Roma, 24 mag – Era il 24 maggio del 1915 quando l’Italia, sotto la spinta dell’agguerrita e variegata élite interventista, scendeva in campo nella prima guerra mondiale. Un momento drammatico che, assieme a molti dolori, portò anche svolte positive e cambiamenti decisivi per il nostro paese. Guai a dirlo però nei canali della grande informazione o della cultura ufficiale, capaci di ricordare la partecipazione italiana solamente per gli errori degli alti comandi, gli orrori e la (presunta) inutilità totale del conflitto. Non fu così, soprattutto per noi italiani e per i nostri “padri” che combatterono scrivendo spesso pagine eroiche. Per usare le parole di Fabio Andriola, «sono morti per portare a compimento una cosetta da niente per alcuni. Una cosetta che si chiama Unità nazionale e che si è sempre pronti a rivendicare, giustamente, quando qualcuno, da qualche parte dell’inquieto pianeta Terra la minaccia o la nega a piccole enclave, a minoranze etniche, a paesi economicamente sottosviluppati. Basta che certe rivendicazioni non siano in capo, ieri come oggi, all’Italia: allora diventano populistiche, revansciste, nazionalistiche, antistoriche».
Il conflitto coronò il processo risorgimentale riunendo alla Madre Patria Trento, Trieste, l’Istria e la Dalmazia. Una «quarta guerra d’indipendenza», non una cosa da poco. Inoltre, la dura vita delle trincee mise fianco a fianco italiani delle più diverse provenienze, contribuendo a forgiare quel senso comunitario che ancora non costituiva un patrimonio acquisito. «E’ fra le trincee del Piave che gli italiani di tutte le classi sociali hanno trovato la loro identità nazionale. La Patria non si costruì dunque solo sulla carta geografica ma anche nel corpo vivo del popolo», come ha notato Paolo Gaspari. Non solo: «La forza della rassegnazione e il senso del dovere hanno fatto della Grande Guerra il momento in cui il popolo italiano diede la sua massima prova di coesione civile di tutta la sua storia». Infine, lo Stato andò aumentando sempre più il proprio ruolo, accelerando la crisi dello Stato liberale. C’erano tutti gli ingredienti per un cambiamento epocale, che non si fermò neanche con la fine del conflitto. I socialisti (che si erano battuti per la neutralità) e la vecchia classe dirigente si rivelarono incapaci di governare la nuova situazione e di proteggere in pieno gli interessi del paese al tavolo della pace, dove l’Italia fu trattata da potenza di secondo piano da Stati Uniti e Inghilterra, da sempre ostile alla nostra proiezione mediterranea.
Senso nazionale, rivolgimenti sociali, economici, tecnologici e politici furono raccolti invece dal fascismo, che andò al potere il 28 ottobre del 1922. Facile capire come questa data sia strettamente legata al maggio 1915, tanto che Epicarmo Corbino e Gaetano Rasi (nei loro Annali di economia) fanno risalire ad allora la fine del regime liberal-democratico. «Nel 1915 fu presa una decisione extraparlamentare in sede di rapporti internazionali (perché questo fu appunto il significato del reincarico a Salandra e l’invito a dargli pieni poteri per la guerra) del tutto simile a quella presa nell’ottobre 1922, in sede di rapporti interni, quando furono pacificamente accolte le legioni dei fascisti pervenute armate a Roma e fu incaricato Mussolini di formare il governo. Il nuovo periodo della storia politico-costituzionale dunque incominciò nel maggio del 1915» ha scritto Rasi. Un cambio della guardia quasi naturale, con il movimento mussoliniano capace di infiammare il miglior spirito italiano nato nelle trincee, valorizzando il patrimonio di esperienze e energie uscite dalla prima guerra mondiale. Protagonisti sin da subito ex combattenti e sindacalisti rivoluzionari, coloro i quali schierandosi a favore dell’intervento avevano rotto col vecchio sindacalismo ponendo la nazione e la collaborazione di fronte alla lotta di classe. Un’idea che rimase il filo rosso del fascismo per tutto il ventennio, consentendogli di concepire un’originale sistema politico basato sulla partecipazione attiva dei cittadini nella loro qualità di produttori, la risposta italiana allo sterile materialismo liberale.
Agostino Nasti
5 comments
L’unica cosa buona di questa guerra inutile e criminale fu che poi nacque il Fascismo. Per il resto, il Sud Tirolo è sempre stato germanico e il conflitto ebbe come presupposto il tradimento delle alleanze. Un copione ripetuto nel 1943.
https://www.youtube.com/watch?v=ZcvMrSHHYNU
p.s.: Martino è evidednte che delle motivazioni che spinsero l’Italia a prendere parte allla Grande Guerra, non hai capito nulla. Di conseguenza non hai capito neppure perchè il Fascismo andò al potere nel ’22.
Visto che leggi poco, guardati questo video esplicativo.
Quasi perfetto, tranne per un dettaglio che la maggioranza dei soldati erano del meridione ,mentre al nord in proporzione ci fù la maggioranza dell’astenzione perché imboscati nelle fabbriche d’armi , una guerra condotta da generaloni inadeguati , mentre chi conobbe le trincee come Ungaretti o altri , poi a fine conflitto cercarono di risolvere il problema dei tanti morti e mutilati o chiamati scemi di guerra
Almeno dovremmo ricordarla in onore di chi mandato in guerra non aveva voce ma solo sofferenze
Parlavo con Martino
Caro Roberto, qualsiasi dialogo da parte mia è chiuso in partenza con l’interlocutore che, invece di spiegare le proprie ragioni, si permette di asserire che non avrei capito nulla. Se io non ho capito nulla e tu hai capito tutto, goditi la tua scienza e lasciami in pace, sapientone.