Roma, 9 sett – Ci mancavano solo le “ex nazionali”. Passino il matrimonio e altre storie di coppia. Passi l’indecisione sul futuro, endemicas di questa epoca. Ma un mondo, un universo, in cui nessuna scelta è per la vita, nemmeno una sportiva,, beh, è un mondo che non ha molto futuro. Di sicuro non è un universo che esprime forza. Già dobbiamo convivere con la presenza comunque possibile e frequente degli allenatori stranieri nelle selezioni nazionali (pensandoci bene: perché? L’allenatore non è parte della squadra?), ma anche recepire il mondo delle nazionali stesse come se fossero club, beh, è difficile da digerire….
Il gesto imbarazzante di Rice
Nella gara tra Irlanda e Inghilterra Declan Rice segna un gol. Poi, non esulta. Un gesto ormai “classico” che nei club si vede spessissimo. Ostentato come una forma di rispetto – che talvolta può anche starci, sia chiaro – è diventato talmente modaiolo da traformarsi in una sola cosa: ipocrisia pura. Non sportiva o calcistica, ma umana anzitutto. Specialmente se si pensa all’esperienza di Rice, non esattamente strappato con la forza alla maglia verde dell’isola dell’estremo Nord europeo…
Le “ex nazionali”
La nazionale è come la Nazione, è per la vita e non è una scelta. Quanto meno non quella di esserne parte. Ora, nel caso di Declan Rice, aveva pure il lusso di scegliere. E scelse l’Irlanda, pur essendo nato a Londra, perché – evidentemente – sentiva un legame con le origini, nella fattispecie con i nonni. Poi nel 2019 quel voltafaccia che nell’isola – peraltro, nella parte non britannica – fu preso non male, ma malissimo. Il calcio sembra andare verso un progressivo svuotamento del significato del termine “nazionale”, in perfetta linea con quanto accade per le Nazioni “politiche”, tra confini di cartapesta, cittadinanze regalate a chiunque (e mai chiamate, non casualmente “nazionalità”, termine evidentemente troppo “razzista”) sogni e incubi multi-culturali e multi-etnici. Ex nazionale, come ex club. Per catià, casi limitati, ma presenti comunque. Ragazzi che scelgono in base alla convenienza gettando nella pattumiera le proprie radici. In molti casi, nessuno lo sa. E fin lì, tutto “a posto”, perché il bon ton ha un valore e, quello sì, non è solo ipocrisia, ma un modo di essere e di saper stare al mondo, a differenza della “non esultanza” attuata solo per seguire frivole mode. In quello di Rice, però, sì. Si è saputo subito. Perché aveva scelto l’isola e su questo non c’è nulla da obiettare. Poi sfruttando la regola delle sole amichevoli disputate in verde era “passato” all’Inghilterra. Non serve approfondire ulterioremente per capire quanto sia modesto, imbaraszante, ma soprattutto triste tutto ciò.
Stelio Fergola