Iniziamo oggi una serie di approfondimenti sul referendum istituzionale di ottobre a cura della “Società degli scudi”. Altri seguiranno appena la Cassazione deciderà sulla formulazione dei quesiti [IPN]
Roma, 28 lug – L’incedere della pausa estiva ci consegna le ultime battute della disputa sul referendum costituzionale. Forse un po’ offuscata dalle notizie sulle continue incursioni terroristiche, la questione, prima ancora di entrare nel vivo della campagna autunnale, tiene comunque alta l’attenzione. Di volta in volta, infatti, il voto, favorevole o contrario alla riforma, è stato l’arma da brandire contro l’avversario, la soluzione per qualsiasi problema si presentasse nell’agenda del governo o l’occasione per costruire nuove intese e alleanze. Il Presidente del Consiglio ne ha fatto il proprio cavallo di battaglia, tanto da scommetterci sopra il suo futuro politico. L’opposizione, invece, soprattutto quella orientata a sinistra, non ha perso occasione per rimarcare il deficit democratico, che con la riforma della Costituzione sarebbe aggravato, e tornare a censurare le politiche del governo. Qualcun altro, ancora, ha affermato che il SI al referendum sarebbe, allo stesso tempo, una risposta definitiva alla crisi economica che flagella l’economia mondiale e al terrorismo internazionale che, proprio in questi giorni, va intensificando la sua violenza. Personaggi di spicco, infine, hanno indicato CasaPound come il paradigma dell’elettore contrario alla riforma. Insomma, una esposizione mediatica che pone in secondo piano il vero significato di questo referendum e della riforma alla quale dovrebbe dare il via libera.
Nonostante ciò, tuttavia, quello che si avvicina è uno degli appuntamenti più importanti per la vita istituzionale dell’Italia repubblicana, poiché il disegno di legge costituzionale interviene su punti nevralgici della Carta costituzionale, modificandola radicalmente.
Ma, al di là delle dichiarazioni del Ministro Boschi, quali sono i motivi per i quali è necessario dire NO a questa riforma?
La prima ragione, come è giusto che sia quando si tratta di decisioni che riguardano l’essenza dello Stato, è politica.
L’esercizio del potere costituzionale, che si attua anche attraverso una modifica della Costituzione, infatti, è essenzialmente un atto politico, probabilmente il più importante che un ordinamento possa contemplare.
Dunque, così come la decisione del Presidente del Consiglio di trasformare il referendum sulla riforma costituzionale in una consultazione sul suo governo è perfettamente coerente con questa impostazione, allo stesso modo impedisce di valutare in termini esclusivamente giuridici il disegno di legge.
In altre parole, votare SI significherebbe condividere il programma di governo di Matteo Renzi e accordargli, attraverso la riforma del sistema parlamentare, un maggior potere al fine di realizzare il suo progetto. E’ evidente che questa conclusione impedisce a chiunque non condivida tale progetto di esprimersi in senso positivo.
Ancora sotto il profilo strettamente politico, deve escludersi che ad orientare il nostro NO sia il timore di una svolta autoritaria. E non lo diciamo perché – direbbe qualcuno – potremmo subire il fascino dell’uomo solo al comando, ma perché, a ben vedere, come dimostra lo stesso iter legislativo che ha condotto all’approvazione del disegno di legge, non è necessaria una riforma dell’assetto istituzionale per superare eventuali intoppi nel dibattito parlamentare. Sono sufficienti “ghigliottine”, “canguri” o il ricorso alla fiducia per indirizzare e accelerare i procedimenti legislativi.
E questa considerazione porta con sé anche l’altro cavallo di battaglia di coloro che sono favorevoli alla riforma, secondo il quale la modifica del sistema parlamentare accelererebbe anche i tempi della produzione legislativa. Quando si vuole, questi tempi, anche attraverso il massiccio ricorso alla decretazione d’urgenza, si riducono all’essenziale.
D’altro canto, se davvero il nostro timore fosse quello di una svolta autoritaria, finiremmo per utilizzare le stesse parole d’ordine del movimento d’opinione che sostiene il no.
E su quella parte dello schieramento non riusciremmo proprio a riconoscerci.
Si è detto che una riforma costituzionale è, prima di tutto, una decisione chiara su come plasmare per il futuro la forma dello Stato e che questo aspetto pone in secondo piano la valutazione della correttezza, sotto il profilo tecnico, della configurazione istituzionale che si vuole introdurre. Ciò non significa, tuttavia, che in nome di una necessaria rimodulazione dell’assetto costituzionale tale correttezza diventi improvvisamente un dettaglio trascurabile. Al contrario, le formulazioni normative devono essere tanto ponderate quanto incisiva è la modifica costituzionale che vanno a introdurre.
Soffermiamoci, per il momento, sull’aspetto più problematico, ossia sulla stessa formulazione del quesito.
Al momento, condensati in una secca alternativa, infatti, sono riuniti una pluralità di interventi che modificano aspetti eterogenei della Carta costituzionale.
A fianco alla modifica del Senato, ad esempio, c’è l’abolizione del Cnel.
Così, se ragionevolmente nessuno potrebbe opporsi a quest’ultima eliminazione, non può ripetersi la stessa considerazione per la trasfigurazione di un organo che fa parte della nostra storia istituzionale.
Su alcuni punti, quindi, sarebbe opportuna una riflessione più approfondita, che, invece, viene preclusa dalla impossibilità di esprimersi su ogni singola modifica o su un gruppo omogeneo di modifiche.
E’ chiaro, allora, che di fronte a una situazione del genere, la nostra scelta di dire no ne esce rafforzata.
Di qui la proposta, che si è fatta strada in questi giorni, di “spacchettare” il quesito referendario, dividendolo in tanti quesiti quante sono le modifiche della Costituzione. Soluzione senz’altro ragionevole, che avrebbe, tuttavia, l’effetto di escludere che qualcuno possa dirsi vincitore assoluto. La decisione della Corte di Cassazione, prevista prima di ferragosto, farà da preludio alla individuazione della data del voto e, probabilmente, segnerà l’inizio ufficiale del dibattito politico.
Società degli Scudi