Roma, 14 ott – Recentemente sul canale Youtube di Progetto Razzia abbiamo ricostruito la storia del movimento terroristico delle Brigate Rosse da un punto di vista inedito: non quello giuridico o strettamente storico, ma dal punto di vista “dottrinario”.
La dottrina delle Brigate Rosse
Si intende con questo termine, usato nel senso strettamente militare, il rapporto tra i mezzi, gli obbiettivi e il contesto in cui l’organizzazione ha vissuto e, di conseguenza, le scelte che sono state compiute per cercare di allineare questi tre fattori. Il video di per sé è piuttosto neutro dal punto di vista morale e si limita ad una asciutta analisi che possiamo riassumere in “cosa è stato fatto” e “perché è stato fatto” soprattutto dal punto di vista della logica organizzativa. Sintetizzando al massimo, si può affermare che esistono tre momenti nella storia dell’organizzazione terroristica: una fase iniziale, movimentista, detta della “propaganda di fatto”; una seconda detta “dell’attacco al cuore dello Stato”; ed infine una terza detta della “polverizzazione” che si concluderà con la chiusura dell’esperienza brigatista (benchè poi, all’interno del mondo dell’estrema sinistra stessa sappiamo che quest’ultima fase verrà considerata “tattica” e non “definitiva”).
Le tre fasi dell’esperienza brigatista
La fase iniziale che, anche senza avere una data precisa possiamo conteggiare dal 1969, cioè dalla chiusura dell’esperienza del Collettivo Politico Metropolitano, al 1974 è quella della cosiddetta “propaganda di fatto”. Una parentesi iniziale in cui la dottrina da parte dell’organizzazione è quella di alzare il livello di scontro, portare la tensione che si vedeva nelle piazze all’interno delle fabbriche, sfruttare i successi per ottenere consensi e poter orientare il movimento, cioè quella saldatura tra studenti e operai che si stava vedendo quotidianamente nelle piazze. Questa fase venne chiusa – nel video viene spiegato molto più nel dettaglio – dall’arresto di buona parte della dirigenza fondatrice delle BR, cioè quando la struttura passò nelle mani di Mario Moretti. In questa seconda fase, le BR cambiano dottrina. Stavolta si lavora sulla segretezza, sulla creazione di una enorme macchina di guerriglia clandestina, e allo stesso tempo si sposta il piano della lotta cambiando bersaglio: non le fabbriche, non la società civile, ma la struttura stessa dello Stato. Questa fase che ha come momento culminante il sequestro Moro segna anche il declino dell’organizzazione la cui dottrina non ha saputo evolvere con la stessa rapidità con cui invece è riuscito a fare lo Stato. La dottrina anti-sovversiva man mano sviluppata dallo Stato ha in qualche modo funzionato e degradato la capacità delle BR sotto vari aspetti: le ha isolate dagli altri attori della sinistra anche radicale creando la figura del pentito (e i relativi enormi sconti di pena), ha messo in crisi la logica della struttura clandestina che ovviamente deve basarsi sulla segretezza ma anche sulla fiducia e la tenuta di persone a tutti gli effetti sconosciute tra loro, ha ridotto gli spazi di manovra anche logistici di una struttura che cominciava ad avere enormi esigenze in termini di costi e risorse (come i documenti falsi e le armi ad esempio). La terza fase, che possiamo identificare negli Anni ‘80 post sequestro Dozier, è quella della polverizzazione della struttura. La struttura collassa sotto un ecosistema ostile e reattivo, sostanzialmente ogni colonna diventa all’incirca una realtà a sé: nascono diverse linee, diverse dottrine, ma in un contesto oramai evoluto in altra direzione, in cui letteralmente la scelta della lotta armata non appare più una scelta razionale neppure ai segmenti più militanti e politicizzati della società. Qui si chiude l’esperienza delle Brigate Rosse, quantomeno quelle originali.
Evolvere o rimanere intrappolati
Una riflessione che merita di essere ascoltata perché, al netto dei contenuti, è interessante notare quanto un movimento politico, sia esso rivoluzionario o meno, armato o meno, deve nel corso della propria esistenza coscientemente e attivamente analizzare la propria dottrina, cioè la linearità tra i propri obbiettivi, i propri mezzi e il contesto, per essere pronto ad evolversi, oppure, rimanere intrappolato in forma che hanno funzionato in passato e saranno una condanna in futuro.
Progetto Razzia