Milano, 1 apr – “Luci a San Siro di quella sera/che c’è di strano siamo stati tutti là/ricordi il gioco dentro la nebbia?”, bisogna prendere in prestito le parole di Roberto Vecchioni per paracadutarsi su Milano, sponda nerazzurra. Il viaggio sul biglietto recita il nome di un giocatore che scolpisce un sorriso, lungo quanto il viso dei tifosi meneghini, appena lo si pronuncia, Alvaro Recoba che nella giornata di ieri ha appeso gli scarpini al chiodo.
Faccia da bambino, paffuto e una scodella per capelli si presenta dall’Uruguay per stringere la mano a Sandro Mazzola e sancire, a 21 anni, il suo ingresso nella Serie A. L’esordio indimenticabile 31 agosto 1997. L’Inter gioca con il Brescia, Ronaldo con la casacca numero 10 si è appena allacciato gli scarpini e fa già sognare la curva nord, ma il fenomeno lo fa Dario Hubner e la Leonessa d’Italia conduce. Gigi Simoni freme in panchina, quando si alza e indica al numero 20, firmato Recoba, di prendere il posto di Maurizio Ganz. Il sinistro sudamericano è caldo, più torrido del solleone agostano, prima deflagra da 30 metri in rete e poi da calcio piazzato, ancora più lontano. Una follia, tutti aspettavano Ronaldo Luís Nazário de Lima e appare un gordito uscito da Montevideo.
I mesi passano ma il campo latita, allora serve un’altra magia, ad Empoli. El Chino è in panchina, tanto per cambiare, ma legge il gioco e si fissa su Marco Roccati estremo difensore dei toscani. Ad un tratto tira per la manica il connazionale Rivas e dice: “Martin, guarda il loro portiere è sempre fuori: se entro gli piazzo un pallonetto che se lo sogna di notte per dieci anni”. L’epilogo è nelle fantasticherie dei figli del calcio anni ’90, al 25′ della seconda frazione entra in campo e ci prova da 50 metri, solo rete. Intano fino a quel momento ha giocato poco più di un tempo – 45 minuti – e siglato tre marcature.
Arriva il 1999 e la vita di Recoba si intreccia con quella di Walter Novellino nella lagunare Venezia dell’eclettico Maurizio Zamparini. “Sei mesi e torni a Milano da re”, queste le parole del d.s. veneziano e come un comandamento diventano realtà. In 19 gare segna 11 reti, tra cui la tripletta alla Fiorentina di Giovanni Trapattoni e Batistuta salvando gli arancioneroverdi. La libidine in uno scarpino, quello sinistro, demoniaco ed infallibile, che Francesco Moriero era solito lucidare. Ma El Chino non si applica, ama la pesca, il tennis – serve&volley – e dormire una vita che scorre lenta come nella sua infanzia uruguaiana.
Di lui, come attaccante, parlano i numeri – dal 1997 al 2007 con la maglia interista – parlano i goal sbagliati, parlano le occasioni fallite, ma quando uno spettatore del circo fatto a rettangolo verde pensa all’estro, vuole immaginare la tecnica applicata al piede e qui Recoba eccelle come nessun altro. Un giocatore completamente fuori tempo che di questa caratteristica ha fatto una peculiarità. Massimo Moratti, quando ancora sedeva sullo scranno di presidente nerazzurro, ogni domenica allo stadio aveva al fianco la storia dell’Inter da Suarez a Mazzola, consegnatagli dal padre. Galeotto fu Recoba di cui si innamorò perché gli ricordava quel calcio, perché nel pallone che danza sul campo viviamo un’infanzia senza fine. Eppure di El Chino non possiamo dimenticare i colpi, assolutamente fini a sé stessi, di un calciatore con una velocità di pensiero ed azione secondi a nessuno.
Lorenzo Cafarchio