Roma, 22 ott – Ahimè siamo ancora qui a dover parlare dell’ennesimo scandalo che sta investendo il calcio italiano ed il tutto è reso ancora più surreale dal fatto che non siano stati investigatori o magistrati a far scoppiare la bomba, bensì un personaggio come Fabrizio Corona, del quale ovviamente avremmo fatto volentieri a meno. Ma purtroppo in questa malridotta nazione sempre più spesso a svolgere il compito che spetterebbe allo Stato ci pensano ambigue trasmissioni come Le Iene o Striscia la notizia. Chi vi scrive è per natura garantista e non ama certo i processi mediatici, ma è pur vero che sono gli stessi calciatori coinvolti ad ammettere le proprie colpe, quindi si può iniziare a trarre qualche conclusione.
Il calcio e gli interessi
Da ormai parecchi decenni il mondo del pallone muove interessi milionari e quindi sarebbe pratica assolutamente inutile fare del qualunquismo, lamentandosi del fatto che i protagonisti della baracca prendano troppi soldi: alla domanda risponde l’offerta. Non possiamo comportarci come certe giocatrici del calcio femminile che pretenderebbero parità salariale: se nessuno ti guarda nessuno ti paga. Può essere triste ma negli affari funziona così da sempre. Però il calcio non è un business come un altro, il calcio ha più a che fare con la religione e la fede che non con una semplice transazione finanziaria. Se il mio cantante preferito fa due dischi orrendi, molto probabilmente non comprerò il terzo e non andrò ad un suo concerto, se il mio regista prediletto inizia a fare pessimi film smetterò di interessarmi alla sua carriera, ma se la mia squadra perdesse pure cento partite di fila io sarò sempre lì ad interessarmi a lei, a soffrire per essa e magari andrò comunque allo stadio e comprerò la sua maglietta ogni anno.
Ecco perchè il calcio è così speciale ed è materiale da maneggiare con cura ed ecco perchè non riesco a non essere indignato con chi gioca con questi sentimenti, su ragazzi privilegiati (anche giustamente) che non hanno avuto il benché minimo rispetto nei confronti dei propri tifosi. Ed ecco che nemmeno li nomino in questo articolo, per me hanno perso ogni rispetto e meritano semplicemente l’oblio. Preferisco invece citare le parole di un signore come Roberto Baggio, uno che da anni è sceso da questa giostra nella quale non si riconosceva più, che ha semplicemente detto l’ovvio: che le uniche vittime di questa triste vicenda sono i tifosi che macinano chilometri su chilometri per una fede. Evidentemente non la pensano così coloro che tengono malamente le redini del gioco, visto che sembrano interessati solamente alla difesa del brand… Non importa poi che questo brand fuori dall’Italia ormai non interessi più a nessuno.
Le pessime reazioni della Figc
E così l’ineffabile Presidente della Figc Gabriele Gravina si preoccupa di farci sapere che questi poveri ragazzi avranno sì sbagliato, ma non vanno lasciati soli, sono povere vittime della ludopatia, quindi infliggiamo loro una squalifica breve che sono già in cura queste anime sventurate, anzi, una volta guarite, le mandiamo nelle scuole a parlare ai ragazzi, a spiegare il loro magnifico cammino di redenzione. E non fa nulla che i padroni del calcio sono gli stessi che invece quando a sbagliare è un tifoso invocano “pene esemplari” e che gli venga impedito per sempre di mettere piede in uno stadio. Ed è lo stesso tifoso al quale viene fatto firmare un regolamento di ingresso allo stadio nel quale gli si chiede di comportarsi come un lord inglese del 1800 e non sono ammesse discussioni: se sbagli una volta per te arriva il perpetuo marchio dell’infamia! Stendiamo poi un velo pietoso sui giornalisti, che ormai giornalisti non sono più: sono semplicemente veline dei club e guai ad indagare o a porre domande scomode. Ah, quanto ci mancano i Beppe Viola, i Gianni Brera e i Sandro Ciotti… Ci mancano persino i Tonino Carino, i Gianni Vasino e i Luigi Necco, che paiono dei giganti in confronto ai pennivendoli odierni.
Per lasciarvi con qualcosa di positivo vi consiglio la visione del documentario di Sky su Geoff Hurst, il calciatore inglese campione del mondo nel 1966, quando in finale contro la Germania Ovest fu autore di una storica tripletta. Nel raccontare la sua storia sembrerà quasi incredibile come, una volta conclusa la sua gloriosa carriera, per mantenersi si sia reinventato come venditore di polizze assicurative. E lo racconta senza il minimo fastidio, anzi ci spiega come sia stato una persona fortunata in tutto ciò che ha fatto nel corso della sua esistenza. E come diceva Renzo Arbore in una celebre pubblicità della birra: meditate gente, meditate.
Roberto Johnny Bresso