Cardiff, 19 mar – Non c’è un bicchiere mezzo pieno fra le stoviglie del rugby italiano, alla fine del Sei Nazioni 2016, solo un altro cucchiaio di legno, anche ben pulito secondo l’interpretazione anglosassone, poiché frutto di cinque sconfitte in altrettante partite, compresa quella odierna per 67-14 in Galles. Lo zero nella casella delle vittorie è il dato più importante, ma non certo l’unico degno di essere analizzato nell’arco di questo torneo, l’ultimo della gestione del francese Jacques Brunel.
I numeri degli azzurri sono implacabili: 79 punti realizzati a fronte dei 224 subiti, 8 mete segnate contro le 29 degli avversari, delle quali ben 18 nelle ultime due trasferte in Irlanda e Galles. Al quadro si deve aggiungere, necessariamente, il dato riferito agli infortuni subiti dagli azzurri, 18 nell’arco del torneo. Un numero impressionante che non trova riscontri nel passato della nostra nazionale, frutto dell’inadeguatezza della rosa attuale a livello internazionale. Ai giovani esordienti non si può rimproverare nulla sul piano dell’impegno, ma è evidente che il cambio dei ritmi di allenamento e dell’intensità del gioco porta a uno stress, fisico e mentale, che aumenta la possibilità di incorrere in infortuni.
La coperta, oltre a essere corta, è usurata, perché anche i senatori non riescono a reggere ritmi accettabili per due incontri consecutivi e l’esperienza non può sopperire al deficit fisico e tecnico quando si affrontano incontri di questo livello. Il presidente della Federazione, Alfredo Gavazzi, continua a rilasciare dichiarazioni discutibili e, per alcuni versi, irrispettose nei confronti di un pubblico appassionato e competente. L’impressione è che il numero uno della Fir sia già impegnato nella campagna elettorale per il rinnovo della sua carica, altrimenti dovrebbe motivare la sua visione sullo stato di salute del rugby italiano.
Gavazzi dichiara che il gap con le nazionali più quotate si è ridotto, che l’under 20 esce sconfitta nel Sei Nazioni di categoria solo perché formata da ragazzi più giovani rispetto agli avversari, che il movimento continua a crescere nei numeri e nella qualità, mentre i dati descrivono una realtà opposta. Se il rugby italiano vuole realmente tirarsi fuori da questo pantano dovrebbe iniziare, con umiltà e serietà, a ripartire dal lavoro sul campo, mettendo da parte le diatribe politiche tra vertici federali e comitati regionali. Abbiamo raggiunto un livello talmente basso da mortificare l’intera base, e il rischio concreto, oltre a quello di vedere una nazionale continuamente bastonata, è quello di allontanare i giovani italiani da uno sport fondamentale per la crescita fisica e mentale dell’individuo.
Francesco Pezzuto
1 commento
E’ veramente un peccato. Uno sport bellissimo poco considerato in Italia.