Roma, 22 ott – Di Suburra, ultimo film di Stefano Sollima – nelle sale dalla scorsa settimana e già balzato al primo posto al botteghino tra i film “per adulti” – ne abbiamo dato una prima valutazione a caldo subito dopo l’uscita. E di certo, come nella natura del mezzo cinematografico, si può avere un parere contrastante e non necessariamente univoco su ciò che appare sul grande schermo.
In questo caso ad esempio, e lo scriviamo subito a scanso di equivoci, a chi scrive il film è piaciuto: è cupo, violento e cattivo quanto basta. E va da se che per “noi” i tre aggettivi di cui sopra hanno una valenza più che positiva, in un campo come quello del cinema Made in Italy in cui a farla da padrone sono i cine-panettoni – nella migliore delle ipotesi, o i drammi tardo-adolescenziali dei quarantenni e le crisi di mezz’età dei cinquantenni – nelle peggiori. Banalizzando, ben vengano i Suburra o i Non essere cattivo se l’alternativa è Margherita Buy. In ogni caso, come si suol dire…de gustibus.
Eppure, superando il giudizio puramente manicheo sulla pellicola, ci sono un paio di (s)punti d’attenzione da evidenziare rispetto a quanto già detto.
Sono un paio d’anni che Favino interpreta lo stesso ruolo: la visione caricaturale, e a tratti macchiettistica, del “fascista secondo Sollima”. In Suburra è un politico di centro-destra, con la celtica al collo, lecchino, pauroso e invasato dal potere. È un ruolo, diciamoci la verità, come detto macchiettistico: quale dei politici di centro-destra ascrivibili ad una certa “alfa ideologica” vedreste in grado di portarsi a letto contemporaneamente due giovani ed aitanti donzelle, di cui una minorenne, nel contempo fumando crack? Gasparri? Alemanno? Non scherziamo su. Ma purtuttavia, nella sua caricatura, in grado di cogliere l’essenza di una classe politica che in quasi vent’anni di governo è riuscita a tradire praticamente tutto, a cominciare da se stessi, e si è dimostrata totalmente inadeguata nel gestire il “potere”. Per farla breve, vedere quella celtica a quel collo colpisce duro e nel farlo fa male, ma solo quanto la realtà è in grado di fare
Abbiamo inoltre imparato a conoscere Sollima – Romanzo Criminale e Gomorra sono state un’ottima palestra in questo – e registicamente non c’è nulla da eccepire: una capacità innata nel generare picchi emotivi, campi lunghi e fotografia perfetta, colonna sonora monotona ma azzeccatissima e una sceneggiatura finalmente “moderna”, in grado di strizzare l’occhio a cose nuove e belle, a Narcos, a Hand of God, a True Detective, e cosi via. Rimane però un dubbio: come noi abbiamo imparato a conoscere Sollima, non è che per caso Sollima abbia imparato anche a conoscere noi?
A veder bene pare che il regista romano sappia esattamente cosa ci si aspetta da lui. E così lui, premasticato e giusto un po’ addolcito, ce lo da’ in pasto. Proprio come richiesto. A tal punto però da portarci a chiedere, con Suburra, chi sia quel “noi” e quale il bisogno (la nicchia di mercato) che il film-maker va a coprire. La risposta è certamente in divenire, ma per il momento il regista sembra strizzare l’occhio al “turista dei bassifondi”, al voyeurista della criminalità, a chi praticamente vuol vedere il male riflesso nell’altro da se e mai in se stesso, per poter poi tornare a casa sereno a dormire sonni tranquilli. Riuscisse Sollima a fare il passo in più, a mostrarci chi siamo davvero “noi” e non ipotetici altri, diverrebbe a quel punto davvero un serial killer della macchina da presa.
Davide Trovato
1 commento
Meno male che l’ alternativa è Margherita Buy,la nostra migliore attrice da oltre un trentennio.