Roma, 12 apr – C’e stato un tempo, non più di un paio di anni fa, nel quale la Lega Nord, accanto a temi “classici” come sicurezza e immigrazione, parlava di sovranità nazionale, uscita dall’euro, sdoganando perfino concetti come quello di “grande sostituzione” dei popoli europei. Erano i primi mesi di Matteo Salvini alla segreteria di un partito che sembrava destinato, almeno nelle intenzioni, a rappresentare il soggetto “lepenista” di casa nostra. Le non sempre positive passate esperienze di governo sotto l’ala di Berlusconi imponevano un cambio di marcia, anche se il Carroccio aveva comunque il merito di essere stato praticamente l’unico, fra i partiti più rappresentativi a livello nazionale, ad aver avversato sin da subito l’esecutivo Monti. Un’opposizione dura, quella della Lega, sublimata nella fortissima contestazione alla legge Fornero. Nonostante siano passati anni, la mobilitazione contro la riforma delle pensioni non ha avuto sosta, arrivando addirittura a toccare il paese dell’ex ministro, nel quale si è di recente svolta una manifestazione un po’ estemporanea. Parallelamente la Lega Nord guidata da Salvini andava pian piano strutturandosi, in specie in vista delle imminenti elezioni amministrative che vedranno andare al voto le due principali città italiane, Roma e Milano. Ed è qui che casca il proverbiale asino. Se come detto l’esperienza leghista voleva essere l’espressione italiana del Front National francese, la realtà dei fatti spinge invece verso una riedizione fuori tempo massimo del vecchio centrodestra.
Gli effetti della riproposizione della passata alleanza sono, però, talmente spiazzanti da risultare quasi comici. Nel caso di Roma, ad esempio, le “prove tecniche” di leadership da parte di Salvini l’hanno visto andare alla rottura nei confronti di Berlusconi ed il sostegno a Giorgia Meloni. Il segretario della Lega sembra però dimenticarsi che la leader di Fratelli d’Italia, in occasione del tanto vituperato governo Monti, ha votato tutte le fiducie – dalla prima all’ultima, leggere Fornero compresa – all’ex rettore della Bocconi. Successivamente, la Meloni ha cercato di rifarsi una verginità, riuscendo un po’ goffamente nel tentativo. Forse si può comunque credere nella buonafede, anche se rimane il dato dell’opportunismo. Per quanto riguarda Milano, il candidato è stato imposto da Forza Italia e sembra destinato a non essere da solo nella corsa contro l’ex ad di Expo, Giuseppe Sala. E’ notizia recente, infatti, che Corrado Passera di Italia Unica ha ritirato la propria candidatura per sostenere la lista di centrodestra. E qui le cose si complicano un po’ di più. Perchè Passera, all’epoca di Monti, non solo era un sostenitore del governo tecnico, ma ne faceva addirittura parte in qualità di ministro dello Sviluppo economico.
La legge Fornero l’ha quindi, come minimo, avallata due volte: in consiglio dei ministri ed in sede parlamentare. Salvini tenta di giustificare la conferma dell’appoggio leghista a Parisi spostando l’attenzione sullo stesso Passera, che avrebbe sottoscritto il programma del loro candidato e quindi sarebbe stato in qualche modo lui a fare il “passo”. Sicuramente è andata così, ma se la contestazione nei confronti del peggio governo della storia recente – come lo stesso Salvini l’ha più volte definito – vuole essere seria e non perdersi fra i meandri della ragion politica, allora forse sarebbe meglio che certi personaggi non finissero imbarcati giusto per tentare l’ultimo assalto ai palazzi di città con quel che resta delle antiche alleanze. Altrimenti addio progetto lepenista e addio battaglie sacrosante come quelle contro l’Euro, l’Ue, le riforme imposte, l’austerità e via dicendo. Ammesso,a questo punto, che siano mai state seriamente intraprese.
Nicola Mattei