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Tasse: perché aumentano sempre?

by La Redazione
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tasse modello unico

Vi siete mai domandati perché a parità o crescita di tasse e imposte aumentano canoni, tariffe e tickets? Oppure, il che è lo stesso, si restringe il perimetro dei servizi offerti?

Roma, 2 mar – La nuova ed ennesima ondata di riprovazione mediatica contro i dipendenti della pubblica amministrazione rei di assenteismo ed inefficienza sembra quasi minare alla base uno dei pilastri sbandierati per 20 anni su cui si fonda l’eurozona. E’ fallita cioè nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa degli Stati “inefficienti” imponendo a questa spesa vincoli esterni sempre più stringenti, nonché il dogma della scarsità monetaria. In pratica, si diceva che privando l’Italia della sovranità monetaria, e dovendo quindi il governo piegarsi alle richieste dei mercati finanziari, essa sarebbe stata nei fatti obbligata a comportamenti “virtuosi”, nell’accezione liberale del termine. Ovvero, spendere poco e solo quando necessario per “chi se lo merita”.

Anche un idiota capirebbe che, in un mondo che usa simboli come moneta (e non oro o altre materie prime), la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione. Non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile, ecc… Non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito, ma solo uno strumento a cui la legge dà la facoltà di saldare i debiti precedentemente contratti. Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta, oramai senza nemmeno stampare fisicamente cartamoneta, ma solo premendo dei tasti. Al limite, il difficile è spenderla bene, ma questo è un altro discorso.

In realtà, lo scopo fondamentale e talvolta persino dichiarato è quello di estromettere lo Stato come intermediatore del risparmio, sostituendovi il capitale privato. Prima di farlo, però, è necessario strangolare le finanze pubbliche con ogni metodo possibile. Vi siete mai domandati perché a parità o crescita di tasse e imposte aumentano canoni, tariffe e tickets? Oppure, il che è lo stesso, si restringe il perimetro dei servizi offerti? Conosciamo bene la risposta che darebbe il grillino medio, o il giornalista finto-alternativo alla Fini, Travaglio, Gomez: la “Casta” di avidi delinquenti si è pappata tutto il pappabile. Lungi da noi fare gli avvocati difensori dei parassiti, ma perché nessuno nota mai che esistono strumenti legislativi che rendono obbligatorio e strutturale il ricorso al credito, trasformandolo così da strumento discrezionale a finalità dell’investimento pubblico?

Stiamo parlando del patto di stabilità e della finanza di progetto. Il primo impone agli enti locali di conseguire il pareggio o avanzo di bilancio nell’ambito di ciascun anno di esercizio. La conseguenza paradossale (ma voluta) è quella di bloccare gli investimenti che non siano compensati dalle entrate dell’anno corrente anche in presenza di coperture certe (ad es. ricavi tariffari) e anche se l’ente ha già in cassa i soldi per sostenerli. La seconda prevede che un operatore privato anticipi gli investimenti necessari alla realizzazione/sviluppo/gestione di un servizio e li recuperi con gli interessi in un arco di tempo prestabilito incamerando i flussi di cassa generati dalla gestione del servizio. In una diversa variante, l’operatore privato remunera l’investimento facendosi corrispondere un canone. Questo vuol dire solo una cosa: un investimento di lungo periodo ritenuto remunerativo per un privato, non viene considerato tale per un ente pubblico. Prova ne sia che persino gli enti che hanno già le risorse monetarie in cassa non le possono investire. Il blocco degli investimenti non risponde infatti ad alcuna necessità contabile ma alla volontà politica di sostituire l’investimento privato alla spesa pubblica nella esplicita convinzione che esso sia più efficiente e possa meglio soddisfare il bene pubblico.

Da notare che, in un’epoca in cui la paranoia sul debito pubblico ha sostituito le vecchie religioni, si impedisce la spesa di danaro già incassato per sostituirlo con…un debito. Non lo si può definire in altro modo, visto che in base d’asta il comune deve obbligatoriamente includere una quota di remunerazione del capitale investito dall’appaltatore, il quale, guarda caso, può godere (solitamente) di condizioni creditizie agevolate presso le banche che lo finanziano. È questo il punto: se semplicemente si permettesse di spendere quanto necessario, le banche nell’equazione non sarebbero nemmeno presenti. È per questo che a partire dall’entrata nello Sme (1979) ed al conseguente divorzio Tesoro-Bankitalia (1981) si è fatto di tutto per demonizzare la spesa pubblica con la scusa dell’inefficienza. Quello che è stato fatto in alto, imponendo allo Stato di emettere obbligazioni anziché stampare moneta, lo si sta facendo oramai anche in basso, imponendo ai Comuni di non spendere soldi che già hanno ed indebitare di conseguenza i cittadini.

Ci rendiamo perfettamente conto che questo cozza contro l’inestirpabile autorazzismo, che dalla destra radicale alla sinistra gender sembra essere il sistema di unificazione ideologica nazionale, ma ce ne faremo una ragione. Perché le tasse non scendono? Perché le tariffe aumentano? Perché devono coprire il lucro dell’operatore privato ma soprattutto remunerare il capitale investito nella finanza a progetto.

E la corruzione, gli sprechi, l’evasione? Oltre a ripetere che si tratterebbe di fenomeni correlabili all’aumento dei costi solo qualora si dimostrasse che siano essi stessi in aumento (mentre pare diminuiscano, almeno secondo il governo) va ricordato un dettaglio: che si tratta cioè di reati e condotte sanzionabili, laddove la finanziarizzazione è un programma politico e una regola a cui sottrarsi è reato sanzionabile. Spiace per chi ha fatto dell’onestà una bandiera, che scende in piazza invocando la presidenza della repubblica per forcaioli comunisti o invoca guerre generazionali contro i “vecchi” che “se so magnati tutto”, ma la situazione non potrebbe essere più chiara di così: se a comandare è il sistema finanziario, il ricorso al credito sarà gradualmente esteso a qualunque ambito della vita economica e sociale. Dal nostro punto di vita, ovviamente, si tratta di moneta-debito.

Matteo Rovatti

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