Roma, 10 mar – “Non sono mai sceso dal Giovanni dalle Bande Nere, io mi sono salvato ma il mio destino e il mio cuore sono ancora li, con tutti i miei compagni che sono morti quel 1 aprile del 1942”. Così Gino Fabbri, fuochista ausiliario superstite di quel tragico giorno, commentava con le lacrime agli occhi l’affondamento dell’incrociatore leggero italiano da parte del sommergibile britannico Urge. Oggi il “Giovanni Dalle Bande Nere”, o almeno quello che ne resta, è stato ritrovato dal cacciamine Vieste nelle profonde acque del Tirreno, a sud di Stromboli.
L’identificazione è avvenuta a una profondità compresa tra i 1460 e i 1730 metri, grazie ai sofisticati veicoli subacquei che il mezzo della Marina Militare ha oggi in dotazione. Il naufragio dell’incrociatore italiano è uno dei più drammatici della nostra storia e portò alla morte buona parte dei 507 marinai a bordo. “Papà – spiega la figlia del fuochista Gino Fabbri – raccontava dell’esplosione, della luce che si spegneva, di come aveva aiutato un altro fuochista a mettere in mare la zattera, subito occupata da numerose persone, mentre lui era rimasto in acqua con altri. E il suo più grande rimpianto era di non essere riuscito a salvare i compagni, in particolare quattro che aveva visto sparire tra le onde. Lui, poi, allo stremo delle forze, era riuscito a nuotare fino alla torpediniera Libra dove fu issato a bordo con una cima”.
Il “Giovanni dalle Bande Nere” fu colpito al centro da una torpedine lanciata da brevissima distanza dal sommergibile Urge, il secondo siluro divise in due tronconi la nave italiana. L’abbandono fu eseguito ordinatamente, purtroppo però in meno di due minuti dall’impatto del primo siluro l’incrociatore era già scomparso. Secondo il Bollettino della Marina, le vittime furono 373, di cui 16 ufficiali, 57 sottufficiali, 295 sottocapi e comuni e 5 militarizzati.
Alessandro Della Guglia
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