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Quanto ci saremmo flagellati se il caos delle Olimpiadi di Parigi fosse stato a Roma?

by Stelio Fergola
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Parigi 2024

Roma, 19 ago – Parigi, ma se fosse stata Roma...meditavo questo pezzo in tempo reale, ovviamente, dunque durante le Olimpiadi, ma ero in vacanza. Sono tornato al lavoro ufficialmente venerdì, ma alcuni problemi tecnici mi hanno impedito di scriverne. Non uso spesso la prima persona, perché la massima professionalità vuole altro. Tuttavia, talvolta, l’eccezione è concepibile. Specialmente quando il sentimento è personale, ed è alla disperata (letteralmente) ricerca di chi lo segua e lo sviluppi da par suo.

Parigi 2024 è stato un disastro, e se fosse successo a Roma?

Poche ciance, se le vergogne di Parigi 2024 fossero accadute a Roma sarebbe scoppiato un putiferio. Di auto-flagellazione, di auto-razzismo imperanti, di demonizzazione contro sé stessi e i propri simili. Di lagne e strepiti insopportabili oltre che completamente inutili. Senza confini e senza limiti. Immaginatevi se qualcuno avesse avuto, al pari dei francesi, la “splendida idea” di pubblicizzare il Tevere come “balneabile”, con gli escrementi galleggianti nel fiume, portando gli atleti a nuotarvi, con tutti i guai di salute che essi hanno accusato dopo le gare (nausea, vomito) e commettendo un’azione che probabilmente potrebbe anche essere penalmente denunciabile.

Pagine Facebook come “Roma fa schifo” si sarebbero letteralmente scatenate, l’intera classe dirigente si sarebbe auto-criticata nell’ossimorico tentativo di criticare non si sa bene chi (ovviamente il governo in carica sarebbe quello più indiziato), mentre i grillini, da cadaveri politici che sono, forse guadagnerebbero consenso urlando “visto, ve l’avevamo detto!”, memori anche di quando impedirono, di fatto, una candidatura seria della capitale italiana proprio per le Olimpiadi.

Non parliamo dell’aria condizionata che non funzionava nel villaggio olimpico parigino. “Terzo mondo!” si sarebbe urlato, qualcuno anche proferito con una certa masochistica e lagnosissima – nonché, lo ribadiamo, sempre inutile – soddisfazione. E non sarebbe valso a nulla fargli notare che no, nonostante tutto, nonostante zoppi, nonostante decadenti, nel “Terzo mondo” ancora non ci siamo. In compenso, seguendo queste inclinazioni, possiamo aumentare notevolmente le nostre possibilità di diventarlo. Stando a questo metro, il terzo mondo oggi è a Parigi.

E che dire dei letti praticamente “di cartone” presenti nelle stesse strutture? “Facciamo ridere”, sarebbe stato un commento comunissimo. Magari – anzi, certamente – qualcuno l’avrebbe usato per perpetrare la fregnaccia secondo la quale non possiamo fare niente da soli e quindi ci vuole “più Europa” (ma anche più Stati Uniti, a seconda delle inclinazioni politiche più marcate).

I francesi (o quel che ne resta) non sono gli italiani di oggi

E questo francamente va a loro merito. Chi mi legge sà che detesto, non sopporto deliberatamente l’anti-italianismo “geneitco”, cosa diversa dalla genuina autocritica, volta a considerare gli italiani nello stato attuale (demoralizzati, decaduti, ignavi e indifferenti) come misura della natura del popolo italiano in ogni sua epoca e in ogni tempo. Lo trovo anche un atteggiamento vigliacco e de-responsabilizzante, orientato a sostenere che “in fondo siamo così e non c’è niente da fare”. Un abile strumento emotivo – insieme all’abbandono del sentimento nazionale – per togliere di mezzo doveri, oneri e quindi “problemi” verso la comunità.

Se però c’è un aspetto – assolutamente contestuale all’educazione delle ultime generazioni, va sottolineato e firmato col sangue – che va davvero criticato è questo. Siamo così distrutti dal nostro ridicolo e totalmente immotivato complesso di inferiorità che saremmo capaci di sostenere che a Roma sarebbe andata perfino peggio che a Parigi. Ora, per carità, tutto può essere, ma presumerlo – come molti fanno – è indice di una malattia mentale di massa all’ultimo stadio. I francesi, per fortuna dei francesi, per l’appunto non sono così. La figuraccia che hanno fatto a livello mondiale – perché di questo si è trattato – non sarà certamente motivo di autoflagellazione e di distruzione di sé stessi. Quanto meno, non oltre ciò che già stanno facendo, visto che anche oltralpe il futuro del popolo transalpino non è che sia esattamente luminoso, tra natalità sempre bassissima e graduale sostituzione etnica con milioni di immigrati.

Da ottant’anni (e non da sempre, come vuole sostenere l’anti-italianismo “genetico”) da queste parti abbiamo imparato una sola cosa: a lagnarci e a diffondere i nostri guai ovunque. Altrove – per loro fortuna, da ribadire anche cento volte – no. Questa figuraccia sarà archiviata il prima possibile, mentre noi ancora ci auto-critichiamo per i mondiali del 1990. E, forse, sarà per quello che non abbiamo più organizzato niente di “grosso” da allora (le Olimpiadi invernali non hanno lo stesso peso l’Expo non è uno sport). Possiamo guarire, basta volerlo.

Stelio Fergola

 

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