Roma, 12 apr – Sentirsi stranieri, ma a casa propria. Uno dei drammi dell’immigrazionismo sta tutto qui. A Bologna un bambino racconta ai compagni – tutti stranieri – di essere di New York per sentirsi meno a disagio, ma Repubblica riesce a trasformare una questione così delicata addirittura in propaganda sulla presunta integrazione. Con tanto di maestra intervistata – ovviamente schieratissima – al seguito.
Stranieri in casa propria: un disagio psicologico
L’immigrazione di massa è dannosa sotto qualsiasi punto di vista la si guardi e chi dice il contrario vive in un mondo parallelo. È distruttiva da un punto di vista socioeconomico e anche sotto il profilo della sicurezza pubblica (inevitabile, quando in pratica si costringono popoli diversi a vivere nello stesso contesto). Ovviamente, è distruttiva dell’identità di un popolo e di una Nazione, qualsiasi essa sia, anche quelle da cui arrivano gli immigrati.
Una delle cose peggiori, però, è sentirsi straniero in casa propria: salire su un autobus, andare in stazione, guardarsi intorno e non vedere alcuna familiarità perché regna l’indefinito, il vago, lo straniero da qualsiasi lato si guardi. Alla maggior parte dei progressisti queste parole non fanno né caldo né freddo. Anzi, suscitano cinismo, offesa, insulti e la violenza che li contraddistingue. Non si curano minimamente di chi vive lontano dalla loro dimensione, esattamente come trattano come questione di poco conto quella di un bambino che addirittura dichiara di venire dalla cosiddetta “Grande Mela” per sentirsi meno isolato. Basta fare finta di niente, come da “scuola Repubblica”, la scuola del multiculturalismo ad ogni costo. “La maestra assicura che il mix funziona” si legge. Massì, anche se c’è un bambino che testimonia il contrario e di cui a nessuno importerà mai un fico secco, la strategia è sempre la solita: facciamo finta di niente.
Del bambino, come sempre, non si interessa nessuno
Il bambino che si sente straniero in casa propria è il primo traumatizzato per una situazione del genere. Ma per la maestra Francesca, anche un bel “sticazzi”, che tanto c’è da integrare, sono tutti italiani e tutti uguali. Non importa minimamente che non lo siano, facciamo pure finta di sì: come in ogni regime totalitario che si rispetti, salvo poi criticare gli altri. Con tanto di sottolineatura delle frasi dei piccoli che avrebbero detto “che bell’impero che avevamo”. In effetti sarebbe interessante vedere cosa pensano, queste maestre che riscoprono l’identità nazionale solo quando c’è necessità di affibiarla a stranieri provenienti da mezzo mondo, riguardo l’impero romano. Ma meglio lasciare al dubbio le considerazioni relative.
Stelio Fergola
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