Roma, 11 apr – Perché in Italia si guadagna poco? La risposta non è solo nella narrazione stanca della “crisi”, del “precariato” o della “globalizzazione”. La verità è che l’Italia ha un serio problema strutturale: la produttività del lavoro è ferma da oltre vent’anni. E in economia, chi produce poco, guadagna poco. Punto.
In Italia i salari bassi sono dovuti alla bassa produttività
Secondo un recente studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani la crescita degli occupati tra il 2022 e il 2024 è concentrata principalmente nei settori a bassa produttività. Secondo i dati di contabilità nazionale, gli occupati in Italia sono aumentati del 3% tra il quarto trimestre del 2022 e il quarto trimestre del 2024, mentre la crescita del Pil reale nello stesso periodo si è fermata all’1,1%. “Per ogni 100 nuovi occupati – afferma OCPI – 42 sono impiegati nel commercio, 19 nel settore pubblico (PA, difesa, sanità, istruzione) e 14 nelle costruzioni, tutti settori a bassa produttività, mentre appena 10 lavorano nella manifattura“. La produttività, in parole semplici, misura quanto valore si produce per ogni ora di lavoro. Se la produttività cresce lentamente (o addirittura resta ferma), anche gli stipendi tendono a restare stagnanti, perché le imprese generano meno valore aggiunto da distribuire sotto forma di salari. Nel caso italiano, da molti anni la produttività del lavoro cresce meno rispetto ad altri Paesi europei, e questo contribuisce a spiegare perché i salari siano più bassi o crescano meno rispetto alla media UE. Eppure, l’Italia è ancora oggi la seconda potenza manifatturiera d’Europa, subito dopo la Germania. Questo dato, spesso sottovalutato, dimostra che il nostro Paese ha un cuore industriale forte, competitivo, soprattutto in settori come la meccanica di precisione, l’automazione, il design, la moda, l’agroalimentare e il packaging. Ma allora perché i salari sono bassi e la produttività stenta?
Sistema bloccato e diviso (nord e sud)
Il problema non è che l’Italia “non produce bene“, ma che non lo fa in modo omogeneo. E questo squilibrio pesa tantissimo sui numeri complessivi, sugli stipendi e anche sulla coesione sociale. Il cuore industriale italiano batte ancora forte nel Nord, in regioni come la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Veneto, dove la produttività per addetto è paragonabile a quella tedesca. Lo fa in settori d’eccellenza come la meccanica di precisione, il design, l’agroalimentare e il packaging, dove le imprese italiane competono e vincono nel mondo. E allora perché gli stipendi in Italia sono così bassi? La risposta è semplice quanto dolorosa: l’Italia è un Paese a due velocità, spaccato in due da un divario economico e infrastrutturale che si chiama “questione meridionale”. Mentre il Nord corre e produce, il Sud arranca tra disoccupazione, burocrazia, servizi inefficienti e un tessuto produttivo frammentato e poco innovativo. I numeri sono chiari: la produttività nel Mezzogiorno è molto più bassa rispetto al resto del Paese. E questo abbassa la media nazionale, falsando la percezione generale dell’economia italiana. Non solo: la fuga di cervelli dal Sud, che svuota le università e impoverisce il capitale umano, è un altro colpo basso per la competitività complessiva del Paese. Chi ha talento, ambizione e competenze spesso è costretto a emigrare. Al Nord o, sempre più spesso, all’estero.
Le altre cause della bassa produttività
Ovviamente, il Sud non è l’unico problema. La bassa produttività italiana è il risultato di un sistema economico frammentato e poco competitivo: dominato da micro-imprese a conduzione familiare, con pochi investimenti in ricerca, innovazione e digitalizzazione, e penalizzato da un grave scollamento tra istruzione e mercato del lavoro, che produce pochi tecnici e troppi laureati senza sbocchi. A tutto questo si sommano una burocrazia lenta e una giustizia civile paralizzata. Non serve scomodare Marx o Milton Friedman per capire una regola elementare dell’economia: senza crescita della produttività, i salari non possono aumentare. E in Italia questo meccanismo si è rotto da decenni. Il lavoratore italiano medio lavora tanto quanto (se non di più) di quello francese o tedesco, ma produce meno. Non per colpa sua, ma per colpa di un sistema che non premia il merito, non investe sull’efficienza e penalizza il lavoro produttivo a vantaggio della rendita e della burocrazia.
La chimera del turismo
Se ci state pensando: no, il turismo non è la soluzione. Lo slogan “possiamo vivere di turismo” è demagogico tanto quanto “ci serve il salario minimo“. Il turismo in Italia rischia seriamente di essere una “bolla improduttiva”, o quantomeno un settore sopravvalutato rispetto al suo reale impatto sulla produttività. Questo non significa che non sia importante – è un comparto che genera PIL, occupazione e visibilità internazionale – ma se parliamo di produttività del lavoro e crescita salariale stabile, il turismo non è affatto il motore giusto. Il turismo si basa infatti su lavoro stagionale e precario, ha un basso valore aggiunto per ora lavorata, ed è concentrato in poche aree e periodi dell’anno. In molte zone ha sostituito agricoltura e artigianato, creando una monocoltura fragile che porta guadagni rapidi ma non solidi. Inoltre, provoca effetti distorsivi sull’economia locale, come l’aumento degli affitti e la fuga dei residenti dai centri storici. Non può essere il pilastro di un modello economico fondato su produttività e crescita sostenibile.
L’Italia deve andare a trazione nucleare
Parlare di turismo, salario minimo e assistenzialismo senza affrontare il nodo della produttività è pura demagogia. Così come invocare il PNRR come toccasana senza cambiare radicalmente il modello economico italiano è una pia illusione. Se vogliamo davvero invertire la rotta, serve un piano industriale serio, serve tagliare la burocrazia, investire in tecnologia, rilanciare la formazione tecnica, colmare il divario infrastrutturale tra Nord e Sud, e rimettere al centro chi produce e crea valore. Serve un’Italia a trazione nucleare: metaforicamente e letteralmente, puntare sull’energia nucleare può risvegliare una produttività reale ed aumentare in maniera netta la nostra indipendenza energetica. Solo così gli italiani potranno tornare a guadagnare il giusto per ciò che valgono: non accontentandosi più delle lamentele, smettendo di guardare con nostalgia agli anni ’80 e Fantozzi, scommettendo sul futuro e sulla potenza.
Sergio Filacchioni