Roma, 7 mag – Farfalle svolazzanti, rondini, motivi floreali e ricami orientali sono solo alcuni dei soggetti che le donne operate di tumore al seno, scelgono per coprire le cicatrici. Ricorrere all’arte per ricoprire il petto, spesso privo di seni, a causa della mastectomia, è una pratica che si sta diffondendo, ormai da tempo, tra le pazienti “sopravvissute”.
Il carcinoma mammario è un tumore femminile che colpisce 1 donna su 10, nei paesi industrializzati. Oggi nei paesi dell’Unione Europea si ammalano di tumore al seno più di 300.000 donne ogni anno, mentre in Italia annualmente 7 donne su 100 manifestano un cancro alla mammella durante il corso di una vita normale (ovvero entro gli 80 anni d’età). Tuttavia, oggi si registra una riduzione di mortalità, grazie soprattutto alla diagnosi precoce.
Affrontare un tumore è sempre difficile soprattutto quando la malattia colpisce organi legati alla sfera sessuale o riproduttiva della donna. Infatti, ci si trova improvvisamente a dover gestire non solo la paura della malattia e dei trattamenti necessari alla guarigione, ma anche le inevitabili conseguenze sull’immagine corporea, che possono abbassare l’autostima, le inevitabili conseguenze sulla sfera sessuale e sull’equilibrio della vita relazionale.
Il seno da sempre è simbolo di femminilità, di seduzione, di maternità, oggetto del desiderio per eccellenza. Per la donna è un elemento fondamentale della propria immagine corporea, testimone tangibile della propria identità. La sua asportazione produce una vera e propria menomazione. Fortunatamente oggi la chirurgia ha fatto passi da gigante, è sempre più conservativa, mini-invasiva e tende a ridurre al minimo eventuali effetti negativi sull’immagine di sé, a preservare l’integrità del corpo e la qualità della vita. Tuttavia le cicatrici, essendo dei segni permanenti, non possono essere eliminate con nessuna tecnica chirurgica, ma possono soltanto essere migliorate.
Ed è così che dall’America si sta diffondendo anche da noi un modo trasgressivo e allo stesso tempo artistico per affrontare le insicurezze derivate dalla malattia: i tatuaggi. Colby Butler, la tatuatrice statunitense che si occupa di restituire una sensazione di bellezza a queste donne, dice che: “I tatuaggi possono aiutare le persone a dimenticare le ferite e le cicatrici o a trasformarle in una cosa bella”. Secondo questa impostazione il tatuaggio non è solamente un modo per coprire le cicatrici, ma anche un’occasione per reinventarsi e ritrovare la propria femminilità. E ancora un altro esperto tatuatore David Allen, racconta: “Trasformiamo lo sterile nel sensuale, il segno di un’operazione in qualcosa di nuovamente bello”.
Tra le “sopravvissute” che hanno deciso di cancellare un passato di sofferenza con un po’ di inchiostro sulla pelle, è diventata celebre, a colpi di “like”, Kelly Davidson, 34enne di Ottawa, che scrive sua pagina Facebook: “Come una crisalide che diventa farfalla sono cambiata all’esterno ma sono rimasta la stessa all’interno”.
Ma cosa ne pensano i medici? La dermatologa Maria Concetta Romano afferma: “Approvo tranquillamente l’utilizzo dei tatuaggi anche a scopo decorativo, se realizzati in condizioni e con modalità sicure per aiutare una paziente a superare il trauma” e prosegue: “un esempio per tutti è la storia di una mia paziente operata per un tumore all’intestino che le aveva provocato una lunga cicatrice verticale sulla pancia. Un tatuaggio correttivo trasformò la cicatrice nello stelo di un fiore e questo la aiutò a superare lo shock, tanto che tornò a indossare il costume da bagno”.
Via libera ai tatuaggi allora, soprattutto se riescono a ridonare alla donna la propria femminilità e perché no, anche la possibilità di condividere una risposta alla sofferenza e sentirsi meno sole.
Marta Stentella