Tempe, Arizona, 16 mag – Scoperta la “mano di Dio”, pilastro della creazione, si potrebbe dire, nella forma di un campo magnetico elicoidale primordiale, nato insieme al Big Bang e che tuttora pervade l’universo interno, dello stesso tipo di un campo magnetico generato da un filo percorso da corrente, con andamento sinistrorso e potenziale rettilineo, che ha dato vita fino dai primi nanosecondi (milionesimi di secondo) dopo la creazione dell’universo alla materia come la conosciamo.
Che esista in tutto questo una sorta di volontà superiore, o se si preferisce un destino benigno drammaticamente improbabile, è qualcosa che dovrebbe far sobbalzare i fisici (e non solo) sulla sedia: mentre nei primi attimi, miliardesimi di secondo, dopo il Big Bang, dovrebbe aver prevalso un campo magnetico destrorso, tale da generare soltanto antimateria, per qualche ragione il senso di rotazione del campo si deve essere subitaneamente invertito, iniziando a produrre la materia ordinaria, quella di cui siamo fatti noi e tutto quello che ci circonda.
Perché la scoperta dei ricercatori dell’Università dell’Arizona a Temper, guidati dal Prof. Tanmay Vachaspati, insieme al McDonnell Center for the Space Sciences e all’Università di Nagoya, è così importante?
L’antimateria è praticamente identica alla materia ordinaria, in particolare le sue particelle fondamentali hanno la stessa massa, ma la carica elettrica è opposta. Il problema è che – una volta venute in contatto – materia e antimateria si annichilano, si distruggono, con un bel botto e tanta produzione di energia (la massa come si sa dalla teoria della relatività è equivalente all’energia), e se il campo magnetico primordiale avesse oscillato tra i sensi destrorso – che crea l’antimateria – e sinistrorso – che crea la materia – non sarebbe nato alcun universo, ma un bel brodo di energia senza massa. Se, invece, lo stesso campo fosse rimasto destrorso come era all’inizio, oggi saremmo fatti di antimateria.
Invece, le cose sono andate diversamente, di antimateria nell’universo ce n’è pochissima, e solo grazie a questo oggi esiste l’universo e noi stessi.
In realtà, Vachaspati aveva avuto l’idea del meccanismo già nel 2001, pubblicando modelli teorici in cui prediceva che l’intero universo fosse pervaso da campi magnetici elicoidali (“ a vite”).
È stato però soltanto grazie al lancio, nel 2008, del telescopio spaziale “Fermi” a raggi gamma della Nasa (FGST) che sono arrivate, quasi 15 anni dopo, le conferme sperimentali. FGST osserva i raggi gamma (radiazione elettromagnetica con lunghezze d’onda minori rispetto ai raggi X) da sorgenti molto lontane, come i buchi neri super-massivi trovati in molte grandi galassie, tanto lontane che il tempo impiegato dai raggi gamma per arrivare fino a noi è paragonabile alla vita dell’universo.
Questi raggi gamma sono sensibili all’effetto del campo magnetico attraverso il quale si muovono nel loro lunghissimo viaggio verso la Terra: se questo campo è elicoidale, esso dovrebbe imprimere una configurazione a spirale alla distribuzione dei raggi gamma.
Vachaspati e il suo team hanno visto esattamente questo effetto nei dati forniti dal telescopio FGST, consentendo non soltanto di rilevare il campo magnetico ma di misurarne le proprietà. I dati mostrano un campo elicoidale ma – di più – che esiste un eccesso di senso sinistrorso nella sua rotazione: una proprietà fondamentale che per la prima volta suggerisce il meccanismo preciso che ha portato all’assenza di antimateria.
“Il pianeta in cui viviamo e il Sole sono fatti di materia ‘normale’, e sebbene quanto raccontato nelle fiction scientifiche, l’antimateria sembra incredibilmente rara in natura. Con questo nuovo risultato, abbiamo ottenuto uno dei primi indizi che ci portano verso la soluzione di questo mistero”, ha commentato Vachaspati, con riferimento alla pubblicazione, pochi giorni fa, del loro lavoro sulla prestigiosa rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
La questione ora si sposta – da una parte – sui meccanismi che hanno costruito la massa delle particelle elementari costituenti la materia, che la teoria standard della fisica individua nel campo di Higgs, da cui il bosone di Higgs anche noto come “particella di Dio” per la cui presunta scoperta fu assegnato assai frettolosamente il premio Nobel 2013 nonostante numerose difficoltà teoriche e sperimentali di cui si è almeno in parte dato conto su queste colonne, dall’altra sul ruolo che un campo magnetico cosmologico potrebbe aver giocato nella formazione delle prime stelle, così come nella generazione dei campi magnetici molto più intensi osservati oggi nelle galassie e negli ammassi di galassie.
C’è però una incredibile coincidenza che ci ha fatto letteralmente saltare sulla sedia.
L’intensità del campo magnetico primordiale elicoidale che pervade l’universo è stato stimato nell’ordine di 10-18 Tesla sulla scala spaziale dell’ordine di 10 Mega-parsec, qualcosa come 3,09×1023 metri (trecentomila miliardi di miliardi di chilometri). Ebbene, il potenziale vettoriale di questo campo magnetico elicoidale sarà prima di tutto rettilineo, cioè con una direzione ben definita (che nell’articolo non è specificata), inoltre con un valore dato dal prodotto del campo magnetico per la relativa scala spaziale, cioè dell’ordine di 3×105 Tesla×metro, che è vicinissima anzi praticamente identica alla stima dell’intensità del potenziale vettoriale rettilineo del campo magnetico – pari a di 1.9×105 Tesla×metro – previsto quale costante fondamentale dell’universo da una teoria fisica cosmologica alternativa (teoria byuon) formulata inizialmente quasi 35 anni fa a opera del fisico russo Yuriy Baurov, perfezionata e verificata nel tempo, che, a partire da pochissimi assiomi – il quanto di spazio, il quanto di tempo e un potenziale vettoriale cosmologico che riproduce l’anisotropia globale dell’universo (residuale da quella originale e molto intensa dello spazio unidimensionale primordiale) –è in grado di ricostruire le scale spaziali fondamentali dell’elettrone, del nucleo atomico e dell’universo, le costanti fondamentali (velocità della luce, carica elettrica elementare, costante di Planck), le costanti di tutte le interazioni fondamentali, incluse quelle nucleari (forte e debole), lo spettro di massa di tutti i leptoni (elettrone, muone, ecc), dei barioni e dei mesoni, le equazioni del campo elettromagnetico, così come la materia oscura e l’energia oscura, come si è illustrato recentemente su questo giornale.
Allora, stime di grandezza talmente vicine, quelle dei potenziali vettoriali di Vachaspati e di Baurov, praticamente uguali considerando le incertezze insite nell’ultimo lavoro nippo-americano, da far pensare a molto più di una coincidenza.
Se questa pazzesca coincidenza potrà essere dimostrata costituire una prova della teoria byuon, allora l’enigma dell’antimateria sarebbe automaticamente risolto: questa – l’antimateria – sarebbe infatti stata effettivamente preesistente alla materia ordinaria, secondo la teoria di Baurov, e precisamente finché l’universo era confinato entro un cubetto infinitamente piccolo (dimensione di un miliardesimo di miliardesimo di millimetro), essendo formata dalle interazioni degli stati di vuoto delle particelle byuon con indici più bassi, mentre nel corso della successiva espansione dell’universo (ma ancora piccolissimo) l’aumento degli indici di interazione degli stati di vuoto delle stesse particelle byuon determinava la formazione della materia ordinaria, che avrebbe quindi soppiantato la sua controparte a carica opposta e formato l’universo come lo conosciamo. Per i più curiosi, il meccanismo è illustrato al capitolo 5 del libro La Trama Svelata curato dallo scrivente e pubblicato nel 2009.
Francesco Meneguzzo