Roma, 18 mar – L’armistizio dell’8 settembre fu, per moltissimi italiani soldati e non, una data che forse sarebbe stato meglio “cancellare con il sangue” come recitavano i manifesti della Rsi. Non solo per il motivo in se del trattato ma anche per la modalità di trasmissione stessa alle truppe e al popolo italiano.
Renato Perico altro non è che una vittima di questa data. Nato il 18 marzo 1895 a Sirone, partì giovanissimo alla volta dell’Etiopia all’inizio degli anni ’30. Ivi partecipò alla famosa battaglia, poi divenuta un celebre modo di dire, di Amba Aradam; uno scontro pauroso dove circa 1000 italiani persero la vita per la conquista dello strategico monte etiope. Ma questo era solo l’inizio. Fu due giorni dopo l’inizio della seconda guerra mondiale che Renato Perico, ormai diventato Maggiore, venne posto a capo del Battaglione “Pieve di Cadore” degli Alpini del VII Reggimento alpini “Pusteria”. Il loro motto era “Ubi nos, ibi victoria” ossia dovunque loro si fossero mossi, qualsiasi punto avessero raggiunto, qualsiasi missione avessero dovuto portare a termine, loro l’avrebbero compiuta, vittoriosamente.
La “Cadore” venne mandata, nel 1940, sul fronte greco. Qui i soldati ellenici attaccarono i militari italiani a sorpresa, aprendo una falda nella divisione. Il VII Reggimento, comunque, non demorse e ricacciò i nemici al di la del fiume Osum. Sul corso d’acqua, anche solo con la loro baionetta, Perico e i suoi uomini si difesero dall’attacco greco per 36 ore quasi, da qui il nome di “combattimento delle 36 ore”. Nei pressi di Ciaffa Gallina, una località vicino all’Osum, era caduto, però, il comandante Psaro il quale venne decorato con la Medaglia d’oro al valor militare.
Nel 1943 Renato Perico venne richiamato in Patria. La sua avventura nei Balcani era finita. Il soldato italiano venne, infatti, inviato sul fronte francese, sulle Alpi Occidentali. Lì vi rimase fino all’8 settembre. Nei giorni subito successivi all’armistizio, Perico venne posto a guardia sul Col di Brins per difendere i compagni che ripiegavano dalla zona di occupazione italiana in Francia. Il timore era, infatti, quello che i tedeschi attaccassero le truppe italiane ancora sconvolte e scombussolate dalla mancanza di ordini dalle alte cariche dell’Esercito.
Dopo aver terminato la sua missione di vedetta, Perico si arruolò con la Repubblica Sociale. Stanziatosi nel trevigiano, decise di rifondare la sua amata “Cadore” e, con un patriottico articolo pubblicato sul Gazzettino, chiamò a raccolta tutti gli Alpini di Treviso e tutti coloro volessero arruolarsi. Il motto incalzante e quanto mai pesante di quel breve pezzo era “tradisce più di tutti il cittadino che, chiamato a difendere la Patria con le armi, cerca di sfuggire al servizio”.
La “Cadore” volle, però, tenersi alla larga dalle indagini anti-partigiani, per questo alcuni membri del Cln di Belluno, pensando che Perico volesse diventare un loro alleato, entrarono in contatto con il soldato. Avendo rifiutato di allearsi con i partigiani, il comandante venne freddato davanti gli occhi dei suoi cari il 20 febbraio 1944 a Revine, in casa sua da due partigiani spacciatisi per suoi ex colleghi militari.
Tommaso Lunardi
Renato Perico, l'alpino della "Cadore" ucciso a tradimento dai partigiani
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3 comments
Infami
Partigiani bastardi e comunisti indegni,come i loro eredi odierni,ovvero una lurida feccia meticcio africana. Onore e gloria al valoroso soldato e commozione per il battaglione alpino Cadore che ho avuto l’onore di servire. Ubi Nos , Ibi Victoria.
Semper Fidelis ! W I D S !