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Sconfitta Apple in Europa. Si sfalda l’amicizia tra Dublino e le Big Tech?

by Mauro Pecchia
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Dublino Big Tech Apple

Roma, 15 set –  Dopo otto anni di braccio di ferro tra Unione Europea ed Apple il 10 settembre la Corte di giustizia dell’UE, attraverso una sentenza storica, ha risolto una delle questioni più spinose in tema di fiscalità nel continente europeo degli ultimi dieci anni. La società californiana avrebbe beneficiato di due ruling fiscali in più di un ventennio che avevano ridotto sensibilmente il suo carico fiscale, arrivando addirittura nell’anno 2014 alla quota dello 0,005%. Di cosa si tratta? I ruling fiscali permetterebbero a uno Stato di accordarsi con un’azienda per scegliere un regime fiscale particolare, attirandola quindi sul proprio suolo. Nel caso dell’Irlanda troviamo due tipologie di ruling diverse, una per ogni succursale di Apple di diritto irlandese: Apple Operations Europe (AOE) e Apple Sales International (ASI). “La giornata di oggi è una grande vittoria – twitta su X Margrethe Vestager, vice-presidente della Commissione europea – per i cittadini europei e per la giustizia fiscale. Nella sua sentenza definitiva, la Corte di giustizia europea conferma la decisione della Commissione europea del 2016: l’Irlanda ha concesso aiuti illegali a Apple. L’Irlanda deve ora incassare fino a 13 miliardi di euro di tasse non pagate”. Apple, da parte sua, ha reputato sproporzionata la richiesta da parte delle autorità europee, ricevendo l’appoggio di Dublino, che ha utilizzato le basse aliquote fiscali come importante strumento per attrarre gli investimenti delle multinazionali.

Dublino e i favori alle Bigh Tech

Perché i colossi del digitale americani (le cosiddette Big Tech) hanno scelto l’Irlanda come sede di rappresentanza legale in Europa? La risposta è semplice, ed è nascosta proprio nelle politiche agevolative di natura fiscale che il governo irlandese ha riservato alle varie Google, Meta, Apple (e non solo) per attrarre i loro investimenti, e di conseguenza la creazione di numerosi posti di lavoro. Nel 2016, infatti, la Commissione europea, si era scagliata per questo motivo contro Apple che grazie al sostegno del governo di Dublino, avrebbe usufruito di un vero e proprio aiuto di Stato. Nella capitale dell’EIRE esiste un quartiere chiamato Grand Canal Docks che i dublinesi chiamano “Google Docks”. Partendo da O’Connell Bridge e passeggiando lungo il Liffey River, verso il porto, dopo qualche chilometro capiterà d’incontrare una zona che sembra somigliare molto al centro di una grande città statunitense delle coste. Un’area piena di grattacieli moderni, dove le grandi multinazionali americane hanno scelto di abitare durante il proprio soggiorno europeo.

Negli anni le Big Tech hanno prosperato grazie alla benevolenza della Tigre Celtica (e non solo) proprio attraverso il fenomeno della Double Irish strategy. Si tratta di un sistema basato su un vero proprio triangolo tra un’azienda statunitense, una compagnia controllata in offshore e una ulteriore compagnia con sede in Irlanda che ha permesso fino al 2010 all’azienda madre (con sede negli USA) di godere di un regime fiscale agevolato. L’Irlanda aveva garantito una situazione fiscale migliore per le aziende di Big Tech che, in cambio, si sono trovate a investire nel territorio, creando posti di lavoro e favorendo l’indotto. Non a caso, Dublino è considerata la capitale del polo tecnologico e digitale in Europa.

La fine di un rapporto “comodo”?

L’Irlanda è uno degli Stati con la Corporate income tax più bassa in Europa, Nel periodo contestato dalla Commissione europea questa è passata dal 24% al 20% nel 2000, al 16% nel 2002 e al 12,5% nel 2003. Di conseguenza in quasi 25 anni Apple avrebbe accumulato “solamente” 13 miliardi di tasse da pagare nell’Isola di Smeraldo, nonostante la correzione dei ruling reputati incoerenti con le regole del mercato comunitario. Con questa sentenza il gioco irlandese potrebbe non valere più la candela, se L’Unione Europea obbligherà tutti i governi comunitari a richiedere un carico fiscale in linea con gli altri stati membri, ciò potrebbe comportare un cambio di strategia da parte delle grandi aziende che in questi anni hanno goduto di certi privilegi. Già da qualche anno a questa parte, infatti, si erano verificati accordi specifici tra l’Unione Europea e l’EIRE per impedire l’esistenza di un paradiso fiscale nel Vecchio Continente. Le Big Tech, ad esempio, con ricavi superiori ai 750 milioni di euro sono state costrette a corrispondere un’aliquota del 15% sui ricavi, cosa che fino a qualche anno prima era impensabile, considerando che il regime fiscale precedente portava molto spesso le aziende a corrispondere un’aliquota inferiore all’1%. Eppure, fino ad ora, la situazione è sembrata comunque idonea alle necessità delle aziende in questione, ma dal 10 settembre 2024 in poi il discorso potrebbe cambiare, l’amicizia tra Dublino e le multinazionali del digitale potrebbe incredibilmente rompersi.

Mauro Pecchia

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