Roma, 12 giu – Ronald Reagan era una vecchia volpe, e su questo nessuno può esprimere dubbi. Mikhail Gorbaciov, al contraio, un ingenuotto. Per i nostaligici marxisti addirittura un corrotto, ma non ce ne interessiamo in questa sede. Oggi è un anniversario quanto meno “interessante”, che intreccia l’offensiva americana e l’impotenza sovietica degli anni Ottanta alla perfezione. Lo scontro tra le due superpotenze aveva raggiunto gli apici qualche anno prima, e in quel momento sembrava indirizzato a una sorta di dialogo, che però mascherava una situazione, per Mosca, molto più seria e drammatica: la difficoltà di stare al passo del rivale yankee, anche sotto il profilo militare (non è un mistero che “Gorby” fu nominato in gran parte per volere dei massimi quadri dell’esercito(. Il che permise al presidente americano di “giocare” con l’avversario, arrivando al punto di inscenare dei bluff addiirittura clamorosi.
Come Reagan arrivò a quel “Tear down this wall”
Il discorso di Reagan pronunciato di fronte alla Porta di Brandeburgo che all’epoca ancora divideva la capitale tedesca, se non “in corso” quanto meno “storica” e futura della Germania che si sarebbe riunificata di lì a qualche anno, merita di essere riportato integralmente perché la quantità di temi che affronta inquadra perfettamente il periodo storico e ci permette di ricostruirlo con un certo grado di fedeltà.
Erano gli anni del “bluff” dello scudo stellare, abilissima “truffa” – perché così possiamo definirla, senza grossi timori di smentita – con cui il leader statunitense “intortò” quello sovietico, consapevole di non poter tenere il passo tecnologico e finanziario nella corsa agli armamenti e spaventato dal “terribile” progetto di difesa anti-missilistica che poi la storia avrebbe visto concrettizzato…mai. Difficle non pensare che Reagan avesse in piena coscienza fatto il passo più lungo della gamba proprio allo scopo di costringere il rivale a tirare i remi in barca: e l’operazione gli riuscì, perché negli incontri bilaterali fra i due le “preghiere” del segretario del Pcus per convincere Washington a non proseguire nel fantasmagorico progetto furono talmente esplicite da risultare a un certo momento perfino imbarazzanti. Sorrisi, dialoghi, certamente ottimi rapporti personali, quello sì. Ma il Reagan che giungeva a Berlino Ovest in quel 12 giugno era ben consapevole di avere un vantaggio netto. E quel “Tear down this wall” fu solo un altro affondo, potentissimo, al fine di continuare a sfiancare i nemici oltrecortina…
La democrazia, il vero cavallo di Troia dell’impero sovietico
C’è un’altra ragione, oltre a quelle che abbiamo già esposto analizzando il fenomeno del comunismo novecentesco, per cui Pechino è “sopravvissuta” come Stato, diventando addirittura la nuova rivale degli Usa, e Mosca no. Ovvero: non aver concesso le libertà democratiche, stante l’avvio di una decisa opera di stravolgimento sul piano economico. La democrazia, insieme ai mezzi di comunicazione di massa e al loro sviluppo tecnologico in quei decenni, fu ciò che “fregò” di più l’Unione Sovietica. E anche quel “Tear down this wall” rientra appieno nel processo. Reagan seppe sfruttarlo al meglio, pure in un contesto in cui ufficialmente dialogava con quello che lui stesso aveva definito anni prima “l’impero del male”.
Stelio Fergola