya: «Per la Nuova Destra gli immigrati sono vittime infelici, e l’immigrazione stessa è parte del processo criminale e omicida della globalizzazione liberale. Certo, nell’ambiente della Nuova Destra ci sono anche elementi più radicali, vicini a un’agenda di destra più classica. Sono d’accordo con l’idea che le élite globali vogliano attuare una Grande Sostituzione. […] Questa linea è stata sviluppata soprattutto da Guillaume Faye. E per coloro che riconoscono che il piano della Grande Sostituzione esiste, questo processo, ovviamente, appare negativo e mortalmente pericoloso per l’Europa. Ma questa è l’ala tradizionale della Nuova Destra, più classica». Balza subito agli occhi che, per l’autrice, la grande sostituzione non è un’evidenza demografica, bensì un atto di fede: c’è chi vi crede e chi no. Appare anche chiaro come la denuncia della sostituzione di popolo – che è tema cruciale nell’Institut Iliade, così come nella quasi totalità della ND odierna – venga derubricata a una sorta di posizione conservatrice da «vecchia destra». Darya nega quindi che gli immigrati causino problemi? No, beninteso. Ma la sua spiegazione è che essi sono pericolosi… per colpa degli europei: «Il problema che gli immigrati moderni affrontano quando arrivano in Francia è che non vedono quali siano i valori per un europeo. Perché gli europei stessi per primi hanno tradito i propri valori e le proprie radici. Ecco perché danno luogo ogni sorta di soprusi: attentati, disordini, saccheggi, aggressioni e altri misfatti».

C’è ovviamente un’eccezione, un gruppo di immigrati che sembrerebbe essere molesto di per sé: si tratta degli immigrati… ucraini! Leggiamo: «I rifugiati ucraini, che all’inizio sono stati accolti con grande gioia, ora causano disagio». Merita infine di essere sottolineato un altro passaggio, in cui l’autrice riassume così le posizioni di de Benoist: «Dice queste parole: se sosteniamo il black power, dobbiamo sostenere anche il white power, lo yellow power, tutti i poteri che ci sono. Altrimenti si ottiene semplicemente un’altra versione dello stesso razzismo». Giustissimo. Solo che non si capisce perché qui Darya non abbia colto l’occasione per prendere le distanze da posizioni ben diverse assunte anni fa sul tema dal padre (oppure per smentire che quelle dichiarazioni fossero autentiche, al limite). Ci riferiamo alle parole riportate da Kommersant, che recitano così: «La civiltà bianca – i suoi valori culturali, il modello falso e disumano del mondo che ha costruito – non si è giustificata. Tutto si avvia verso l’inizio di pogrom bianchi su scala planetaria. La Russia è salvata solo dal fatto che non siamo puramente bianchi. Corporazioni transnazionali predatrici, oppressione e repressione di tutti gli altri, Mtv: questi sono i frutti della civiltà bianca di cui è necessario sbarazzarsi. Ecco perché sono per il rosso, il giallo, il verde, il nero, ma non per il bianco. Sono dalla parte del popolo dello Zimbabwe [che all’epoca cacciava i bianchi] con tutto il cuore». Allo stesso modo, è interessante chiedersi cosa avrebbe pensato Venner di considerazioni come quelle riportate in questo passaggio di Teoria Europa: «I kadyroviti combattono insieme ai russi, vanno con loro mano nella mano, e oggi è successo un episodio assolutamente folle su un canale Telegram, dove sono stati riportati i ricordi di una ragazza di Mariupol che si nascondeva in una cantina dai bombardamenti e improvvisamente ha pronunciato queste parole: “Sento ‘Allahu Akbar’ e capisco: ‘I russi stanno arrivando’”. La parola “russo” è diventata qualcosa di sovraetnico, i russi sono diventati universali».

Europa

Eccoci giunti al cuore della questione. Come detto, in Teoria Europa non c’è in realtà alcuna teoria dell’Europa. Ci sono però alcuni accenni del seguente tenore: «L’Unione Europea per la Nuova Destra non è l’Europa che vogliono e desiderano, è piuttosto un’anti-Europa, il suo doppio negativo. Come c’è Cristo e l’Anticristo, così per loro c’è l’Europa e questa anti-Europa». Il riferimento a Cristo e all’Anticristo, che è quanto di più lontano possa esistere dal gergo della ND, la dice lunga. Tutto il libro della Dugina è del resto pieno di questi binarismi metafisici: x e antiX, la luce e le tenebre etc. Un vero e proprio ribaltamento della logica del terzo incluso e della laicità di spirito che caratterizza da sempre il discorso della ND. Ma sorvoliamo pure sui riferimenti, sui toni, sulla logica: è vero ciò che viene detto del rapporto tra ND e Ue, cioè che la seconda è un nemico metafisico della prima? Ovviamente no. Basterebbe dare un’occhiata al numero 96 di Éléments, interamente dedicato a contestare, in un’epoca in cui da noi la parola neanche esisteva, i sovranisti e le loro critiche all’Europa di Bruxelles. Non perché quest’ultima fosse esente da colpe, ma perché, come scriveva de Benoist nell’editoriale, «un’Europa imperfetta è migliore di nessuna Europa». Per de Benoist, «tutti i mali che vengono attribuiti alle istituzioni europee si ritrovano su scala nazionale». Nello stesso numero, Charles Champetier ribadiva il concetto: «Che cosa è meglio, una “cattiva Europa” o nessuna Europa? Noi preferiamo la prima opzione». Aggiungendo poi, horribile dictu, che «l’Unione europea non è poi così cattiva». Champetier riassumeva così la posizione propria e della testata: «[Esiste] chi, come noi, si rende conto dei difetti dell’Europa ma si propone di correggerli all’interno della stessa dinamica della costruzione europea». Vedute non diverse si trovano in Guillaume Faye. Nella seconda edizione ai suoi Nouveau discours à la nation européenne, il pensatore francese chiarisce: «Per quanto sia pertinente, la critica dell’Europa [del trattato] di Amsterdam e dell’euro dimentica un fatto storico capitale: una forma politica può evolvere dall’interno, sotto la pressione delle circostanze. […] L’Europa fortemente imperfetta che si edifica nel disordine crea nondimeno una rottura storica. La mia convinzione è che non ci si possa evidentemente fermare all’Unione europea attuale, ma che non si possa comunque più tornare indietro». Parlare di anticristi e altra fuffa messianica per rappresentare queste posizioni è una pura e semplice falsificazione. Ma giova ricordare che un’apertura di credito all’Europa di Maastricht era stata fatta persino da Jean Thiriart, che in Teoria Europa è ricordato varie volte come anticipatore e ispiratore della ND, dello stesso Dugin oltre che di… Vladimir Putin (!). In un intervento radio del 1992, raccolto da poco in volume nel testo Pro e contro Maastricht (All’insegna del Veltro), il teorico belga diceva: «Ci sarà un’altra Europa dopo l’Europa invertebrata del signor Mitterrand e del suo amico Kohl. Verranno altri uomini, che radicalizzeranno questa Europa. Ma lasciate che inizino i principianti, lasciate pure che facciano, lasciate che vengano i Lafayette e i Mirabeau. Poi, come ho detto, avremo i ghigliottinatori, come nel 1793. Dopo avremo i Robespierre, li avremo; ora lasciate pure che a dare inizio all’Europa siano molluschi come Mitterrand!». Atlantista e servo degli eurocrati pure il fondatore di Jeune Europe? A proposito di Europa e di ND, è infine legittimo chiedersi se i curatori dell’opera condividano l’attacco che, il 21 maggio 2022, sui suoi canali social, il sodale eurasiatista, dughiniano e filorusso Christian Bouchet mosse alla figura di Dominique Venner, imputandogli non solo di essere «simpatico come la porta di una prigione», non solo di aver compiuto, con il suo suicidio, un «atto sacrilego» e un «rifiuto della battaglia», ma anche e soprattutto «la visione etnorazziale dell’Europa» e di essere apprezzato «da coloro che prendono parte per l’Ucraina».

La nuova orchestra rossa

Per concludere, c’è un dettaglio marginale, ma veramente rivelatore, che riassume lo spirito di questa operazione. In due circostanze, parlando della passione di Alain de Benoist per la Rivoluzione conservatrice tedesca, e al fine di chiarire che tale fonte d’ispirazione non abbia nulla a che vedere col nazismo (altrimenti si dovrebbe procedere alla denazificazione del pensatore francese con i metodi che sappiamo), Darya cita, fra i primi nomi di quest’ultima corrente, Harro Schulze-Boysen. È un riferimento strano, che non verrebbe mai in mente a nessuno. Di fatto, chi era costui? La traiettoria politica e umana di Schulze-Boysen è in effetti altamente simbolica e, a ben vedere, pare pienamente giustificata ai fini di ciò che il libro vorrebbe veramente affermare. Cresciuto in una famiglia aristocratica e proveniente dalla destra nazionalista classica, a un certo punto Harro divenne nazionalbolscevico ed entrò a far parte dell’organizzazione antinazista che le autorità tedesche ribattezzeranno Orchestra rossa. Qui, in piena guerra, Schulze-Boysen si mise a passare informazioni militari segrete ai russi che stavano combattendo contro i suoi compatrioti, e, contemporaneamente, il suo gruppo informava anche l’addetto economico dell’ambasciata americana a Berlino, Donald Heath. Una biografia che vale come un manuale d’istruzioni. Chi vuole intendere, intenda.

Adriano Scianca

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