Forlì, 26 feb – È giusto sin da ora sottolineare come una mostra del genere non sia mai stata realizzata, con l’obiettivo di ricostruire non solo l’iter seguito da questo straordinario artista e del clima artistico a lui vicino ma anche di seguire la ripresa del registro espressivo di Piero nei secoli successivi sino ad arrivare al Novecento con le sue sperimentazioni avanguardistiche e dirompenti rispetto la tradizione.
A rendere possibile il sogno è intervenuto, con la direzione generale di Gianfranco Brunelli un comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci, nel quale figurano, tra gli altri, Frank Dabell, Guy Cogeval, Fernando Mazzocca, Paola Refice, Neville Rowley, Daniele Benati, Ulisse Tramonti, James Bradburne, Marco Antonio Bazzocchi, Luciano Cheles, e Maria Cristina Bandera e Giovanni Villa e l’organizzazione della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì.
Impresa difficile quella proposta a Forlì, perché il riunire un nucleo adeguato di opere di Piero, artista tanto sommo quanto “raro”, è già operazione complessa ma perfettamente riuscita.
Questa mostra, che già così sarebbe un evento storico, si spinge oltre, indagando il mito di Piero quando esso rinasce, dopo i secoli dell’oblio, nel moderno, nei Macchiaioli, Borrani, Lega, Signorini, ad esempio. Ma soprattutto per il fascino che la sua pittura ha su molti artisti europei: da Johann Anton Ramboux o Charles Loyeux, fino alla fondamentale riscoperta inglese del primo Novecento, legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury. Come sappiamo ogni evento espositivo diventa una tappa importantissima per l’evoluzione del dibattito critico e storiografico non solo attorno al protagonista principale ma anche al periodo storico in questione.
Alcuni dipinti di Piero, scelti per tracciare i termini della sua riscoperta, costituiscono il cuore dell’esposizione e infatti accanto ad essi figurano in mostra opere dei più grandi artisti del Rinascimento che consentono di definirne la formazione e poi il ruolo sulla pittura successiva: per illustrare la cultura pittorica fiorentina negli anni trenta e quaranta del Quattrocento, che vedono il pittore di San Sepolcro muovere i primi passi in campo artistico, saranno presenti opere di grande prestigio di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello e Andrea del Castagno, esponenti di punta della pittura post-masaccesca.
L’accuratezza prospettica di Paolo Uccello e l’enfasi plastica delle figure di Andrea del Castagno, la naturalezza della luce di Domenico Veneziano, l’incanto cromatico perseguito da Masolino e dall’Angelico, costituiscono una salda base di partenza per il giovane Piero. Ma la mostra vuol dar conto anche dei primi riflessi della pittura fiamminga, da cogliere negli affreschi del portoghese Giovanni di Consalvo, nei quali l’esattezza della costruzione prospettica convive con un’inedita attenzione per le luci e le ombre.
Gli spostamenti dell’artista tra Modena, Bologna, Rimini, Ferrara e Ancona determinano l’affermarsi di una cultura pierfrancescana nelle opere di artisti emiliani come Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Cristoforo da Lendinara, Bartolomeo Bonascia.
Importantissimi sono i suoi influssi nelle Marche su Giovanni Angelo d’Antonio da Camerino e Nicola di Maestro Antonio; in Toscana, con Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli; e a Roma, con Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano. Ma l’importanza del ruolo di Piero è stata colta anche a Venezia, dove Giovanni Bellini e Antonello da Messina mostrano di essere venuti a conoscenza del suo mondo espressivo.
Divenuto perciò un riferimento stilistico fondamentale per gli artisti a lui contemporanei e poi successivi la riscoperta ottocentesca di Piero della Francesca e affidata a importanti testimonianze: dai disegni di Johann Anton Ramboux alle straordinarie copie a grandezza naturale del ciclo di Arezzo eseguite da Charles Loyeux, fino alla fondamentale riscoperta inglese del primo Novecento, legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury, di cui fece parte anche la scrittrice Virginia Woolf.
Definito da Luca Pacioli “il monarca della pittura”, Piero della Francesca viene studiato nell’Ottocento, e il suo fascino assimilato da artisti sperimentali, da Degas ai macchiaioli, dai postimpressionisti a Cézanne.
Il Novecento è tuttavia per più aspetti il “secolo di Piero”: per il costante incremento portato allo studio della sua opera, affascinante quanto misteriosa; e per la centralità che gli viene riconosciuta nel panorama del Rinascimento italiano. Contemporaneamente la sua opera è tenuta come modello da pittori che ne apprezzano di volta in volta l’astratto rigore formale e la norma geometrica, o l’incanto di una pittura rarefatta e sospesa, pronta a caricarsi di inquietanti significati. La fortuna novecentesca dell’artista è raccontata confrontando, tra gli altri, gli italiani Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi, Campigli, Ferrazzi, Sironi con fondamentali artisti stranieri come Balthus e Hopper che hanno consegnato l’eredità di Piero alla piena e universale modernità. Non poteva mancare un catalogo critico del percorso con notevoli contributi di storici dell’arte edito da Silvana Editoriale curato da Antonio Paolucci, Daniele Benati, Frank Dabell, Fernando Mazzocca, Paola Refice ed Ulisse Tramonti in cui il concetto di nascita e consolidamente del mito di Piero viene ben esplicato e ripreso: il volume ripercorre l’affascinante rispecchiamento tra critica e arte, tra ricerca storiografica e produzione artistica avvenuto intorno alla figura di Piero della Francesca, nell’arco di più di cinque secoli.
Dunque un fondamentale incontro con la grande storia dell’arte italiana in cui viene dimostrato come la tradizione del nostro passato possa divenire un importante ingrediente sciolto nell’evoluzione artistica della storia non solo nazionale, ma addirittura internazionale. Non ci resta che correre a visitare ed ammirare dal vivo le straordinarie opere di questi maestri che hanno condotto il nostro Paese all’eccellenza.
Vanessa Bori